III Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 25 gennaio 2009
III Domenica del Tempo ordinario

Gn 3,1-5.10
1Cor 7,29-31
Mc 1,14-20

GESÙ VEDE E CHIAMA
I PESCATORI DI GALILEA

Il vangelo odierno ci riporta le prime parole di Gesù secondo il testo di Marco. Sono frasi ricchissime di significato, quasi una ouverture all'intera predicazione del Cristo. Iniziamo dalle due affermazioni che hanno per soggetto il tempo e il Regno: "Il tempo è compiuto e si è fatto vicino il regno di Dio» (v. 15). Solo dopo, Gesù pronuncia due imperativi - "convertitevi e credete» (v. 15) - che invitano all'azione o meglio, invitano a reagire a quanto egli ha affermato. Tutto ciò che segue non farà altro che mostrare come davvero nei segni compiuti dal rabbi di Nazareth, il tempo sia giunto a una svolta e finalmente il Regno abbia posto radici incancellabili nella nostra storia. Le parole che Gesù pronuncia sono e devono rimanere, in ogni commento che le voglia riprendere, una "lieta novella". Sono parole per la gioia dell'uomo. Sono parole che l'uomo di ogni tempo, incerto sul proprio presente e ancor più sul proprio futuro, desidera udire per poggiarvi la professione della propria fede.
Non possiamo sottolineare gli imperativi che invitano alla conversione senza premettervi il giusto titolo: Gesù venne in Galilea «annunciando la lieta notizia di Dio» (v. 14). Se lui in persona, come afferma tutto il seguito dell'opera, è la lieta notizia, ripetere le sue parole come se fossero solo un invito stringente alla conversione sarebbe un tradimento alla presenza dello Sposo dell'umanità che è anzitutto festa (Mc 2,19). Molto della degenerazione del cristianesimo in moralismo nasce proprio dall'omissione dell'indicativo della salvezza, a favore del solo imperativo etico. Tutto consisterebbe nell'adempimento di leggi e basta.

Il sopraggiungere di Gesù, invece, compie anzitutto il significato del tempo. Noi vorremmo poter coniugare lo scorrere dei giorni a una sensazione di pienezza e felicità. Invece, capita che siano la noia e la sazietà, rispetto a quanto facciamo, a colorare il tempo che passa. Come le stagioni che si alternano per tornare, a volte ci pare non ci sia nulla di veramente nuovo per cui muoversi e che tutto si ripeta fino a stancarci. Non c'è novità. Le parole del vangelo indicano, al contrario, il tempo come "occasione". Questo è il senso del termine greco reso dalla traduzione con "tempo". C'è come un treno che sta passando. Un incontro si affaccia all'orizzonte. Il futuro è qui, ora. Il tempo è gravido di Dio. Il nome di questo futuro - e veniamo alla seconda frase - ha il suono altisonante delle potenze di questa terra: Regno. Il modo in cui Gesù declinerà un termine così ambiguo dà fondamento a quella speranza cui non vogliamo rinunciare: il Regno, che lui è, sarà per gli esclusi, per gli emarginati, per i semplici. Sarà per chi non intende la propria libertà come autonomia ma come possibilità di scommettere sull'amore. Dunque, niente raccomandazioni o liste d'attesa o titoli per questo Regno. È l'amore di Dio rivelato e donato a tutta l'umanità, specie a chi non sembra avere le credenziali adeguate.
Per questo la conversione che Gesù domanda è indicata con un termine che significa "cambiare logica", "cambiare mentalità". Per quanto possa sembrarci paradossale, la conversione consiste precisamente nell'accoglienza della "buona novella". Abbiamo sete di lieti annunci ma facciamo fatica a credervi davvero. Pare che gli anni ci forniscano di una corazza impenetrabile contro le "buone notizie". Siamo spesso scettici, diffidenti. Chiamiamo l'uno e l'altro atteggiamento "prudenza" o "realismo". L'esperienza della vita ci ha come vaccinato dall'abbracciare come fanciulli, in modo incondizionato, l'invito alla gioia. Spesso l'invito alla gioia ci rende sospettosi. Se, fosse troppo a buon mercato? È la fatica che facciamo a sperare, nel senso più cristiano del termine. Più che sforzo morale, la conversione è apertura incondizionata alla speranza che si traduce in letizia.

Le conseguenze della predicazione di Gesù trovano una magnifica icona nell'episodio seguente: la chiamata dei primi discepoli. Se il Regno si è fatto vicino, allora è possibile che nella più nuda ferialità, in una normale giornata di lavoro, colui che è il Regno mi venga a cercare, senza che io debba fare un passo, e mi rivolga un invito che capovolge la direzione dei miei sforzi. Gesù vede e chiama. Non ci sono esami, né indicazione di requisiti per i prescelti. C'è solo la passione di chi vuole comunicare un amore che si effonde e chiama a una vita nuova. I pescatori di Galilea cambieranno tutto senza mutare nome: rimarranno pescatori, ma non lavoreranno più per sé o per una famiglia, né per il proprio profitto. Dovranno lasciarsi prendere dall'urgenza del Regno e cercare fratelli da spingere perché entrino alle nozze dell'Agnello.
La parola più bella del passo è proprio quella che indica la fretta di un cambio, l'immediatezza di una risposta senza tentennamenti perché il tempo è compiuto: "subito" (v. 18). Gesù è colui che "subito" chiama uomini, i quali "subito" girano pagina in un grande atto di affidamento. Cosa dobbiamo attendere infatti, se il tempo è compiuto? La gioia si accompagna sempre alla scioltezza per cui siamo capaci di agire con determinazione, ma senza angoscia o panico. La scena della prima chiamata traduce perfettamente questo binomio: è possibile gioire; è possibile mutare vita nella semplicità di un gesto che cambia tutto e apre all'incontro con il volto di Cristo.

VITA PASTORALE N. 1/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)




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