II Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 18 gennaio 2009
II Domenica del Tempo ordinario

1Sam 3,b-10.19
1Cor 6,13c-15a.17-20
Gv 1,35-42
DALL'ESPERIENZA
SI PASSA ALL'ANNUNCIO

Il fatto che non ci sembri di udire la voce di Dio non significa che Lui non ci stia parlando. Potremmo riassumere in questi termini il messaggio del celebre passo di 1Sam proposto come prima lettura. Se in Dio anche il silenzio è parola e comunicazione, tutta la Scrittura testimonia come incessantemente l'Altissimo si rivolga ai suoi figli per entrare in comunione con loro. Ma occorre ciò che raramente l'uomo contemporaneo cerca o accetta: una mediazione. La Chiesa è mediazione. Il sacerdote Eli è anticipo, come il Battista, di quella stessa mediazione. Per entrambi l'istante della mediazione è il più alto, quasi il compimento della vita e, allo stesso tempo, la conclusione della propria missione. La statura morale di Eli, decisamente inferiore a quella del Battista, non impedisce l'efficacia di una transizione: d'ora in poi, il piccolo Samuele si rivolgerà a Dio stesso, senza passare per Eli. È importante non pretendere quella perfezione assoluta che non sempre coincide con la sapienza necessaria a riconoscere il passaggio di YHWH per essere mediatori o accogliere la mediazione altrui.

Anche l'odierno brano evangelico descrive un passaggio di consegne: racconta la fine di un discepolato e l'inizio di un altro. Il vecchio maestro indica ai propri discepoli il nuovo maestro, il vero Maestro. L'amico dello sposo annuncia agli invitati la presenza del protagonista delle nozze. La pagina di Giovanni fotografa uno sguardo e raccoglie una parola sola pronunciata dal Battista, una breve frase. Per i due discepoli è stato sufficiente fissare gli occhi rapiti del loro primo maestro e dare credito a quelle parole così decisive, per intraprendere un nuovo cammino. Gesù passava. Non sappiamo né da dove, né verso dove. Non abbiamo alcuna indicazione di luogo. L'espressione ha tutta l'idea di volerci portare oltre. Essa descrive l'eterno movimento di Cristo che desidera raggiungere ed entrare nell'esistenza dell'uomo: non vi è vita in cui Gesù non passi; non c'è storia che Gesù non tocchi. Il suo discreto procedere ai margini della nostra vita chiede la risposta della libertà; chiede quell'affidamento rischioso che è la sequela.I due discepoli raccolgono l'appello verbale del Battista e il racconto progredisce in tre atti fondamentali. Il primo atto di questo affidamento è rappresentato dalla visione delle "spalle" di Gesù. I due seguono l'uomo additato da Giovanni, senza scorgerne il volto. E quello che accadde anche a Mosè nel suo appassionato desiderio di vedere la gloria di YHWH. All'inizio, il volto è solo intuito, come presagito. Andrea e il suo compagno seguono Cristo - un Cristo ancora muto - per sentito dire, sullo slancio infuso loro dal Battista. Il secondo atto di questo racconto, paradigmatico di ogni discepolato, è costituito dalle parole che Gesù pronuncia. Sono una domanda. Non un'affermazione, né la richiesta di un impegno. Sono le prime parole di Gesù nel quarto vangelo. Rappresentano un invito a sondare il cosmo dei propri desideri. Ben più che un atto di cortesia di Gesù verso questi due sconosciuti che lo seguono, le parole "Che cercate?" sono come un macigno gettato nel mare della nostra presunta tranquillità. Ogni uomo ha mille risposte per questa domanda e sa al contempo che nessuna è quella davvero giusta. Ogni uomo sa che sta cercando. Questa è l'unica risposta alla domanda: riconoscere il carattere indefinito e perenne della nostra instancabile ricerca. Essa deve approdare al Mistero per trovare pace. La pedagogia sapiente di Cristo mette i due discepoli e tutti noi in contatto con il dinamismo inarrestabile del desiderio umano.Il terzo atto del racconto è un'altra domanda, con cui i due rispondono a Gesù: è l'ammissione della loro semplice e indefinita curiosità. È l'intuizione che quell'uomo, nella sua identità, nasconda il mistero dei misteri. Dietro la domanda: «Dove abiti?» ne è celata un'altra ben più profonda. I due hanno chiesto a Gesù di rendere conto della sua identità. La replica di Gesù è l'essenza del cristianesimo: «Venite e vedrete»; è l'invito a un'esperienza che ognuno deve compiere in prima persona. Non sono ammesse deleghe, nessuno la può vivere al posto di un altro. Le parole di Gesù, riprese dal narratore, contengono già echi di ciò che precede e di ciò che seguirà: «Venite e vedrete ... Andarono e videro». Questa esperienza è la radice di tutte le successive. Quell'andare e vedere è la radice di quella conoscenza del maestro che fece scrivere all'evangelista l'indimenticabile frase del prologo: «E noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità».

In quel pomeriggio, i due discepoli iniziarono a intuire il mistero del Verbo fatto carne. Anche il verbo successivo utilizzato da Giovanni è carico di risonanze: «E videro dove rimaneva e rimasero presso di lui», nell'originale greco. Il termine "rimanere" è quello che per eccellenza caratterizza il discepolato nel quarto vangelo. Domina il cap. 15 in cui Gesù, vera vite, esorta i suoi discepoli a rimanere in Lui come Lui rimane nel Padre, a restare nel suo amore. Non sappiamo che cosa Gesù disse e fece in quel pomeriggio. Sappiamo solo dalle parole dell'evangelista che nacque la coscienza di aver trovato. La ricerca messianica, in Cristo poteva dirsi conclusa. Per questo l'ora - le quattro del pomeriggio - rimase indelebilmente impressa.

VITA PASTORALE N. 1/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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