XVIII Domenica del Tempo ordinario


ANNO B - 2 agosto 2009
XVIII domenica del tempo ordinario

Es 16,2-4.12-15
Ef 4,17.20-24
Gv 6,24-35
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CRISTO È IL PANE DI VITA
CHE È DISCESO DAL CIELO


Non è difficile scorgere una somiglianza tra l'inizio dell'odierno passo evangelico e la situazione che in Mc 6 precede il segno della moltiplicazione dei pani. L'abbiamo incontrata due domeniche fa: "Gesù disse ai Dodici: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco". Infatti quelli che venivano e andavano erano così numerosi che non avevano neppure il tempo di mangiare. Perciò in barca si diressero verso un luogo solitario e appartato; ma molti, avendoli visti partire, compresero e a piedi, da tutte le città, accorsero in quel luogo e giunsero prima di essi. Sbarcando, egli vide una grande folla e ne ebbe pietà, poiché erano come pecore che non hanno pastore. Allora incominciò ad insegnare loro molte cose» (Mc 6,31-34). Anche in Gv 6 la folla vede sparire Gesù e inizia una ricerca serrata fino a che non lo trova. Ma l'atteggiamento è molto diverso. In Mc Gesù incontra un gregge senza pastore, docile alla sua parola e desideroso del suo magistero, gregge che poi sfamerà con il pane di Dio. In Gv, Gesù è subito oggetto di una domanda inquisitoria: "Maestro, quando sei venuto qui?» (Gv 6,25).

Egli non risponde. Piuttosto qualifica la ricerca della folla come una ricerca immatura, motivata non da segni, ma piuttosto da fame di pane e da nuova voglia di sazietà. Si può, allora, cercare Cristo almeno in due modi molto diversi tra loro. Il segno può e deve spingere alla ricerca. Ma la ricerca sarà sbilanciata su colui che ha compiuto il segno e sul cammino che il segno indica. Se immaginiamo il segno come una freccia indicatrice, essa è puntata sull'oggetto della propria ricerca. Invita a un esodo, a un itinerario di affidamento e uscita da se stessi. Molto efficacemente invece, il verbo "saziarsi" aiuta a comprendere il carattere opposto della ricerca intrapresa dalle folle. Esse, appunto, hanno mangiato e si sono "saziate" (Gv 6,26).
Qui il segno è inteso come una freccia puntata non verso l'oggetto della ricerca, ma verso il soggetto. Tutto, potremmo dire, finisce nella pancia della gente. Essa ha trovato pane, ha colmato un bisogno senza che nulla di più profondo si sia smosso. Non c'è una domanda autentica in questa gente a stomaco pieno. Semplicemente rimane la voglia di saziarsi nuovamente controllando i movimenti di colui che è fonte miracolosa di cibo. Ora possiamo rileggere la domanda che le folle rivolgono a Gesù e intenderla come un velato rimprovero a colui che deve sostanzialmente essere sempre a disposizione come una dispensa ambulante o un frigorifero pieno di leccornie.
Approfondendo il discorso, potremmo distinguere la religiosità dei bisogni dalla religione della fede. La prima è esclusivamente funzionale alla tranquillità e alla soddisfazione immatura di alcune esigenze come il ritualismo, il tradizionalismo o la gestione di sensi di colpa. La religiosità dei bisogni appare quasi come un analgesico o un ansiolitico. Ce n'è bisogno per stare bene. Tutto viene come divorato per placare la propria fame di sacro. Ma chi la pratica non cresce. Non evolve. Piuttosto pretende che nulla di ciò che le serve muti. Mai questa religiosità si integra con la vita in tutte le sue sfaccettature. Non sa produrre un'etica del lavoro, dell'economia o una spiritualità del quotidiano. Ragiona a compartimenti stagni: esiste il sacro che mai è eliminabile, poi gli altri ambiti della vita dove ci si muove in modo perfettamente ateo, come se Dio non esistesse. Certe forme rituali sclerotizzate obbediscono a questa logica. Sono armadi vuoti e vecchi. Ma non si possono spostare dalla parete in cui stanno. Sarebbe una rivoluzione.

La vera rivoluzione, invece, è la fede che Gesù domanda come "opera di Dio» (v. 29). La folla non comprende e invoca un segno allo scopo di credere, mostrando così il totale fraintendimento della moltiplicazione dei pani (v. 30). Non ha capito che cosa Gesù ha fatto e perché lo ha fatto. D'altronde, per saziare lo stomaco non c'è bisogno di capire e di leggere un evento come manifestazione di Dio. Tutto il confronto tra Gesù e la folla sarà proposta di un invito alla fede che, al termine, verrà bollato come «discorso duro» (Gv 6,60). Il Figlio di Dio ha offerto una nuova manna compiendo quanto donato da Mosè a Israele nel deserto. Ma gli interlocutori di Gesù sono fermi a quel passato. Non evolvono. Soprattutto, appena Gesù ritorna sul «pane di Dio» (v. 33) essi ribadiscono la loro unica premura: «Signore, dacci sempre di questo pane» (v. 34). Il loro rapporto con Cristo è a senso unico. Il cielo è un distributore di benefici ordinari, un modo più comodo di placare la fame.
Il segno, quando è rettamente inteso, suscita invece domande e apre alla conoscenza del nuovo nonché al cambiamento di sé. C'è un inviato su cui il Padre ha posto il suo sigillo (v. 27). La fede è l'adesione incondizionata all'inviato escatologico, abbandono dei propri schemi e di esigenze meschine, vero e proprio itinerario di cambiamento. Non è Dio che dovrà accontentarmi ad ogni passo. Sarò io a procedere verso di Lui muovendo per sentieri sconosciuti dove apprendo a fidarmi e a consegnare la mia libertà al Padre: chi viene a Cristo non avrà più fame e chi crede non avrà più sete (v. 35).



VITA PASTORALE N. 7/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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