XXVII Domenica del Tempo ordinario


ANNO B - 4 ottobre 2009
XXVII Domenica del Tempo ordinario

Gen 2,18-24
Eb 2,9-11
Mc 10,2-16

L'UOMO E LA DONNA
INSIEME, PER SEMPRE

Con il brano odierno ricompaiono i farisei, tradizionali protagonisti di dispute e controversie con Gesù. L'argomento che propongono al Maestro non è prettamente religioso. Essi vogliono saggiare il magistero del Nazareno su un tema di grande consuetudine e consenso sociale, su un tema che traduceva concretamente negli equilibri familiari la supremazia del maschile sul femminile: il divorzio. Il loro appoggio è la più alta autorità immaginabile: Mosè. Mettersi contro la legge del divorzio avrebbe significato per Gesù rendersi almeno un poco "impopolare" davanti a tutti i giudei di sesso maschile. Ma il Signore mostra, ancora una volta, una straordinaria libertà interiore. È in gioco, nell'indissolubilità del matrimonio, l'accoglienza dell'altro. È in gioco la natura stessa dell'amore al prossimo che non si manifesta solo in contesti comunitari. Molto di più dentro al matrimonio esso trova la sua piena espressione.
Una controversia del genere non poteva che essere collocata qui. Tutta la sezione presenta ormai con franchezza il cristianesimo maturo, in tutte le sue sfumature. Siamo in un contesto di atti e parole decisive, irreversibili. Gesù sta per siglare a Gerusalemme le proprie nozze con l'umanità sul talamo della Croce e la sua donazione raggiungerà un vertice ineguagliabile. La relazione orizzontale non poteva sfuggire alla stessa radicalità. La sequela deve passare anche attraverso l'ordinaria alleanza tra uomo e donna. La maturazione umana di una coppia o di un singolo non può evitare il confronto con il "per sempre". Se un credente accetta davvero Cristo solo nell'ottica della Pasqua come Signore della propria vita, allo stesso modo il partner accetta veramente l'altro solo nel momento del matrimonio, quando non si ragiona più sulle vie di fuga, ma sul comune cammino, quando non si evita il rischio ma lo si accetta come parte integrante dell'amore autentico.

Il divorzio in Israele, possibilità del solo uomo, anche per motivi banalissimi, era la consacrazione del "provvisorio" e la distruzione di quella definitività che è la forma della vita adulta. Il nostro attaccamento al provvisorio, all'episodico non è molto diverso, nel suo nucleo, dallo spirito che consentiva il divorzio in Israele. Giunge un momento nella vita, in cui la sequela evangelica non passa più attraverso la presenza attiva nella comunità ecclesiale, per quanto necessaria, ma attraverso delle scelte di vita. Quando si investe sul provvisorio senza il coraggio di costruire il definitivo, nessun cammino risulta più soddisfacente o degno. Perché è giunto il momento di dare un volto alla chiamata che il Signore certamente rivolge a me e all'altro. Quando il partner è usato e non amato, la fatica a sposarsi è sempre sorella della fatica a lasciarsi. Domina e prevale la paura della solitudine, non il desiderio del dono. Gesù coraggiosamente rievoca la Legge mosaica sul divorzio e la interpreta come una denuncia intorno alla durezza del cuore umano. È lo stesso termine - "durezza" - utilizzato in Mc 16,14 per alludere all'incredulità dei discepoli davanti al mistero del Risorto.
Anche nella relazione, in fondo, c'è una durezza che si manifesta nel non-riconoscimento dell'altro. L'altro è la parte di Dio che mi manca. Non è mai un passatempo, un riempitivo o qualcosa di strumentale. Il divorzio in Israele era il misconoscimento dell'identità della donna e della sua dignità. Era una forma di cecità, come quella degli Undici davanti al Risorto. Certe leggi non riconoscono un diritto. Ma denunciano una violenza. La legge sul divorzio in Israele era una legge di questo tipo. Alcune consuetudini, anche nella coppia, per quanto ormai affermate da anni, considerate pacifiche e sacrosante, sono il riconoscimento della sopraffazione e del diritto del più forte. Il più forte, ossia il meno attaccato dei due impone all'altro i propri ritmi e le proprie scelte proprio giocando sulla maggiore facilità con cui sarebbe disposto a interrompere il rapporto rispetto a chi è più preso e dipendente.

Gesù vede un deterioramento del principio originario nella consuetudine del suo popolo. La dignità dell'altro si perde quando dimentichiamo il progetto al suo nascere. Tale progetto è trinitario. L'insistenza sull' "una carne sola" non è altro che il sigillo della comunione che regna fra le tre persone divine. L'uomo e la donna, insieme, uniti per sempre, nella comunione sessuale, sono l'immagine più fedele possibile del Dio trinitario. Ai discepoli che chiedono spiegazioni Gesù replica parificando il diritto fra uomo e donna, parificando così anche la responsabilità dei due.
L'accenno finale ai "piccoli" nei vv. 13-16 chiude magnificamente la pagina consacrata all'amore fra uomo e donna. Ritornare come bambini per possedere il Regno non significa coltivare l'innocenza o la purezza. La forza del bambino è trovare naturale ciò che per noi è così difficile nella relazione: appartenere all'altro. Il bambino è dell'altro. Non si vergogna di appartenere ai genitori. L'adulto diviene tale quando accetta, liberamente, di tornare bambino, appartenendo nel matrimonio all'altro. Non considera mortificante o riduttivo aver consegnato la propria esistenza al partner. Intesa così, l'esistenza diviene pro-esistenza, una esistenza consacrata o dedicata all'altro. Siamo lontani anni luce dal concetto di libertà come scappatoia, come via di fuga così presente al giorno d'oggi. La mia libertà è la possibilità di darmi tutto a Qualcuno, come Cristo ha fatto per me.


VITA PASTORALE N. 8/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


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