XXX Domenica del Tempo ordinario


ANNO B - 30 ottobre 2009
XXX Domenica del Tempo ordinario

Ger 31,7-9
Eb 5,1-6
Mc 10,46-52

LUNGO LA STRADA ORA
C'È UN SEGUACE IN PIÙ

L'odierna pagina evangelica chiude la cosiddetta sezione "lungo la strada", iniziata in 8,27 e scandita più volte proprio da questa nota di viaggio: il Maestro e i Dodici si trovano in cammino. L'ingresso a Gerusalemme è ormai prossimo, ma ora il gruppo è nei pressi di Gerico (v. 46). Come la guarigione di un cieco aveva introdotto il serrato confronto tra Gesù e i discepoli attraverso le molteplici predizioni della passione, così ora una seconda guarigione chiude la catechesi sulla Pasqua. Bartimeo, a differenza dei Dodici, risulterà una figura estremamente positiva. Non sembrerebbe avere le carte in regola, a un primo sguardo. Il v. 46 lo descrive menomato, incapace di lavorare e dunque mendicante, per concludere poi sulla sua forzata immobilità. Non vede, non cammina, non possiede.

Tuttavia proprio grazie alla sua condizione può incontrare appieno il Cristo. La sua avventura nasce da un grido che è autentica preghiera (v. 47). Abbiamo ancora in mente quella capovolta dei figli di Zebedeo. Qui invece Bartimeo non domanda ancora nulla di specifico. Domanda la grazia di cui l'uomo ha bisogno per vivere e davanti alla quale è sempre immobile e mendicante: il dono della compassione divina. In greco, l'espressione corrisponde a quella da noi utilizzata durante la liturgia: «Abbi pietà di me!». Tuttavia, il senso originario dell'espressione non intende chiedere certo commiserazione, ma percepire l'amore fedele e gratuito di Dio. È una preghiera che lascia libero il cielo di manifestare misericordia come crede, anche senza la guarigione.
L'amore di Dio è più importante del benessere fisico o psichico. Queste realtà prima o poi inevitabilmente passano. L'amore fedele di Dio è roccia. Per questo Bartimeo non impone, ma supplica. La sua preghiera è preceduta da due titoli che uniscono l'umanità del Figlio di Dio - chiamato per nome - alla sua dignità messianica, quando è invocato come "figlio di Davide". Stupisce come un mendicante cieco veda così bene. Si direbbe che nessuno, fra la folla, abbia una coscienza così lucida e marcata dell'identità di Gesù. Bartimeo ha una sorta di preveggenza sul Cristo. Sa che può guarirlo, secondo quanto i profeti annunciarono del Messia, medico dell'umanità malata. Eppure nessuno gli ha parlato di Gesù. Se i Dodici non colgono il mistero del Figlio dell'Uomo, sebbene favoriti dalla solitudine e dalla frequentazione continua, Bartimeo raggiunge la medesima vicinanza nonostante l'ostilità della folla (v. 48). La gente intima al cieco mendicante il silenzio. Ma questo serve solo ad aumentare l'intensità del suo grido. È ancora la fede, che conosce la venuta certa del Salvatore. Niente potrebbe spezzare il grido della fede perché chi crede è sicuro che Dio non mancherà il proprio appuntamento. La marcia di Gesù infatti si interrompe e, con il tramite della folla, chiama il cieco a sé.
Nell'alzarsi, Bartimeo compie un gesto di grande pregnanza: lascia il mantello, unica ricchezza del povero, a tal punto da dover essere restituito secondo la Legge dal creditore al debitore non oltre il tramonto del sole. Per un mendicante il mantello era coperta, tenda, abitazione. Il cieco ancora non ha nulla e si separa dall'unica certezza di una vita miserabile. È la spoliazione di cui i Dodici sono stati incapaci: essi rimangono avviluppati dai propri desideri di grandezza e come imprigionati da classifiche e primati. Il v. 50 è notevole però da un altro punto di vista: come può un cieco giungere solo da Gesù? Quello descritto al capitolo 8 deve essere condotto per mano fino al suo taumaturgo (Mc 8,22). Qui pare che Bartimeo già ci veda. Già conosce il Maestro, già sa dov'è e lo raggiunge senza l'aiuto della folla. Davvero egli è figura della fede cercata dal Maestro presso gli ebrei e trovata invece presso i pagani. Là dove l'uomo parrebbe privo di ogni possibilità e risorsa può nascere l'autentica esperienza della fede, luce interiore, bussola infallibile verso Cristo.

Solo al momento in cui Gesù gli rivolge l'esplicita domanda su quanto desidera, Bartimeo chiede di vedere di nuovo. A questo punto è come se il Cristo fungesse da semplice testimone che constata la forza della fede. Non c'è alcun gesto particolare da compiere, a differenza della laboriosa guarigione di 8,22-26. Semplicemente viene pronunciata una parola che attribuisce senza ombra di dubbio l'evento della vista riacquisita alla fede del cieco. È come se dovesse emergere qualcosa che già era presente ma non ancora, pienamente operante. Chi allora ha guarito Bartimeo? È stato il taumaturgo Gesù o piuttosto la fede che diviene grido e preghiera e spinge infallibilmente verso il Maestro? Nel cieco di Gerico vediamo tutto ciò che i discepoli avrebbero potuto essere ma non sono ancora, accecati dalle proprie manie di grandezza. L'esito ultimo della guarigione è un pieno discepolato.
Se Pietro si era opposto al cammino di Gesù verso la Pasqua, lungo la strada ora c'è un seguace in più. È Bartimeo che va dietro al figlio di Davide ormai pienamente consapevole dell'amore che Dio Padre ha per lui. Con il cieco guarito può camminare ogni discepolo disposto a riconoscere il proprio stato di mendicante, immobile, incapace di vedere realmente ma visitato dal passaggio di Cristo. Egli attende di udire la nostra preghiera. Attende la nostra insistita supplica. Attende che tutta la nostra speranza abbia lui, come unica risorsa.



VITA PASTORALE N. 8/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


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