II Domenica di Avvento (C)


ANNO C - 6 dicembre 2009
II Domenica di Avvento

Bar 5,1-9
Fil 1,4-6.8-11
Lc 3,1-6

L'AUTENTICO VOLTO
DEL MESSAGERO DI DIO

L'inizio del terzo capitolo di Luca possiede una grande solennità. L'evangelista non è nuovo a esercizi di sincronismo (cf 1,5 e 2,1) attraverso i quali colloca l'agire di Dio all'interno della travagliata storia umana. Ma qui pare che egli non voglia tralasciare nessuna delle autorità religiose e politiche del tempo. Non è questo il luogo per valutare anche l'esattezza della presentazione lucana. Benché ci siano dettagli discutibili o incerti storicamente, quanto colpisce il lettore è la completezza della mappatura lucana. A discendere, come dal vertice di una piramide, vediamo scorrere tutti i nomi dal cui potere o capriccio dipendevano le sorti dell'Impero nel suo insieme fino a piccole regioni come la Galilea, l'Iturea o la Traconitide. Appare anche chiaro, dalla sequenza, che le autorità religiose, indicate per ultime, sono ben poca cosa quanto a rilevanza politica. Anna e Caifa sono sommi sacerdoti, ma cosa potrebbe il loro potere contro giganti quali Tiberio Cesare? Non sono certo le voci del sacro a fare la storia. Non sono i volti che si presentano a Dio levando mani al cielo a decidere le sorti dell'umanità nata dal Creatore. L'immenso ingranaggio socio-politico include anche i nomi di Anna e Caifa quasi tollerandoli e magari manipolandoli a proprio vantaggio.

Eppure, con somma maestria Luca usa un semplice espediente sintattico per condurre l'orecchio del lettore verso l'autentica e indiscussa protagonista della storia. Al termine di una lunga serie di subordinate temporali giunge la frase principale, dove troviamo il soggetto del consistente periodo che si estende per i primi due versetti: «La parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria». A dispetto di ogni potere sacro o profano, Dio manda la sua Parola su un uomo e nasce un profeta. Lungo tutta l'opera lucana, la Parola compie la propria corsa come vera artefice di salvezza. Da Gerusalemme raggiungerà grazie alla bocca di Paolo la capitale di quello stesso impero cui avrebbe dovuto essere assoggettata, come ogni altra forza ed energia: Roma.
Ma il punto di partenza sconcerta: si tratta di un deserto dove un uomo viveva in attesa della propria manifestazione a Israele (1,80). Non troviamo nulla di assimilabile a logiche tipiche del lungo elenco di nomi appena esaurito. Giovanni non possiede alcuna credenziale o favorevole parentela. Non è uomo di potere. È un destino deciso dall'incontro avvenuto tra la parola del Dio vivente e la sua umana libertà. È scoccata una sola scintilla e subito divampa l'incendio del verbo divino gridato lungo tutta la regione del Giordano. Non è importante chi la governi. Ora quella terra è infuocata dalla Parola e nonostante il suo aspetto ostile e poco favorevole diverrà teatro di un inarrestabile pellegrinaggio. Si innesta un dinamismo verticale per provocarne uno orizzontale. La Parola scesa dal cielo diviene cammino. Scuote le gambe del profeta; apre la sua bocca perché ne esca un annuncio irresistibile. L'Avvento del Verbo è già nelle gambe del Precursore. La Parola dovrà mostrarsi in Cristo nel pieno del proprio splendore e della propria forza.
Non è casuale il termine che Luca utilizza per descrivere al v. 3 la predicazione del Battista: si tratta del verbo greco che indica la solenne proclamazione compiuta da un araldo. Anche per la predicazione del Cristo verrà utilizzato lo stesso verbo (Lc 4,44). Ma qui brilla violento il contrasto tra la pletora di araldi al servizio dei potenti sopra citati e l'anonimo volto del messaggero di Dio. Se i primi erano strumenti di controllo, dominio e sfruttamento, colui sul quale avviene la parola di Dio predica la conversione per il perdono dei peccati. Il cambiamento della nostra mente – come suggerisce il termine greco reso nel testo con "conversione" – è l'unica vera preparazione all'avvento del Messia.

Non pensiamo sia un'impresa onerosa. La nuova traduzione, fedele al testo greco di Isaia utilizzato da Luca, impedisce letture troppo moraleggianti. Non siamo noi a riempire i burroni o ad abbassare monti e colli. È la parola di Dio che scende nel deserto, su un oscuro solitario facendone il più grande tra i nati di donna a compiere la vera giustizia. I potenti non sono più il motore della storia. La loro finta gloria è "abbassata", ridimensionata. Né gli umili restano semplici rotelle di terribili ingranaggi: la loro pochezza è colmata. La Parola che scende sull'uomo crea un mondo differente in cui ogni uomo vedrà la salvezza di Dio, anche coloro che sono lontani dai centri di potere o dalle poltrone che contano.
Dunque il nostro Avvento non prosegue nel segno del congiuntivo che esorta («sia riempito... sia abbassato») ma dell'indicativo che annuncia l'opera suprema di Dio («sarà riempito... sarà abbassato»). Quando i pastori udranno l'annuncio della nascita del Salvatore e, andando, troveranno solo un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia, si sarà compiuta la profezia di Isaia. Il Signore allora avrà colmato ogni burrone e abbassato ogni colle. La nostra conversione è un cambiamento di logica, di occhi, di sguardo. Nulla che abbia a che fare con i ritmi veloci o l'immediata efficacia pretesa oggi dallo sviluppo tecnologico. Permette invece di vedere l'opera che sfugge a chi cerca solo fatti mirabolanti e personaggi noti. Permette alla Parola che sempre aleggia sul nostro cuore, come lo Spirito all'inizio della creazione, di scendere e di fare anche di noi profeti e araldi della Buona Novella.

VITA PASTORALE N. 10/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


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