Epifania del Signore


ANNO C - 6 gennaio 2010
Epifania del Signore

Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12

I MAGI OFFRENDO DONI
APRONO I LORO CUORI

Al lungo viaggio compiuto dai Magi e alla loro adorazione del Bambino, il testo di Matteo associa anche l'offerta dei tre doni. Proprio all'oro, all'incenso e alla mirra dobbiamo il numero di sapienti che, secondo la tradizione cristiana, giunsero a Betlemme: tre magi, uno per l'oro, uno per l'incenso, uno per la mirra. Il dato non è un semplice fatto di corrispondenza numerica. Non riesce possibile immaginare l'incontro individuale tra ciascuno dei sapienti e il Cristo senza che fosse sancito da un dono. Il dono, infatti, è supremo momento di verità. I regali che abbiamo ricevuto in questi giorni natalizi si distinguono in due categorie sostanziali. Ci sono cose che abbiamo ricevuto e potremmo definire anonime. Abbiamo riconosciuto il gesto di affetto, ma l'amicizia e il legame espresso dal dono non coglievano la peculiarità della nostra persona. Solo chi ci conosce sa di cosa abbiamo bisogno o indovina gusti e desideri. In quel caso il regalo rafforza il rapporto perché è un vero e proprio messaggio personale. Ci sentiamo conosciuti e dunque ci sentiamo amati. Ci sappiamo amati e la conoscenza profonda espressa dal dono rafforza questa certezza.

Non ci deve stupire, dunque, se la riflessione patristica da sempre ha scorto nell'oro, nell'incenso e nella mirra, un atto di riconoscimento da parte dei donatori. Essi sanno bene dove sono e al cospetto di chi. Lo esprimono appunto attraverso segni muti ed eloquentissimi allo stesso tempo. Sappiamo come l'oro riconosca nel Bambino la regalità, l'incenso ne dichiara la divinità e la mirra costituisce l'annuncio del suo destino di sofferenza. Non c'è bisogno che la pagina di Matteo trasmetta in discorso diretto qualche parola dei sapienti giunti da Oriente. Tutto è già detto attraverso i tre segni. Il cielo ha mostrato una verità sublime cui essi hanno aderito completamente. Ma il dono non è soltanto il momento in cui il destinatario si sente letto e conosciuto. Questo è uno dei due estremi svelati dal fatto di regalare qualcosa. Anche il donatore parla di sé in relazione a colui che benefica, offrendogli qualcosa che narra anche la propria storia e descrive la propria identità. I Magi, in altre parole, aprono il loro cuore e offrono ciò che contiene. Per questo è possibile tentare un'altra lettura dei tre doni associati inscindibilmente alla solennità odierna.
L'oro, ricchezza visibile, rappresenta ciò che uno ha ma ancor più ciò che uno è in relazione al proprio valore. Ciascuno di noi avverte dentro di sé qualche scheggia d'oro; per grazia di Dio abbiamo vissuto istanti di autentico e disinteressato amore. Proprio come al fondo di un'icona o in alcune parti di un antico mosaico anche noi abbiamo conosciuto tutta la ricchezza che può sprigionare il cuore umano. Noi siamo oro. L'incenso, invisibile come Dio, rappresenta ciò che ognuno desidera. Quando brucia, sale al cielo, immagine della preghiera che incessantemente l'uomo religioso eleva al cielo per impetrare una vita felice e serena. Impercettibile e intangibile, l'incenso spande il suo aroma inconfondibile come inconfondibile è il desiderio proprio a ciascuno di noi. L'uomo diviene ciò che desidera, perché è un fascio di desideri che si tramutano in progetti e risoluzioni. È impossibile non conoscere un uomo senza penetrare almeno un poco nel mondo dei suoi desideri, siano sogni, fantasticherie o piuttosto imminenti realizzazioni. Noi siamo incenso.
La mirra cura le ferite ma preserva anche dalla corruzione. Rappresenta certo la tutela che uno ha di sé e la difesa dalle proprie fragilità. Esprime però anche la volontà di conservare la vita, trattenere il tempo dall'inevitabile degrado portato dai giorni che scorrono. Non c'è verità su di sé senza la consapevolezza delle proprie perdite e delle ferite che la vita - soprattutto il nostro peccato - hanno inferto allo spirito e all'anima. Noi siamo anche mirra. Il nostro valore, i nostri desideri e la nostra fragilità costituiscono il nostro tesoro. C'è una sorta di percorso nell'offerta che muove da ciò che già è in nostro possesso, per giungere a quanto manca e approdare, infine, a quanto non possiamo darci da soli: l'eternità e l'incorruttibilità. Dalla gratitudine alla supplica, potremmo dire, muove il percorso significato dall'oro, dall'incenso, alla mirra.

I Magi, precursori di ogni credente, offrono tutto questo al Bambino. Aprono il loro tesoro perché il Figlio di Dio vi entri. Solo quando la nostra fede chiama Cristo nei profondi recessi dell'anima, perché fecondi il desiderio, conforti la fragilità, dia verità ai nostri momenti migliori allora una tale fede non è semplicemente stanca abitudine ma vita della nostra vita, interazione continua con la nostra identità. Dando ciò che sono, i Magi ricevono colui che è regalità, divinità e mortalità redenta. Così essi diventano simili a lui. Lo scambio è impari per quanto i doni possano sembrare preziosi. In questo senso, l'Epifania è davvero il Natale dell'anima, solennità in cui l'oggettività dell'evento penetra tutta la soggettività degli adoratori del Verbo. Se Dio nasce nell'uomo, nulla ancora è redento fino a quando l'uomo non rinasce in Dio. Qui si compie il cammino dei Magi. Solo qui può compiersi il nostro personale cammino verso la salvezza, in una sincera e totale apertura del nostro tesoro interiore a Cristo che sia offerta delle nostre ricchezze e delle nostre povertà, senza nulla celare, senza nulla camuffare.


VITA PASTORALE N. 11/2009 (commento di Claudio Arletti, parroco di Maranello)



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