Immacolata Concezione della B. V. Maria


ANNO C - 8 dicembre 2009
Immacolata Concezione della B. V. Maria

Gen 3,9-15.20
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38

PRIMIZIA DELLA NUOVA CREAZIONE

La prima solennità dell’anno liturgico è l’Immacolata Concezione. Non è senza motivo il fatto che il percorso cui affidiamo la celebrazione e l’attualizzazione della storia redentrice si apra con una visione di così intensa bellezza, prima della solennità del Natale. Il primato nella vita liturgica come in ogni attività apostolica della Chiesa è infatti la contemplazione della gloria divina, come risplende nel Verbo fatto carne e in tutti i santi, soprattutto nella Vergine Maria. La Chiesa inizia l’anno liturgico cantando la bellezza attraverso la lode ma anche attraverso il silenzio dell’adorazione. Se vogliamo raccogliere lo straordinario messaggio dell’otto dicembre, non possiamo subito cercare risvolti morali o direttive pratiche. L’Immacolata ci chiama a percepire il modo sublime in cui Dio fa il suo ingresso nel mondo. La bellezza per il cristianesimo è uno dei più grandi misteri. Da sempre, l’uomo, nel bene come nel male, cerca come fine ultimo della propria azione non soltanto l’utilità o la felicità, ma soprattutto la bellezza.

Pensiamo a quanto nell’immaginario dei popoli anche la guerra sia connessa al sublime e quanto della capacità artistica dell’uomo, dalla letteratura alla lavorazione di pietre e metalli, sia stato profuso nell’ambito bellico. Anche lo stesso racconto di Genesi 3, di cui oggi si fa parziale lettura, non manca di sottolineare l’attrazione estetica che il frutto esercitò sui sensi di Eva. La bellezza cristiana, profondamente diversa, scaturisce dal proprio perdersi per l’altro in un gratuito e puro atto d’amore. Non la bontà sola può rappresentare per noi la meta dello sforzo morale. Anche un ateo può compiere sinceri gesti di bontà e altruismo. Il fine della vita cristiana è la bellezza, fulgore della verità, possesso pieno e pacifico dell’amore. Maria davanti alla verità di Dio e alla sua condiscendenza si dona tutta, senza riserve. Ella altro non è che il dono totale ed eterno della creatura a Dio senza limite alcuno. Proprio nell’atto di perdere se stessa giunge ad accogliere e possedere Colui che è l’Amore e in lei inizia a crescere la carne del Verbo, suprema bellezza.
In fondo, la bellezza è la gloria di Dio che risplende nella creazione. È Dio che vive nell’uomo. È la santità. L’aureola che circonda il capo della Vergine e dei santi è la luce taborica, segno di una avvenuta trasfigurazione. È l’oro delle icone, che la Chiesa orientale associa all’eterna e incorruttibile luce divina. La santità immacolata della Vergine è un autentico fenomeno corporeo. Dio penetra e investe una creatura sconosciuta, una giovane di Nazaret, e la trasforma a immagine della propria gloria. Lo spirito in questo contatto come un tessuto imbevuto di balsamo diviene fragrante di virtù. La verità illumina l’intelligenza e vi si riflette come puro cristallo. Il corpo stesso acquista un certo splendore di grazia. Se immaginiamo la Vergine come compimento della bellezza femminile, non è certo per assuefazione ai canoni che provengono dall’immaginario collettivo ma proprio in virtù di una compenetrazione tra anima, spirito e corpo che in Maria dovette compiersi al sommo grado. Nulla è più ingannevole di un’apparenza piacevole ai sensi. Nulla esiste di più autentico della bellezza di Maria.
Poiché è gloria di Dio, Maria è anche gloria della creazione, fiore di tutto l’universo. La bolla che sancisce il dogma dell’Immacolata afferma come Maria fu voluta da Dio all’interno del medesimo disegno che stabiliva l’Incarnazione del Verbo. Dio volle prima di ogni altra creatura Maria insieme al Figlio e per il Figlio. Oggi celebriamo questo lembo di terra benedetta, primizia della nuova creazione. La prima opera di Dio, non per nulla, fu la luce. La luce risplende nelle tenebre dell’universale peccato attraverso la concezione di Maria. Dal caos del male, supremo disordine, ella sorge come fiore da tutti gli abissi. Prima di insegnare la verità, prima di promulgare leggi, il primo messaggio di Dio agli uomini, il primo tesoro della Chiesa è allora un messaggio di bellezza. In questo tempo in cui la verità pare non avere significato alcuno e la dialettica da strumento di conoscenza è divenuto fine per affermare la propria incondizionata libertà di opinione, lungi dal sedurre la bellezza attrae mente, sensi e cuore.

Al principio dell’anno liturgico già risplende la meta della santità come unica possibile evangelizzazione della nostra cultura. Essa riluce in Maria come faro della nostra speranza e dei nostri desideri più autentici. È vana la nostra azione se tende a uno scopo, per quanto nobile. Ci facciamo servi degli elementi del mondo e di schemi che non ci appartengono. Troppo spesso rincorriamo logiche e strumenti mondani senza accorgerci di quanto cadiamo nel ridicolo e nel grottesco quando pretendiamo di essere interessanti ad ogni costo, di fare notizia, di apparire sugli schermi e le pagine che contano. Siamo sale senza più sapore. La nostra azione liturgica invece, la nostra vita di fede, speranza e carità è sempre più grande del risultato che può produrre, anche in tempi di minorità culturale e sociale, certamente non facili a passare. Contro ogni calcolo, contro ogni gretto utilitarismo la Chiesa annunzia che la stessa vita dell’uomo non ha scopo immediato che possa esaurirla. È pura bellezza, perché chiamata a essere atto d’amore, privo di qualunque fine che non sia il dono di sé. Così, oggi, Maria viene offerta al nostro sguardo.


VITA PASTORALE N. 10/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero dell'arcidiocesi di Modena-Nonantola)

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