Battesimo del Signore (C)


ANNO C - 10 gennaio 2010
Battesimo del Signore

Is 40,1-5.9-11
Tt 2,11-14;3,4-7
Lc 3,15-16.21-22

IN CRISTO NOI SIAMO
"IL FIGLIO AMATO"

Il vangelo di Luca è popolato da attese dense di meditazione e ricerca. Lo stesso silenzio stupito e aperto al mistero che segnò la nascita del Battista (1,66) si rinnova nei cuori del popolo da lui battezzato. La gente accorsa al Giordano intravvede in lui i tratti del Messia. Con totale determinazione il Precursore orienta l'attesa non verso il proprio battesimo, compiuto con l'acqua, ma piuttosto verso quello che amministrerà l'uomo «più forte» (3,16) a cui egli non è degno di sciogliere i legacci dei sandali. Toccherà al Messia battezzare in Spirito Santo e fuoco, comunicando cioè l'impronta stessa della vita di Dio e compiendo così il giudizio sulle opere dell'uomo. Lo Spirito, infatti, è il respiro stesso del Padre, la sua vita. Invece il fuoco cui allude il Battista ha qui chiara valenza di discrimine, come mostra il versetto 17, espunto dal nostro testo e come conferma il v. 9: ogni albero che non produce frutti buoni viene gettato nel fuoco.
La comparsa di Gesù è però piuttosto diversa dal ritratto pennellato dal Battista. Secondo il Precursore l'opera di Cristo sarebbe stata eminentemente attiva. A lui spettava conferire piena verità al rito espletato nel Giordano come assoluto protagonista. Invece non accade così. Se il popolo avesse dovuto basarsi sull'indicazione di Giovanni, non avrebbe potuto riconoscere il Cristo in colui che fu battezzato per ultimo, in preghiera, nel Giordano. Accadde per lui esattamente come loro, senza alcuna differenza.

Il primo volto, dunque, che Gesù manifesta all'umanità è passivo, recettivo. Egli non dà nulla, né giudica nessuno. Si confonderebbe con i peccatori se non fosse che su di lui scende quello stesso Spirito in cui avrebbe dovuto battezzare. Ma in quello Spirito Gesù è battezzato, prima di battezzare alcuno. Egli è tutto nell'atto di ricevere e ascoltare la voce celeste. Emerge con straordinaria forza il carattere filiale del Cristo. La sua prima ed eminente virtù è accogliere l'amore paterno significato dallo Spirito. Non c'è nulla che abbia anche solo lontanamente il sapore della prestazione morale, volontaristica. Se il battesimo è immersione nel mistero di Cristo quello di Gesù esprime al massimo grado la compenetrazione trinitaria del Figlio nel Padre, per mezzo dello Spirito. L'opera essenziale della fede è questa. Troppo spesso il carattere filiale è stato da noi inteso come fucina di meriti con cui guadagnare l'accesso al paradiso. La fede non è credere al valore delle opere buone, per altro indiscutibile, ma credere all'amore che il Padre ha per noi. Il battesimo di Gesù ci mostra come il lasciarsi amare non sia meno degno dell'amare. Qui sta la grandezza prima di Gesù, lui che è rivolto verso il seno del Padre (Gv 1,18). La recettività è significata in modo sublime dal dettaglio, solo lucano, della preghiera (v. 21). Gesù viene battezzato - non da Giovanni che già è in carcere - mentre prega, ossia mentre dilata il cuore per accogliere tutta l'effusione dello Spirito. La preghiera cristiana altro non è che dilatazione di un cuore asfittico, perché finalmente adegui se stesso all'ampiezza, all'altezza e alla profondità dell'amore effuso dal cielo.

Se accogliamo la passività come elemento decisivo del battesimo, possiamo comprendere appieno il simbolo dell'acqua e il senso del verbo "battezzare", che significa immergere. La seconda persona della Trinità ci manifesta il Padre immergendosi nell'uomo. Questa è l'incarnazione del Verbo celebrata lungo tutto il tempo di Natale, che oggi si conclude. Dio viene immerso in noi perché noi ci immergiamo in lui. Egli discende fino in fondo, come ogni uomo vedrà nelle tenebre del Venerdì santo. L'assunzione della natura umana giunge fino a immergersi nella morte. Di quella morte il battesimo è profezia, in quanto associato al peccato, causa prima della morte dell'uomo. Gesù discende nell'acqua con i peccatori e discenderà nella tomba come tutti i figli di Adamo, segnati dalla disobbedienza. Ma se, fino a ora, il dilagare dell'acqua che tutto travolge indicava senza dubbio la potenza mortifera del peccato che non risparmia nessuno da una fine angosciosa, con il battesimo di Gesù dilaga una forza di vita che spazzerà via il dominio della morte. La colomba dello Spirito ricorda la fine del diluvio a significare che ormai la terra è abitabile, per fare di noi stessi, dell'umanità una terra nuova in cui possa risiedere l'amore del Dio vivente, unica giustizia del mondo.
Possiamo allora comprendere perché i cieli si aprano. Il cuore del Padre si rivela un cuore aperto, come aperto, persino squarciato, sarà il cuore del Figlio sull'altare della croce. Il cuore di Dio si è spalancato affinché, immerso nel nostro abisso, anche il nostro cuore indurito possa finalmente lasciare almeno una breccia, uno spiraglio all'acqua della vita. Le porte della misericordia sono dischiuse perché la nostra miseria, che attrae la sua misericordia, è un abisso che finalmente è stato aperto. La chiave che penetra la nostra durezza è costituita dalle parole che il Padre pronuncia per il Figlio e per ogni figlio che voglia immergersi in lui. Il nostro vangelo è tutto riassunto dalle parole che raggiungono Gesù, come lo raggiunge lo Spirito che si posa su di lui. Siamo noi, in Cristo, questo "Figlio amato". Non siamo figli perduti. Non siamo più esseri di tenebra e disperazione, ma siamo figli della luce, trasparenza dello Spirito Santo, portatori di Dio.


VITA PASTORALE N. 11/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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