II Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 17 gennaio 2010
II Domenica del Tempo ordinario
Is 62,1-5
1Cor 12,4-11
Gv 2,1-12

IL VINO NUOVO MOSTRA
IL VOLTO DELLO SPOSO

Il percorso domenicale dell'anno C permette di contemplare in sequenza le tre manifestazioni del Figlio di Dio: l'Epifania, il Battesimo e le nozze di Cana. Specie la Chiesa d'Oriente ha considerato i tre eventi in una intensa unità di sguardo. Il Cristo si manifesta alle genti rappresentate dai Magi; si rivela a Israele come unto e inviato del Padre nelle acque del fiume Giordano e, da ultimo, compie il primo dei segni a Cana perché i discepoli possano credere in lui. Il Bambino riconosciuto re dai pellegrini d'Oriente viene additato da Giovanni Battista come Messia. Eppure la grandezza del mistero è svelata del tutto solo quando appare la sua nuzialità. Il re messia è sposo di Israele e suo redentore. Già la solennità del Battesimo aveva mostrato l'unione del Figlio di Dio con la creazione, rappresentata dall'acqua che egli santifica entrandovi e immergendovisi. Ora il cosmo che geme come nelle doglie del parto vede in Cristo il proprio riscatto.
Se gli elementi della creazione potranno essere veicoli dello Spirito nell'economia sacramentale, è perché il Cristo li ha "sposati" attraverso la propria incarnazione. La solitudine è vinta, ogni viaggio, come quello intrapreso dai sapienti astrologi giunti a Betlemme, ha la propria meta. L'esistenza assume un colore e un sapore diversi, ora che lo sposo ha manifestato il suo volto. Ciò che avviene dell'acqua del Giordano è quanto accade all'acqua delle sei pesanti giare di pietra usate a Cana per la purlficazione dei Giudei. Ma soprattutto il cuore umano e il suo slancio d'amore è trasformato da Colui che rappresenta il vino migliore, più buono, vertice del dono trinitario all'umanità.

Per gustare il vino nuovo non è tuttavia necessario aver ricevuto il sacramento del matrimonio e vivere l'esperienza dell'amore coniugale. Infatti, la prima e vera sposa offerta a ogni uomo quando nasce è la vita. La vita stessa è il primo amore di ogni uomo, la donna da amare, da custodire, cui essere fedele. È il legame fondamentale che ci costituisce. Chi ama teneramente questa sposa, conosce la felicità, trascorre giorni ricchi di meraviglia e di stupore. Il primo compito dell'uomo, indicato anche dal comandamento di Levitico 19,18 («Amerai il prossimo tuo come te stesso»), è maturare un vero affetto per la grazia della vita, accogliendola con riconoscenza. Non per nulla, la vita, nostra sposa, porta con sé un'immensa dote carica di fatti, cose e persone. Si tratta di una dote davvero straordinaria. Il divorzio da essa non ci è consentito. Neppure la morte ci separa definitivamente dalla vita. Noi siamo eterni e vivremo, seppure in forma diversa, senza fine. Il nostro matrimonio con la vita è stato benedetto per l'eternità. Se un giorno lasceremo il nostro corpo sarà solo temporaneamente, per poi riprenderlo alla risurrezione dei morti. Eppure, anche questo matrimonio, di cui le nozze di Cana sono simbolo, conosce crisi e momenti di difficoltà, come a una festa cui mancasse il vino, segno di gioia e letizia. Chi di noi non ha conosciuto il dolore, la noia o il grigiore nella vita? Anche questa magnifica sposa non riesce a nascondere le sue rughe. Terminato il vino, rimane l'acqua, incolore e insapore.

Il racconto delle nozze di Cana è davvero specchio della nostra esistenza. A risolvere la crisi interviene l'intuito di una madre - le madri vedono sempre cose che altri non vedono - e la collaborazione anonima di alcuni servi, ma soprattutto la sovrabbondante misericordia di Dio che si manifesta nel cuore di Cristo, lui invitato quasi per sbaglio, per ragioni di convenienza. Se leggiamo l'inizio del testo, la vera invitata è Maria (v. 1). Dal versetto successivo apprendiamo che anche Gesù e i suoi discepoli furono chiamati al banchetto. Accade spesso che, per sovrabbondanza di posti o di alimenti, la festa venga allargata anche a persone non così intime come gli amici veri. Eppure una presenza poco più che casuale si rivela decisiva. Così è della nostra esperienza di fede. Attraverso la mediazione di qualcuno, avviene l'incontro con colui che solo tangenzialmente sfiorava pensieri, progetti e scelte della vita.
È Cristo che riporta il vino, la gioia, il sorriso. È lui che riaccende la speranza in misura incredibilmente ricca: i quasi 600 litri di vino contenuti dalle sei giare sono un segno palese del modo in cui Cristo riporta la gioia ravvivando l'amore per noi stessi, per gli altri e per il Padre. L'unica misura dell'amore di Gesù è non avere misura. L'evangelista vuole allora chiaramente indicarci che è giunto il tempo del compimento, il tempo dell'Ora del Figlio, l'Eccessivo che ci aprirà i tesori della misericordia del Padre. È la Nuova Alleanza, sigillata, come nell'Antico Patto, da un banchetto. Quando essa si compirà nell'innalzamento del Golgota, l'aceto offerto al Figlio di Dio per placare la sua sete indicherà l'amore corrotto dell'uomo, vino andato a male, sempre bisognoso di nuova linfa. L'acqua e il sangue che usciranno dal costato trafitto mostreranno a chi sa contemplare quale tesoro dischiuda la Pasqua del Figlio di Dio. L'acqua a Cana è cambiata in vino ma, nella dinamica che dal battesimo conduce all'eucaristia, il vino nasconde e allude al dono del sangue stesso di Gesù. Nell'immediato a noi resta l'invito di Maria, mai reso dalle traduzioni con sufficiente forza. Maria dice ai servi: «Qualunque cosa vi dirà, fatela». La Madre di Dio non ci invita a obbedire in virtù della prevedibile e razionale misura della parola di Dio. Siamo chiamati a obbedire solo a motivo di chi la pronuncia.

VITA PASTORALE N. 11/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


torna su
torna all'indice
home