Santissima Trinità (C)


ANNO C - 30 maggio 2010
Santissima Trinità

Pro 8,22-31
Rm 5,1-5
Gv 16,12-15

IL MISTERO DI AMORE
CHE CI È STATO SVELATO

La frase di apertura dell'odierna pagina evangelica assomiglia a un autentico programma di vita tracciato da Gesù per tutti i suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi» (v. 12). Non ci sono parole più adatte per conferire alla nostra esistenza un compito preciso: mantenerci in un costante ascolto di Cristo, spazzando via quella superficiale sensazione di ripetitività che possiamo a volte avvertire ascoltando ancora una pagina evangelica che riteniamo di conoscere. Se anche i brani si ripetono identici a se stessi, rimangono tuttavia lo strumento principe del dialogo che il Figlio di Dio vuole intessere con ciascuno di noi. Se la Parola non cambia, siamo però noi a cambiare. Essa cresce con noi che la leggiamo, secondo il famoso adagio di Gregorio Magno. La vita cambia e ci cambia.
Possiamo intendere la sua evoluzione in modo differente: un frutto che matura, una pagina che ingiallisce, una sigaretta che progressivamente si consuma. Oppure come un progressivo entrare nel Mistero di Cristo comprendendo chi sia Gesù per noi e noi per Lui. Basti pensare a quanto della realtà trinitaria che oggi contempliamo non avremmo potuto assimilare anche solo qualche anno fa. Il motivo non è l'aumento della nostra intelligenza o la nostra migliore disposizione. È il tempo che scorre e gli eventi che ci interrogano a tuffarci con più vigore, nostro malgrado a volte, nella comprensione vitale, non intellettuale, del Mistero trinitario. Lo scopriamo più presente, seppure in modo velato e nascosto. Qualche tempo fa, rubando ancora parole al v. 12, non eravamo semplicemente «capaci di portarne il peso».

La frase pronunciata da Gesù per i discepoli ci è familiare. Spesso rimaniamo in silenzio davanti a chi non è ancora in grado di capire ciò che ci sta a cuore, senza comunicarlo. Non solo perché siamo di fronte a bambini. Ci sovvengono situazioni difficili o scelte errate che abbiamo dovuto tenere nascoste. Ma pensiamo anche all'amore che abbiamo dato e non è stato capito. Le cose grandi della vita, belle o brutte, necessitano di tempo per essere comprese. Servono vita, silenzio e solitudine per capire bene l'amore che abbiamo ricevuto. Un giorno non eravamo capaci di portarne il peso. Nel Dio trinitario questi due aspetti di silenzio e attesa nella rivelazione del proprio mistero d'amore coincidono. Il Dio di Gesù Cristo è soprattutto perdono. Se il peccato è un peso che ci schiaccia e soffoca, noi scopriamo questo stesso peso leggero nella luce nuova di Dio. Chi ha sperimentato il perdono, conosce la novità che genera. Passa dalla rimozione di ciò che non riusciva a ricordare fino alla dolcezza di ricordare tutto alla luce della misericordia che ha sperimentato. Il peccato gli viene restituito come alleggerito e trasfigurato. È un peso nuovo e diverso che il peccatore non era ancora capace di sorreggere.
Lo stesso amore rivela anche peccati che ancora non sentivamo. Eravamo insensibili perché eravamo insensibili all'amore. Non si può capire veramente il peso del male compiuto se non si avverte quale amore ha ferito e rinnegato. Per questo abbiamo ancora molte cose da ascoltare (v. 12). E lo Spirito, amore di Dio versato nei nostri cuori (Rm 5,5), come afferma Paolo nella seconda lettura, a guidarci alla verità tutta intera (v. 13). Egli lo può fare perché, come ancora afferma Gesù nel vangelo (v. 13), «non parlerà da sé». La verità tutta intera non può mai essere quella di uno solo. È facile distruggere una relazione importante, ritenendo che la verità tutta sia posseduta da uno solo dei poli in rapporto. È invece veramente mio solo quello che è anche dell'altro: questa è comunione autentica. Infatti, la verità trinitaria di cui non siamo capaci di portare il peso è essenzialmente relazione. Il dialogo incessante tra noi e Cristo non è un dialogo a due, ma a quattro.

Lo Spirito prende dal Figlio (v. 14). Ma ciò che è del Figlio è anche del Padre (v. 15). Che cosa è allora la verità tutta intera a cui saremo guidati se non la relazione che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? Noi siamo progressivamente condotti dentro questo eterno dialogo. La verità è il legame d'amore che costituisce l'unità del nostro Dio. Non si tratta allora di nuove acquisizioni concettuali. Questa verità comunionale giudica la nostra vita e le nostre relazioni. La Trinità è infatti mistero di condivisione dove ogni persona è se stessa e, allo stesso tempo, condivide tutto con l'altro. In essa, tutto ciò che è posseduto veramente da Uno è anche dell'Altro. Questo rovescia la nostra mentalità dove ciò che è intimamente nostro non può appartenere anche ad altri. Siamo gelosi e difendiamo tratti peculiari della nostra storia e identità come se essa dipendesse dall'esclusività.
È la dinamica del dono a permetterci di comprendere invece cosa accada in Dio. Il dono, infatti, è ciò che rimane mio proprio perché è perduto a favore di un altro, divenendo mio e suo; mio in quanto donatore, suo in quanto destinatario del dono. L'evento del dono mantiene contemporaneamente il possesso in me e nell'altro. Dono infatti solo ciò che possiedo. Solo perché è mio può appartenere a un altro. Ciò che avviene con le cose accade con la nostra stessa vita. Ci possediamo davvero solo nella misura in cui ci doniamo. Questa solennità emenda il nostro modo di vivere. Lo sconvolge dall'interno. Solo nella comunione delle Persone, dono che esse fanno di sé all'altro, trovo la verità tutta intera. Essa è la vita, la vita stessa di Dio Padre che è Figlio e Spirito Santo.



VITA PASTORALE N. 4/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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