XIV Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 4 luglio 2010
XIV Domenica del Tempo ordinario

Is 66,10-14c
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20

LA MESSE È MOLTA
GLI OPERAI SONO POCHI


Siamo di fronte al terzo invio registrato dal vangelo di Luca. In 9,1-2 i Dodici erano stati mandati a predicare e a guarire senza la presenza di Gesù; i messaggeri di 9,51 erano stati mandati a preparare l'accoglienza a Gesù; i settanta o settantadue combinano le due funzioni: predicare e guarire, ma in vista dell'arrivo di Gesù (v. 1). A differenza di quanto suggerito ai Dodici, qui le istruzioni per la missione si aprono con un'affermazione piuttosto paradossale, specie nella prima parte: «La messe è molta» (v. 2). La situazione, al momento in cui Gesù pronuncia queste parole, non è molto diversa da quella in cui ci muoviamo noi. Il Signore si trova in Samaria, in terra ostile, dove già ha subito dei rifiuti (9,53). Forse alla collocazione della scena dobbiamo anche la scelta dell'immagine per descrivere l'invio: agnelli in mezzo ai lupi. Esisteva un baratro tra samaritani ed ebrei non facilmente colmabile. La prospettiva non era insomma agevole per i missionari inviati dal Maestro.

Non solo, se consideriamo i vv. 13-15, espunti dal passo che leggeremo in questa domenica, vediamo altre località della Galilea fino alla stessa Cafarnao, luogo di un'intensa predicazione da parte di Gesù, rimproverate per la loro freddezza e incredulità. Sembra che la Parola non abbia attecchito per nulla. Tiro e Sidone avranno, per queste ragioni, miglior sorte nel giudizio finale. Se riandiamo anche alla parabola del seminatore da dove è probabilmente attinta l'immagine della semina (Lc 8,4-8), ricorderemo come solo un quarto del terreno accolga la Parola. Il bilancio complessivo non è certo ottimale. Gesù è pure avversato e respinto dalle autorità giudaiche, come appare dal capitolo successivo. Eppure, afferma il Maestro: «La messe è molta». È talmente fitta da sancire l'insufficienza degli operai. Ne servirebbero di più. La preghiera sarà dunque la necessaria apertura di ogni campagna missionaria. Appare tuttavia chiaro come la preghiera non sia necessaria per garantire un raccolto abbondante. Questo c'è già. La questione è ormai la sola raccolta, certamente indispensabile, ma seconda rispetto alla fase delicata della semina e della crescita.
Ai nostri tempi, la lamentela vocazionale rispetto alla scarsità degli operai è invece sempre affiancata a quella della scarsità della messe. Il problema non è solo la diminuzione delle forze che annunciano e testimoniano il Signore. È il calo drastico di cristiani, specie nelle giovani generazioni. La sensazione condivisa da più parti è che manchi la prossima generazione credente. I dati sono inconfutabili e i numeri rimangono numeri. Tuttavia, la parola odierna ci invita a guardare più in profondità e a non dimenticare i tanti stupefacenti incontri che capita di vivere nelle nostre comunità parrocchiali; sono incontri che testimoniano in maniera inequivocabile l'opera dello Spirito, silenziosa semina nei cuori, infallibile irrigazione dell'anima là dove il Paraclito trova un piccolo spiraglio aperto dalla libertà umana. Giungono persone che ormai appartengono al Signore Gesù, Signore che hanno trovato o riscoperto in modi imprevedibili e lontani anche dalla nostra migliore creatività pastorale. Se hanno certo bisogno di cura e di ascolto perché il primo incontro con Dio divenga consuetudine di vita, è altrettanto vero che il più già appare compiuto. La sete di Dio, la sete della Parola, il desiderio di pregare sono radicati e intensi. Devono solo essere assecondati, non senza fatica da parte delle nostre comunità dove c'è veramente di tutto, eccetto che scuole della Parola e scuole di preghiera.
Sono incontri che ci sorprendono e ci rianimano, mostrando la verità della paradossale affermazione di Gesù: allora come oggi, la messe è molta. A noi spetta semplicemente la raccolta di quanto Dio ha operato. Lui è il Signore della messe, come potremmo tradurre l'originale greco nel v. 2. Non c'è spazio allora per un pessimismo che coinvolga l'azione misteriosa e nascosta dello Spirito, capace di muovere i cuori perché gridino finalmente «Abbà, Padre» con una forza a noi sconosciuta. I nostri occhi sono velati. Non sanno vedere dove raccogliere tutto quanto Dio semina e attende semplicemente di essere raccolto. Siamo presi da altro, dobbiamo dirlo. Siamo occupati dalla nostra pastorale obesa, tale da impedirci di camminare ancora per le strade dell'uomo, in compagnia di chi la percorre come noi, casi da udire i gemiti dello Spirito che si levano da tante persone e situazioni.

La leggerezza del discepolo inviato (v. 4) possiamo intenderla anche come una povertà di mezzi proporzionati alla pochezza dello sforzo. Non servono ingenti mezzi o risorse sconfinate per raccogliere quanto Dio ha già fatto crescere. Non serve neppure la forza del lupo che incuta timore o paura. La possibilità del rifiuto rimane. Essa infatti è segno ultimo della vera libertà dell'interlocutore. Nella logica evangelica questi non viene sedotto o ammaliato, ma semplicemente raggiunto dalla discrezione di un evangelizzatore che manifesta con la propria pochezza la scelta di Colui che ha assunto la forma di servo, divenendo simile agli uomini. A noi resta la preghiera perché questi operai non manchino e perché possiamo assumerne i tratti veramente evangelici. La nostra ricompensa è indicata dal v. 20. I nostri nomi sono scritti nei cieli. Siamo messe raccolta nei granai del regno di Dio. Siamo nella memoria di Dio. Tutto il resto, anche i nostri successi o insuccessi, conta decisamente meno.


VITA PASTORALE N. 6/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)



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