XXXI Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 31 ottobre 2010
XXXI Domenica del Tempo ordinario

Sap 11,22-12,2
2Ts 1,11-2,2
Lc 19,1-10

SE CRISTO ENTRA
IN CASA NOSTRA

Nel testo di Zaccheo la parabola dei "due figli" o «del padre misericordioso» (Lc 15) trova la sua perfetta trasposizione e diviene fatto di cronaca. Sono molti i punti di contatto, anche linguistici, tra i due testi. Ma l'insieme delle due narrazioni, nel loro complesso, si mostra di una complementarità totale. In Zaccheo, il figlio minore torna alla casa del Padre (15,20) grazie al Figlio primogenito che sceglie di entrare nella casa del figlio perduto (19,5). Se è il capo dei pubblicani, peccatore, che cerca di vedere chi sia Gesù (19,3) è molto più vero che già il Figlio dell'uomo, molto prima, era in cerca della pecora perduta e della moneta smarrita e come il padre della parabola vede il prodigo quando è ancora lontano (15,20), così Gesù precede e anticipa Zaccheo, preso nei suoi rocamboleschi sforzi per scorgere il Nazareno.

Gesù, primo, alza lo sguardo (19,5) per incontrare colui che presumeva di avere tutto (19,2) ma non possiede veramente nulla di importante di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo. Per questo il capo dei pubblicani saprà restituire ciò che ha rubato e dare in elemosina la metà dei propri averi (19,8). La sua gioia è grande (19,6). Ma è solo un pallido riflesso di quella festa che si scatena in cielo per un solo peccatore che si converte (15,7.10). Il cuore di Dio gioisce intensamente per ogni figlio perduto che viene ritrovato, perché errare lontano dal Padre significa la morte. Zaccheo era morto ed è tornato in vita, come il figlio minore della parabola (15,32). L'esordio del racconto per noi è mistero e mistero deve rimanere. Mentre Gesù attraversa la città che introduce alla terra promessa, oasi nel deserto, città delle palme in contesto di aridità, in un cuore arido si risveglia la nostalgia di una nuova vita.
Perché Zaccheo cercava di vedere Gesù? Questo uomo era, diremmo oggi, un "arrivato", economicamente e socialmente. Eppure non resiste al richiamo di un personaggio di nome Gesù. Non sappiamo cosa sia avvenuto nel cuore di Zaccheo ma il suo gesto è per noi davvero Vangelo, in un tempo in cui la sete di sacro sembra dissociarsi dalla fede cristiana. C'è un impulso a cui il cuore umano in ogni tempo e condizione non sa resistere. Questo moto dello Spirito è la nostra speranza e la nostra consolazione. Impareremo sempre più a scorgerlo in chi ritorna, dopo anni, alla fede, ora che le nostre risorse pastorali vanno esaurendosi e la nostra presenza sul territorio sembra impallidire fino a diventare irrilevante. Oggi più di allora, la folla può frapporsi tra chi cerca Cristo e il suo volto. Oggi più di qualche decennio fa incontriamo persone di "bassa statura" (19,3), non tanto in riferimento alle qualità morali o intellettuali, ma quanto alla storia di fede. Ci sono persone che non hanno quasi mai sentito parlare di Dio nella propria casa, non hanno avuto il supporto di comunità capaci di testimoniare o la grazia di amicizie che seminassero qualche grande domanda nel cuore. Il loro svantaggio è grande, la strada da fare è tanta. Più che tornare alla fede è come se, in alcune circostanze, udissero l'annuncio della misericordia per la prima volta, magari in circostanze casuali o legate a prassi pastorali tradizionali. Eppure anche Zaccheo, di bassa statura, riuscirà a incontrare il Cristo. Basta un anonimo sicomoro. Esiste la circostanza in cui una pianta all'apparenza solo ornamentale, come tante nostre pratiche di fede, si rivela decisiva.
Se ha un senso proseguire il nostro cammino, a volte immersi in una indifferenza che ferisce più dell'ostilità, è precisamente perché qualcuno, per motivi noti solo allo Spirito del Padre, usi tempi e luoghi della nostra vita liturgica e catechetica e improvvisamente se ne serva per superare gli ostacoli che la vita e le sue vicende hanno frapposto fra lui e il Signore Gesù. Ciò che stupisce è come la folla che attornia il Maestro possa mormorare contro Zaccheo. Il verbo greco è il medesimo che apre le parabole della misericordia in 15,2. Il gesto è lo stesso del fariseo contro il pubblicano e tutti gli altri "ingiusti" (18,11). In realtà la mormorazione della gente non è contro Zaccheo ma contro Colui che lo accoglie con tanta determinazione. La critica al peccatore che ritorna non è mai solo critica all'uomo, ma è contestazione del Dio che cerca instancabilmente i perduti.

Il fenomeno anche tra le mura delle nostre chiese e delle nostre opere parrocchiali non è raro e mostra quanto possiamo essere lontani da Dio noi che continuamente camminiamo assieme a Lui, proprio come la folla che accolse Gesù che attraversava Gerico. Ciò che divide Zaccheo dai suoi contestatori è la percezione della propria casa vuota. Noi apriamo la porta a Cristo con tutto noi stessi quando riconosciamo che la nostra interiore dimora è davvero vuota, accettando che solo Lui possa salvarci. Il gesto della comunione eucaristica compie in noi la parola che oggi ci è dato di ascoltare.
Cristo viene a dimorare presso di noi. Questa è l'unica necessità che egli avverte, come ci ricorda il forte verbo greco del v. 5, verbo che potremmo rendere così: «È necessario che io mi fermi a casa tua». Se c'è un imperativo nel cuore di Dio è varcare la soglia di un cuore smarrito per rinfrancarlo. Ci sia concessa la grazia di corrispondere a questo inesauribile desiderio divino con le parole dei due discepoli di Emmaus, perfetta replica alle parole che Gesù rivolge a Zaccheo: «Resta con noi, Signore, perché ormai si fa sera» (Lc 24,29). Solo quando anche il nostro intimo arderà per Cristo, come il suo arde per noi, l'incontro sarà totale.

VITA PASTORALE N. 8/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)

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