Epifania del Signore (A)


ANNO A - 6 gennaio 2011
Epifania del Signore

Is 60,1-6
Ef 3,2-3a-5-6
Mt 2,1-12

STORIE AFFASCINANTI
TRADOTTE IN IMMAGINI

Spesso fede e infanzia vengono assimilate e l'allontanamento dalla fede diviene sinonimo di emancipazione e di maturazione. Credere, invece, e soprattutto credere a una rivelazione di Dio attraverso la storia, è molto più difficile che non credere, proprio perché chiede di entrare in gioco con tutto se stessi, anche con la ragione. Dovremmo domandarci se per molti il Natale resta inesorabilmente ancorato alla nostalgia di infantili paradisi perduti anche perché i racconti evangelici che scandiscono il tempo liturgico natalizio vengono troppo spesso presentati alla stregua di favole da bambini. Sono storie affascinanti, che la nostra tradizione cristiana ha tradotto in immagini visivamente straordinarie, che abbiamo messo nelle nostre case tutte le volte che abbiamo costruito un presepio e che sono care alla nostra biografia personale. Se considerate in questo modo, però, ci ingannano.

Matteo, è vero, apre la sua narrazione della vita e della missione di Gesù di Nazaret e, soprattutto, la sua presentazione della figura del Messia, il figlio del Dio vivente, con una serie di scene che insistono sul fatto che è avvenuto qualcosa di straordinario. Ciò che è straordinario, però, è quanto è avvenuto, e non come è avvenuto. Interrogarsi su quanto è avvenuto vuol dire ricercare l'intelligenza della fede, mentre insistere sul come di avvenimenti straordinari costringe la fede a transennarsi dietro un'impossibile ingenuità. Il racconto dell'epifania del Signore non è una storia fantastica di angeli e di sapienti, di pastori e di stelle. È racconto che evoca le promesse scritturistiche, scena drammatica in cui la signoria di Dio impatta con i poteri di questo mondo, composizione di elementi che concorrono a indicare la venuta del Messia come punto di non ritorno della storia. Erode, che non entra mai nel numero dei personaggi del presepio, ne è invece protagonista almeno quanto i tre sapienti venuti da lontano.
Dal racconto non emana soltanto la luce calda e confortante della stella ma anche quella livida e sinistra del rifiuto e dell'ostilità. La manifestazione di Dio, l'epifania del suo Messia, è motivo di forte turbamento per qualsiasi forma di potere, per qualsiasi status quo, anche quello della "città santa". Matteo sa molto bene che il breve racconto della manifestazione di Gesù ai sapienti venuti dall'oriente interpella i suoi uditori in modo diretto e decisivo come Erode interpella i conoscitori delle Scritture: credete voi che in quell'uomo Dio si è manifestato al suo popolo Israele? C'è di più, però: i cristiani della comunità matteana sono chiamati a credere che Dio ha compiuto quanto aveva promesso, ma anche che la promessa divina ha raggiunto ormai tutti i popoli. La continuità tra promessa e compimento appare, però, in tutta la sua drammaticità. Il discendente di Davide si contrappone ad altri re che pretendono di esercitare la sovranità sul popolo di Dio. Davide ed Erode: l'Israele della promessa di Dio e l'Israele tradito. Il Messia che viene conferma l'uno e rinnega l'altro. Per questo il cielo su Betlemme è livido, non trasparente e stellato. L'ira di Erode esploderà nel più orrendo dei modi: uccidere tutti pur di uccidere uno. Il futuro porterà invece Gesù a morire lui, solo, per tutti.

La tradizione popolare ha trasformato i magi in re. In un mondo abitato da tante teste coronate, la scena di re che si inchinano riconoscendo la superiorità del potere divino deve aver avuto certamente un suo fascino. In realtà, i personaggi venuti dall'oriente sono dei "sapienti". Rappresentanti della casta sacerdotale persiana o, anche, della teologia orientale, della filosofia e della scienza naturale, sono pagani che riconoscono in Gesù la salvezza. Non grazie alla loro intelligenza o alla loro scienza, ma grazie alla volontà di Dio. Questo il senso della stella e ancora una volta, come per Giuseppe prima della nascita di Gesù, dei sogni rivelatori: è Dio in prima persona che conduce la storia della salvezza. I cristiani della comunità di Matteo, provenienti dal giudaismo, fanno fatica ad accettare che anche dei pagani entrino a far parte della comunità dei credenti in Gesù. Inserire i magi nel presepio non è operazione di poco conto. Il Messia non è forse per Israele? Chi sono i pagani che oggi vengono per adorarlo? Ancora una volta, quando si traduce in una raffigurazione semplificante, una pagina evangelica rischia di perdere la sua forza teologica.

La manifestazione di Dio nel suo Messia non mette in discussione soltanto il potere politico degli Erode di questo mondo o i sacerdoti posti a difesa di un sistema religioso tanto immutabile quanto implacabile, ma scalza anche la pretesa di catturare Gesù dentro confini etnici e religiosi. Che equivale a voler catturare Dio dentro rigidi schemi teologici. La lunga tradizione di fede ebraico-cristiana ci insegna che l'anelito alla salvezza delle genti lontane si scontra con coloro che hanno fatto di Dio una loro proprietà. Per l'evangelista, lo sconcerto dei giudei di fronte alla nascita del Messia e all'universalità della salvezza di Dio può essere superato soltanto facendo ricorso al Dio degli oracoli profetici: Dio non contraddice se stesso, Dio è fedele e realizza nella storia quanto la sua parola ha già annunciato. Come sempre però, la profezia mette a nudo la verità dei cuori: Erode la ascolta e decide di opporvisi; i sapienti venuti da oriente ne seguono le tracce per portarla a compimento. Uno dice di voler venire ad adorare, gli altri si prostrano e adorano.

VITA PASTORALE N. 11/2010
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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