Maria SS. Madre di Dio


ANNO A - 1° gennaio 2011
Maria SS. Madre di Dio

Num 6,22-27
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21

DONNA DELLA PACE
E DELLA BENEDIZIONE

Quando celebra la liturgia domenicale, la comunità cristiana dichiara la sua disponibilità alla conversione e la sua intenzione di intraprendere cammini di riconciliazione. La memoria liturgica di Maria Madre di Dio, celebrata il primo giorno dell'anno civile che Paolo VI ha istituito come Giornata mondiale della pace, impone ai fedeli cattolici un interrogativo scottante: perché proprio intorno a Maria si è consumata un'aspra divisione tra le tradizioni cristiane? Maria, che per il Vangelo è la «benedetta tra tutte le donne», colei che «tutte le generazioni proclameranno beata», è stata invece trasformata in motivo di divisione e occasione di scontro.

Maria è innanzi tutto una donna e proprio in quanto tale è condizione perché il Messia venga donato al mondo. L'antica formula di fede cristologica che Paolo cita nella lettera ai Galati è quanto mai esplicita al riguardo. Prima di ogni altra raffinata speculazione, credere nell'incarnazione del Messia significa affermare di lui due cose: che è figlio di una donna e che appartiene al popolo della Legge. Una donna è la condizione perché Gesù sia davvero uomo tra gli uomini. Si tratta di cristologia, prima ancora che di femminismo. Tutte le volte che si separa Maria dalla sua carne di donna è a rischio la fede nell'incarnazione. Come, del resto, tutte le volte che si pensa l'umano senza ricordare che è stato «tessuto nel grembo di sua madre» (Sal 139,13). Anche Gesù stesso.
Per l'evangelista Luca, poi, Maria è un'ebrea. Giovane donna di Nazaret, ha vissuto anche lei l'attesa e l'incertezza della venuta del Messia. Figura dell'Israele che non si è prostituito alle regole del mondo né si è messo contro il mondo, ma che aspetta solo da Dio la sua salvezza, Maria "custodisce" l'identità che viene dalla promessa e sa attendere perché è capace di vedere che Dio è all'opera. Appartenere al popolo dell'elezione non rappresenta per lei un privilegio socio-religioso, ma un compito teologico per arrivare a cogliere il senso degli oracoli profetici e, attraverso di esso, il senso della vita, del mondo e della storia.

L'annunciazione costituisce per Maria il «bandolo della matassa», il filo rosso da cui tutto prende senso. L'attesa messianica ha fatto ormai maturare la certezza che profezia e compimento sono inscindibili. La vocazione profetica della ragazza di Nazaret rivela proprio questo: la promessa si fa compimento, non appartiene alle parole e agli oracoli, ma alla carne e alla storia. Non a caso Luca ci tiene a sottolineare che nel momento del compimento, cioè della nascita, l'obbedienza di Maria a quella chiamata è totale. In quanto donna ebrea deve far circoncidere il figlio maschio obbedendo alla Legge, ma il nome verrà imposto al bambino in obbedienza a una visione e a una chiamata profetica che ha incrociato il suo corpo, la sua storia, la sua libertà. Si tratta di una economia, non di un privilegio strettamente personale. Con l'annunciazione ha avuto inizio per Luca l'era dello Spirito. Maria come Elisabetta, Zaccaria come Giuseppe, Simeone come Anna, e anche i pastori, tutti sono ormai entrati nel tempo dello Spirito, il tempo finale in cui è possibile rendere pienamente gloria a Dio perché è il tempo della pace messianica.
Non deve stupire allora che proprio la preghiera di benedizione che, nel Libro dei Numeri, suggella la cerimonia del nazireato, cioè della consacrazione di un figlio di Israele a Dio, costituisca la chiave di volta di tutta la liturgia della Madre di Dio. Non solo, evidentemente, per collegare il messianismo di Gesù al nazireato anticotestamentario, né soltanto per richiamare, dato il vincolo stretto tra identità e benedizione, il senso messianico del nome imposto a Gesù per volere di Dio. Soprattutto, perché per Israele ciò che Dio fa nei confronti del suo popolo, dalla liberazione all'elezione, dal dono della Legge a quello del Messia, è accompagnato dalla benedizione.

La chiamata e l'elezione divine significano che i «nati di donna e nati sotto la Legge», non sono più schiavi di nessuno e per questo sono liberi di chiamare Dio «Abba! Padre!». Questo il Messia ha fatto, questo ha rivelato come possibile, questo ha annunciato anche per tutti i popoli. Attribuire a Maria il titolo di "Madre di Dio", allora, non può in nessun modo significare farne la "regina madre" di un regno di questo mondo. Sradicare Maria da Nazaret e metterla su un trono di gloria è pericoloso quanto sradicare da Nazaret il Messia. La gloria di Maria sta nell'aver dato a suo figlio il nome che Dio aveva voluto per lui, sta nell'aver consacrato a Dio suo figlio. E Dio l'ha benedetta e, con lei, non soltanto il suo popolo, ma tutte le genti e le generazioni. Si può allora consumare intorno a Maria, regina della pace perché donna della benedizione, la separazione delle Chiese?
La tradizione ortodossa ha conservato e trasmesso l'immagine della Madre di Dio come colei che indica la strada (Hodigitria) e i cattolici romani considerano Maria la stella polare che indica la rotta ai naviganti (Stella maris), mentre le Chiese riformate ci impongono di ricordare sempre che Maria, prima che a qualsiasi trasposizione iconica, appartiene alla storia. Oggi, le tradizioni cristiane difendono come possono confini e torrioni, beni e territori, tradizioni e devozioni, ma dimenticano forse troppo spesso di pronunciare, l'una nei confronti delle altre, parole di benedizione.

VITA PASTORALE N. 11/2010
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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