Ascensione del Signore (A)


ANNO A – 5 giugno 2011
Ascensione del Signore

At 1,1-11
Ef 1,17-23
Mt 28,16-20

IL MANDATO
MISSIONARIO

Sul monte degli ulivi, uno dei luoghi di Gerusalemme più cari alla spiritualità cristiana, una piccola moschea è stata costruita intorno a una roccia venerata come il monte dell'ascensione. Da lì, come attesta con grande realismo l'impronta di uno solo dei due piedi, Gesù si è staccato da terra per salire al cielo. L'islam non ha mai considerato quella roccia motivo di disturbo, perché per i seguaci di Maometto l'idea di un profeta portato in cielo non è né stravagante né scandalosa. Poco importa se quella tradizione, coerente con la collocazione dell'ascensione vicino a Gerusalemme, come vuole l'autore degli Atti degli apostoli, contraddice il racconto con cui Matteo chiude solennemente il suo vangelo, secondo il quale la scena avviene, invece, in Galilea.

Il tempo e il luogo dell'ascensione sono incerti e così deve essere: la forza teologica di un'immagine o di un racconto sta in quanto essi evocano, in ciò a cui alludono. Gli evangelisti narrano un evento, non un fatto. Proprio in quanto evento, il racconto dell'ascensione esprime la consapevolezza cui i discepoli sono pervenuti sotto la guida dello Spirito. Essa spiega innanzi tutto che i discepoli non devono fermarsi a "guardare il cielo". Nel momento in cui consegna Gesù al cielo, l'ascensione restituisce i discepoli alla terra. Lo dicono con chiarezza sia il libro degli Atti che la finale del vangelo di Matteo: l'ascensione di Gesù è la condizione che fonda la missione della Chiesa nel mondo. La comunità discepolare deve configurare se stessa intorno a un progetto missionario di ampio respiro.

L'autenticità della fede nel Risorto si misura allora con una presa di responsabilità verso la terra. Ogni generazione cristiana ha sentito tale responsabilità in modo diverso. Nel secolo scorso la mondializzazione delle guerre aveva imposto di prendere sul serio il rischio di estinzione per l'umanità intera. L'impatto con il degrado dell'ambiente e il rischio effettivo di estinzione della vita sulla terra chiama oggi le giovani generazioni a prendere in carica la sopravvivenza dell'intero pianeta. Per gli uni le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, per gli altri il reattore di Fukushima rappresentano due varianti della stessa icona di terrore: in tempo di guerra come in tempo di pace, nessuno può pensare a salvare solo se stesso, ma ci salviamo o periamo tutti insieme. Abbiamo ormai acquisito la consapevolezza che, nell'epoca della globalizzazione, anche la responsabilità a cui ciascuno è chiamato è ormai "globale".

I "confini della terra" sono ben di più di un'espressione geografica e rivolgersi ad gentes non ha significato per le Chiese un semplice incremento quantitativo. Per questo per Luca tutto ha inizio a Gerusalemme e per Matteo, invece, in Galilea. Entrambi non rimandano cioè allo svolgimento dei fatti, ma intendono chiamare in causa l'economia divina della salvezza. Di questo, infatti, si tratta. Per Luca, il piano di Dio trova nella città santa il suo centro gravitazionale nonché il luogo che ne garantisce la continuità. Per i lettori di Matteo, invece, la Galilea è la regione in cui Gesù stesso ha dato inizio alla sua predicazione del regno e, ancora prima, è la terra in cui il Messia ha trovato rifugio dalla persecuzione da parte del potere politico-religioso che, fin dall'inizio, ha minacciato la sua esistenza (Mt 2,22 e 4,12). Qui i discepoli potranno trovare rifugio dopo la crocifissione e da qui ripartire per annunciare ai popoli, cioè pure ai pagani, la salvezza. Ancora una volta, poi, come nel momento delle tentazioni (4,8 ss.), in occasione della solenne proclamazione della nuova legge (5,1; 8,1), nel giorno della trasfigurazione (17,1-9), per il primo evangelista il "monte" è luogo di manifestazione messianica.

Per questo l'ascensione di Gesù al cielo coincide, per Matteo come per Luca, con l'investitura missionaria dei suoi discepoli: il tempo dello Spirito sarà per loro il tempo della testimonianza. Due annotazioni chiariscono il carattere essenziale della missione cristiana. Per l'autore degli Atti il dono dello Spirito ha il valore di vera e propria investitura missionaria, ma questo non significa che i discepoli possano appropriarsi di ciò che Dio riserva esclusivamente per sé. Non sapere quale sia "il tempo" dovrebbe liberare l'impegno missionario da ogni pretesa totalitaria e totalizzante.

Per Matteo, d'altra parte, la scena grandiosa della consegna del mandato missionario è attraversata dalla consapevolezza che adorazione e dubbio sono i due volti della fede e solo insieme, perciò, ne attestano la verità. Mai allora la forza della missione può essere confusa con l'assenza del dubbio né può essere confusa con la perentori età delle certezze. La forza del mandato missionario sta solo nella potenza della risurrezione. Merita ricordarlo se non si vuole trasformare la missione della Chiesa in arroganti azioni di prepotenza, ma resti sempre il prolungamento dell'economia divina, quella che il Padre ha voluto, il Figlio ha realizzato e lo Spirito ha reso possibile. Le Chiese vivono oggi un tempo di travaglio, spesso smarrite come sono a inseguire antiche glorie per fronteggiare i mille volti della crisi. Forse, però, dovrebbero ricordare che, prima di essere inviate a battezzare, esse stesse sono state battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

VITA PASTORALE N. 5/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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