IV Domenica di Avvento (B)


ANNO B - 18 dicembre 2011
IV Domenica di Avvento

2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38

LA "CASA" DI DIO
SI RADICA NELLA STORIA

Un termine raccorda, in modo esplicito o implicito, la prima lettura e il vangelo: "casa". Cambiano i protagonisti, perché un angelo di Dio prende il posto della figura profetica di Natan, ma la "casa" sembra rappresentare il luogo ideale della presenza di Dio nella storia. Non è strano che il tema della casa attraversi buona parte delle Scritture. Si tratta infatti di un tema duttile, visto che il termine rimanda a un ampio ventaglio di significati che convergono però su una dimensione fondamentale, la stabilità. Su due di essi la liturgia opportunamente insiste alla conclusione del tempo di Avvento.

La riflessione di fede sulla figura di Gesù e sul suo significato cristologico è sempre andata di pari passo con la consapevolezza di essere a rischio. Che Gesù di Nazaret venga trasformato in un personaggio celeste simile a quelli pagani, perché sottratto all'umanità che vive nella storia, è possibilità di ieri, di oggi, di sempre e rappresenta una minaccia permanente nei confronti di quanto di più autentico caratterizza la fede cristiana.
Anche nel momento in cui la sua nascita viene collegata al concepimento verginale, operato dallo Spirito di Dio, Gesù resta infatti figlio di una storia precisa, nasce in una "casa", quella di David, e all'interno di un legame tra una donna e un uomo, e tutto questo attesta con forza che non è possibile ricondurre il compimento messianico a un mito.

La "casa" non rimanda d'altra parte all'ideologia romantica del focolare domestico. È simbolo forte di un radicamento nella realtà e nella storia. È luogo di cui il Dio biblico ha bisogno per abitare la storia, come ha avuto bisogno del grembo di una donna per il suo avvento definitivo nella storia. È successione di generazioni che fanno degli esseri umani creature capaci, oltre che di trasmettere la vita biologica, di coglierne il senso di fronte a Dio. È anche vero, però, che nessuna "casa", sia essa un tempio o una discendenza, sia essa un luogo o una tradizione, è mai stata in grado di confinare la potenza di Dio tra le sue mura. Dio resta sempre anche il Dio che ha vagato con Israele sotto la tenda e il Figlio suo ha insegnato che con la sua venuta è giunto il tempo in cui lo Spirito soffia dove vuole.

Il concepimento verginale di Maria, segno dell'intervento potente di Dio nella storia del suo popolo, non trasferisce però la nascita del Messia nei cieli, ma la radica piuttosto nella casa di Davide. Forse dovremmo rispettare di più il fatto che i vangeli, per dire l'incarnazione di Dio, hanno bisogno tanto di Maria che di Giuseppe. Che la tradizione successiva abbia insistito a tempo e fuori tempo solo sulla verginità di Maria ha invece affievolito, fino ad annullarlo, il valore della paternità di Giuseppe, cioè dell'appartenenza di Gesù alla storia del suo popolo e, in particolare, alla casa di Davide. Ha contribuito così a sottrarre l'incarnazione alla continuità promessa e garantita da Dio stesso, favorendo così che potesse tradursi in un mito.
Il "figlio dell'Altissimo" entra realmente nella storia solo se è "figlio" di Maria e, insieme, di Giuseppe, se nasce da donna e se siede sul trono di Davide. A volte, nelle nostre chiese attualizziamo il presepio perché capiamo che la dinamica dell'incarnazione non può essere costretta dentro la fissità di statuine di gesso a cui manca la condizione fondamentale per l'incarnazione stessa, l'appartenenza al tempo e alla storia. Sarebbe allora giusto domandarsi anche quanto i nostri presepi sanno esprimere che Gesù è il discendente che Dio ha fatto uscire dalle viscere di Davide.

Il Natale è il tempo in cui meditare sulla riducibilità e sull'irriducibilità del Dio di Israele e del Padre di Gesù Cristo. Molta della nostra retorica, che fa dell'incarnazione un bene di consumo per soddisfare bisogni eternamente puerili, andrebbe finalmente purificata. Cosa succederebbe se entrasse nei nostri presepi l'icona di Maria, serva della Parola, e di Giuseppe, discendente della tribù di Davide?
Una bellissima immagine mariana raffigura il corpo gravido di Maria come il luogo in cui è insediato il libro delle Scritture. Immagine forte, ma soprattutto contestazione potente di forme mitiche di intendere la dichiarazione giovannea sul Verbo che si fa carne. Anche le Scritture sante d'Israele e della Chiesa sono la "casa" che Dio si è costruito nella storia. Oltre ogni confinamento in un luogo, in un tempio o in una tradizione, segno anch'esse della sua riducibilità e al contempo della sua irriducibilità, testimonianza di un Dio che, come nasce dal corpo di una donna, si consegna alla storia di un popolo per essere Signore della storia di tutti i popoli.

Ha fatto tanta impressione vedere come la furia idiota di chi non rispetta il diritto a esprimere i propri diritti sia stata capace di tradursi in calci inferti con livore a una piccola statua di Maria che nulla ha a che vedere con lo strapotere delle banche. Dovremmo però anche chiederci se nelle nostre chiese l'icona di Maria, serva della Parola, non viene calpestata in favore di forme di spiritualità che nulla hanno a che vedere con «una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe».

VITA PASTORALE N. 11/2011
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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