Battesimo del Signore (B)


ANNO B - 8 gennaio 2012
Battesimo del Signore

Is 55,1-11
1Gv 5,1-9
Mc 1,7-11

LA TEOFANIA
PRESSO IL GIORDANO

Come tutti i racconti evangelici con cui la liturgia ci ha aiutato a cogliere il senso dell'incarnazione di Dio, anche quello del battesimo di Gesù combina insieme il ricordo di un fatto storico e la rilettura di esso a partire dalla fede nata dalla risurrezione. Anzi, nell'episodio del battesimo di Gesù la combinazione tra dato biografico e messaggio teologico è particolarmente accentuata e, non a caso quindi, la tradizione orientale lo considera il momento della piena manifestazione dell'incarnazione di Dio nel suo Messia.
Nel vangelo di Marco, il più antico dei vangeli, la funzione del racconto del battesimo di Gesù prende un'importanza particolare. Concentra in sé quanto gli altri due sinottici, Matteo e Luca, hanno potuto esprimere nei racconti dell'infanzia e quanto Giovanni scrive con grande solennità nel prologo. Marco, infatti, attribuisce al rapporto tra Gesù e Giovanni il battezzatore il valore d'introduzione programmatica alla vicenda del Messia.

«Dopo di me»: questa espressione di Giovanni è sufficiente a rendere ragione del problema della continuità e della discontinuità tra Gesù e la storia del suo popolo. Anche Giovanni ha compiuto le promesse di Dio ed è stato il messaggero che gli antichi profeti avevano annunciato. La sua predicazione e il suo battesimo di purificazione rappresentano per Israele l'apice della profezia perché il passato della promessa arriva fino a risolversi nell'attesa di una fine imminente.
Tutto di Giovanni, la sua persona, la vita che conduceva, la sua predicazione, il suo gesto altamente simbolico di immergere il popolo nelle acque di un battesimo di purificazione, la sua morte, tutto porta la profezia biblica fino al suo punto massimo di tensione. Eppure, Giovanni deve riconoscere che ci sarà qualcuno che, pur venendo dopo di lui, è più forte di lui. Il "più forte": si tratta del più antico titolo cristologico conservato nei vangeli, una vera e propria confessione di fede che attesta che il tempo del Messia è il tempo del compimento.
Il tempo del Messia: quello dei segni tangibili della presenza di Dio in mezzo agli uomini, della misericordia nei confronti di tutti coloro che si sentivano allontanati ed esclusi, della "sanazione", il tempo di un altro battesimo, quello nello Spirito. A Giovanni va il merito di aver contribuito a preparare gli animi a riconoscere che il tempo del "più forte" è ormai cominciato. In quel "dopo di me" di Giovanni è racchiuso il compito della profezia e, al contempo, il suo limite: preparare, mai portare a compimento.

Gesù, però, ha voluto farsi battezzare da Giovanni, ha voluto cioè prendere parte alla purificazione richiesta dal profeta per prepararsi alla venuta del giudizio divino. La sua obbedienza alla vicenda del suo popolo, la sua solidarietà con la fede e la speranza d'Israele rappresenta per tutti gli evangelisti l'inizio della sua missione. Gesù non ha mai pensato che la sua storia, la sua vocazione messianica, il suo rapporto esclusivo con Dio fossero qualcosa che lo divideva da Israele.
Anzi, si è sentito inviato ad Israele e ha fatto di tutto per chiamarlo a raccolta. Anche se ha preso le distanze da Giovanni Battista e ha vissuto il suo ministero in modo diverso da come il suo precursore aveva preconizzato, Gesù è rimasto fedele al suo battesimo fino alla fine perché non ha mai perso, neppure alla vigilia della sua morte, la fiducia nella venuta definitiva del Regno.
Per coloro che hanno creduto in Gesù, però, il ricordo dell'episodio del battesimo nel Giordano assume invece un valore diverso e diviene l'atto inaugurale della piena manifestazione di Dio. L'immersione nel Giordano diviene il momento dell'investitura messianica di Gesù, il momento della testimonianza di Dio stesso riguardo al proprio Figlio: Gesù è l'amato, colui nel quale Dio ha posto il suo compiacimento.

Gesù è il compiacimento di Dio: coloro che ascolteranno la narrazione di Marco devono sapere fin dall'inizio che tutta la vicenda del Nazareno è espressione di questa predilezione e di questo compiacimento, tutto, fino allo scandalo finale, fino a quella croce dalla quale colui nel quale il Padre si è compiaciuto griderà l'abbandono di Dio. La storia di Gesù, la sua appartenenza alla fede del suo popolo, la sua attività, l'opposizione cui è stato sottoposto fino all'ingiusta condanna e alla morte ingiuriosa sono teofania di Dio, manifestazione dell' Onnipotente, rivelazione dell'Eterno. Per questo è "il più forte".
Il ciclo liturgico del Natale si chiude dunque con la teofania del Giordano che sancisce l'alleanza eterna e inaugura il tempo del compimento: Gesù è la parola uscita dalla bocca di Dio che compie ciò per cui è stata mandata. Per quanti di noi il tempo di Natale è stato tempo di compimento, tempo di Epifania in cui abbiamo cercato il Signore e lo abbiamo invocato mentre si faceva trovare?
Oggi, ormai, il tempo è appiattito su un'unica dimensione, la logica del consumo c'impone di non avere stagioni, di mangiare tutto l'anno tutti i frutti della terra, di mangiare tutto l'anno tutti i pesci del mare, e i giorni rischiano di diventare tutti uguali a sé stessi. Quando si perde la profilatura del tempo, quando non c'è più il senso dei tempi forti, dei momenti di grazia, è ancora possibile cogliere l'Epifania di Dio?

VITA PASTORALE N. 1/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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