VI Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B - 12 febbraio 2012
VI Domenica del Tempo ordinario

Lv 13,1-2.45-46
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45

NEL FIGLIO SI RIVELA
L'UMANITÀ DI DIO

Dopo la prima giornata di missione a Cafarnao, Gesù continua la sua predicazione in Galilea. L'episodio della purificazione di un lebbroso consente a Marco di far entrare i suoi lettori nel cuore della narrazione: chi è Gesù? E che significa quel Regno che egli predica? E la gente, cosa capisce di lui? Tutto il vangelo di Marco prosegue sul filo di queste domande, fino al momento culminante in cui ad esse verrà data l'unica risposta vera: Gesù è il Figlio di Dio. Per arrivare a quella confessione bisogna seguirlo, però, passo dopo passo.

La scena di miracolo è molto stilizzata: una richiesta da parte del malato, il gesto di Gesù, la guarigione. Poi, però, Gesù stupisce con una strana richiesta: come può pensare che il lebbroso ormai guarito mantenga il silenzio?, E poi, perché dovrebbe farlo? È questa la prima di altre volte in cui, lungo la sua narrazione marciana, Gesù chiede di mantenere il segreto: ai guariti, dopo un miracolo, ma perfino ai discepoli dopo la trasfigurazione o a Pietro dopo l'episodio della confessione sulla riva del lago di Tiberiade.
L'ordine di tenere il segreto può essere considerato uno dei fili intorno ai quali Marco intesse la sua narrazione del «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio», come preannunciato nel titolo. Questo dona allo scritto un preciso dinamismo interno: capire quello che Gesù ha detto e fatto chiede tempo. È facile considerarlo un profeta, un grande predicatore, un guaritore: basta ricordare le sue parole e raccontare i suoi miracoli. Ma non è questo che salva, non sarebbe questa la "buona novella", il Vangelo della salvezza.
E se il vangelo di Marco doveva servire pure per i catecumeni che si preparavano a ricevere il battesimo, si capisce forse ancora meglio perché l'evangelista chieda di non avere fretta.
Credere in Gesù non significa ritagliarsi un sentimento religioso a propria misura, né significa costruire un castello di princìpi oppure coltivare il ricordo di un uomo straordinario che ha saputo vivere e morire come i grandi della storia. Credere in Gesù significa rispondere alla domanda: e voi, chi dite che io sia?
Sapere chi lui è richiede di conoscere la storia biblica della promessa, significa capire cosa vuol dire il suo annuncio del regno di Dio, capire che i miracoli non valgono in quanto fatti straordinari, ma in quanto segni della misericordia di Dio. Da questo punto di vista il racconto della purificazione del lebbroso è davvero esemplare.

Un racconto brevissimo e incisivo. La fiducia che il lebbroso ripone in Gesù è totale: riconosce la sua forza, ma anche la sua sovrana libertà. «Se vuoi...». Nulla di quanto riguarda il Regno è un atto dovuto. Il Regno viene perché, nella sua sovrana libertà, Dio lo vuole. In quello che Gesù chiama «l'anno di grazia di Dio», non sono soltanto i malati che vogliono essere guariti, ma è il Messia che, in nome di Dio, vuole ardentemente la loro guarigione. Si tratta di un ribaltamento decisivo.
Si dice spesso che Marco è l'evangelista che più degli altri indulge nella descrizione di un Gesù che partecipa con tutta la sua umanità alla vicenda di coloro che gli si fanno incontro. È vero, ma non è l'umanità dei sentimenti o delle emozioni, non è una concessione al mondo degli affetti. È l'umanità di Dio. Di fronte alla sofferenza di quell'uomo, che a causa di una malattia invalidante che, stando alla Legge, condannava all'isolamento, alla vergogna e all'esclusione, è Dio che prova compassione.

La compassione di Gesù è un fatto teologico, come è teologica l'umanità di Dio. Dio non si camuffa da essere umano, non fa finta di provare sentimenti di pietà, il suo Regno non è una situazione drogata dai buoni sentimenti. Il Regno è l'attestazione che Dio stesso, ormai, ha ceduto totalmente alla misericordia. Fino al punto da ritrattare quanto preteso dalla stessa Legge. Accettare che in Gesù si riveli l'umanità di Dio non significa attribuire a Dio sembianze e sentimenti umani, ma capire che in Gesù l'umano diviene rivelazione di Dio. È la stessa che Dio ha sentito per il suo popolo quando era schiavo in Egitto ed è quella che prova di fronte a ogni esclusione dalla vita.

Il racconto si chiude con un paradosso: Gesù ordina all'uomo con severità di non dire a nessuno ciò che è accaduto, ma succede invece esattamente il contrario. Il lettore deve cominciare a familiarizzare con questo paradosso: da una parte Gesù è preceduto dalla fama e deve sottrarsi perché forte è il rischio di fraintendere la sua missione; dall'altra Gesù si troverà, alla fine, del tutto solo. Per i credenti il catecumenato non avviene una tantum, perché la fede, anche quella adulta e consapevole, prevede una conversione continua della nostra umanità all'umanità di Dio.
Capire Gesù non può avvenire in fretta, imparare a seguirlo chiede tempo. Si tratta di convertire la nostra umanità all'umanità di Dio così come Gesù l'ha rivelata. Gesù reintegra il lebbroso, gli restituisce il diritto a non essere più escluso. Lo restituisce non solo a se stesso e alla sua famiglia, ma a tutti i suoi diritti di cittadino. Diventare capaci di esprimere la compassione di Dio, la sua volontà di guarire, purificare, di restituire agli esclusi il diritto a essere pienamente integrati nella vita: questo vuol dire che il regno di Dio è dentro di noi.

VITA PASTORALE N. 2/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


torna su
torna all'indice
home