I Domenica di Quaresima (B)



ANNO B - 26 febbraio 2012
I Domenica di Quaresima

Gen 9,8-15
1Pt 3,18-22
Mc 1,12-15


IL DESERTO, LUOGO DI
DECISIONE PER LA FEDE

Comincia di nuovo, con la prima domenica di quaresima, un tempo forte in cui la Chiesa intera si prepara alla celebrazione del grande mistero di Gesù Cristo, la sua Pasqua di risurrezione. L'anno liturgico segue dei ritmi sempre uguali a sé stessi. Celebriamo i fatti della storia del Dio-con-noi. Ma non si tratta di una semplice commemorazione, di un ricordo che si ripresenta, anno dopo anno, sempre uguale. Perché noi non siamo sempre uguali, perché il mondo in cui viviamo, quello piccolo del nostro quotidiano e quello grande della nostra epoca storica non sono sempre gli stessi. La celebrazione serve a noi, non a Dio. Lui non ne ha bisogno, noi sì.

Il ricordo dell'alleanza di Dio con Noè dopo il diluvio conferisce al tempo di quaresima un tono di fondo in cui domina la sicurezza nella protezione di Dio la cui volontà di salvezza non viene meno, ma persiste in eterno. È un invito a guardare alla vita a partire dall'arcobaleno che segna la fine di ogni sopraffazione della natura o della storia sull'esistenza dei viventi. Lo sfondo è cosmico, universale, abbraccia le ere e le generazioni. La lettera di Pietro, invece, riprende il tema del diluvio, ma lo vede come prefigurazione di un avvenimento mistico che si realizza nel sacramento del battesimo, in cui la salvezza diviene fatto personale che assicura la partecipazione del credente alla vita gloriosa di Gesù Cristo, colui che, risuscitato dai morti, siede alla destra del Padre.

Tra queste due visioni, che in modo speculare richiamano, come orizzonti di una salvezza totale che può venire solo da Dio, sia il macrocosmo che il microcosmo, il vangelo introduce invece un elemento di forte realismo. Parla infatti di deserto e di digiuno, della persecuzione contro Giovanni Battista e dell'inizio della predicazione da parte di Gesù. È un'altra dimensione, quella dell'incarnazione che arriva fino a farsi biografia del profeta di Nazaret. Nel momento in cui il suo maestro viene imprigionato, decide che il tempo del Regno è ormai giunto e dà inizio al suo ministero. L'evangelista ci ricorda però che, insieme con esso, inizia per Gesù anche l'itinerario doloroso che lo porterà alla croce: il suo messianismo non sarà trionfante, ma dovrà passare attraverso l'umiliazione e il rifiuto.
Marco, fortemente interessato alla messianicità di Gesù, ne tratteggia in poche righe l'identità. Molti si sono presentati a Israele come "Messia", prima e dopo di Gesù. E sono stati in qualche modo creduti, soprattutto nei momenti in cui il clima dell'attesa messianica era più forte, la speranza di ritrovare l'identità smarrita o adulterata di popolo dell'elezione si faceva più acuta. Gesù, l'unico vero Messia, l'unico che Dio ha risuscitato dai morti, non risponde alle attese e alle speranze del suo popolo senza averle prima purificate e rettificate. Non basta attendere: è necessario lasciarsi rivelare da Dio stesso come sarà il suo Regno e cosa comporta la sua sovranità.
Gesù è il Messia d'Israele anzitutto perché la costituzione della sua identità comincia nel deserto. Come per il popolo i quarant'anni passati nel deserto sono stati il crogiuolo in cui ha preso consistenza la consapevolezza dell'elezione divina, la fede nella chiamata di Dio è stata messa alla prova e Israele ha appreso la dura disciplina della fedeltà, così per il Messia d'Israele tutto deve cominciare con la vittoria sulla prova nel deserto. Il confronto con satana significa il passaggio dalla vocazione messianica alla fedeltà messianica.

La tentazione a lasciarsi incantare da diverse forme di messianismo politico o religioso ha accompagnato tutta la vita di Gesù. Egli stesso ha dovuto, passo dopo passo, imparare l'obbedienza esattamente come il popolo ha imparato nel deserto, passo dopo passo, l'obbedienza. Ma, ci dice Marco con l'altra immagine che completa il quadro, solo in Gesù si compie l'oracolo profetico della realizzazione del Regno messianico, il raggiungimento definitivo dell'armonia di tutto il creato. Il Messia è il nuovo Adamo e nell'ordine della nuova creazione egli sarà superiore non soltanto alle bestie feroci, la cui violenza non farà più paura, ma sarà superiore perfino agli angeli che si metteranno al suo servizio.

L'inizio del vangelo di Marco apre dunque la quaresima con la presentazione dell'itinerario del Messia, che, lo sappiamo, comporterà insicurezze, timori e solitudine. Al contempo, però, esso mette a fuoco la realtà della nostra vita, epoca di deserto e di tentazioni, epoca di pericoli e di minacce. Ci invita a riconoscerli e a fronteggiarli: qual è il nostro deserto oggi, quali sono le tentazioni che popolano i nostri deserti?
Una cosa è certa: deserto non significa isolamento. Significa percepire la confusione in cui vive il nostro tempo, il tempo del mondo, ma anche tempo della Chiesa, come incapacità di dialogo, come solitudine di molti fino al martirio. Un deserto di domande personali, familiari, comunitarie, ecclesiali, nazionali, mondiali. Credere che il regno di Dio è venuto è credere che il tempo della fede è compiuto. Il deserto non è luogo di vigliaccheria e di pessimismo. È luogo di decisione per la fede. Come Gesù, allora, porre mano all'opera: la quaresima è tempo iniziale in cui l'identità si forma e si plasma a partire dalla fede.

VITA PASTORALE N. 2/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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