«Poveri di diritti»



Il diaconato in Italia n° 172
(gennaio/febbraio 2012)

ANALISI


«Poveri di diritti»
di Enzo Petrolino



Credo che scorrere il rapporto annuale su povertà ed esclusione in Italia, testo elaborato dalla Fondazione Zancan e da Caritas italiana, può sicuramente aiutare i diaconi nel loro ministero a capire meglio i "diritti" fondamentali di chi vive nella marginalità ed il ruolo che la Chiesa svolge di fronte alle "nuove" povertà. Una tale lettura ci spinge anche a leggere in questo tempo il messianismo di Gesù non come l'avvento glorioso del Regno che cancella la povertà della condizione umana (Gesù ci ha detto «i poveri li avrete sempre con voi» (Gv 12,8), ma l'assunzione di questa povertà: il Dio dei poveri diventa in Lui il Dio fatto povero.

XI Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia
«Se i poveri avessero dei diritti, il primo sarebbe quello di poter sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l'uscita dalla povertà è possibile. Invece oggi esiste una "cultura diffusa" secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire». Inizia così il Rapporto 2011 su povertà ed esclusione sociale in Italia dal titolo Poveri di diritti, edito da Il Mulino e presentato a Roma il 17 ottobre 2011, presso la Gregoriana.
È un titolo fortemente "evocativo" quello del Rapporto 2011, in quanto nasce da una semplice, ma non scontata, considerazione: «Alle persone che vivono in condizioni di povertà si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento». Ad esempio, il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all'alimentazione, alla salute, all'educazione, alla giustizia sono i primi a essere messi in discussione e negati, come viene regolarmente violato il «diritto a non scomparire per effetto statistico», visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie.
Il Rapporto si articola in due parti. La prima parte, curata dalla Fondazione Zancan, approfondisce i diritti dei poveri previsti dalla Costituzione e a livello internazionale. Oggi molti diritti sono disattesi, perché non privilegiano l'incontro con i doveri, non valorizzano le capacità e non coinvolgono la partecipazione dei poveri. Il testo presenta la situazione reale della povertà in Italia, attraverso alcuni dati statistici: nel 2010, - 8 milioni e 272 mila persone erano povere (13,8%), contro i 7,810 milioni del 2009 (13,1%). Secondo i dati Istat (2011), il 2010 ha registrato un lieve incremento del numero di famiglie in condizioni di povertà: si è passati da 2,657 milioni (10,8%) a 2,734 milioni (11 %). Nel 2010 la povertà è aumentata tra le famiglie di 5 o più componenti (dal 24,9 al 29,9%), tra le famiglie monogenitoriali (dall'11,8 al 14,1%), tra i nuclei residenti nel Mezzogiorno con tre o più figli minori (dal 36,7 al 47,3%) e tra le famiglie di ritirati dal lavoro in cui almeno un componente non ha mai lavorato e non cerca lavoro (dal 13,7 al 17,1 %).
La povertà è aumentata anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore autonomo (dal 6,2 al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8 al 5,6%). Oggi vengono negati alcuni tra i diritti fondamentali: prima di tutto, il diritto alla famiglia, dal momento che la povertà colpisce con particolare violenza le famiglie con più di due figli.
Nel bilancio di previsione dello stato per gli anni 2010-2013, il Fondo per le politiche della famiglia registra i seguenti decrementi: 185,3 milioni di euro nel 2010, 51,5 milioni nel 2011, 52,5 milioni nel 2012 e 31,4 milioni nel 2013.
Per quanto riguarda il diritto al lavoro, in Italia i cittadini tra i 15 e i 64 anni con un lavoro regolarmente retribuito sono quasi 22 milioni e 900 mila (il 56,9% dei cittadini): le categorie più vulnerabili in questo settore sono i giovani (l'occupazione è crollata dell'8% nel 2009 e del 5,3 nel 2010), le donne (in Italia lavora solo il 47%) e le persone disabili (nel 2008 hanno fatto domanda di assunzione 99.515 disabili e nel 2009, 83.148, ma gli avviamenti effettivi al lavoro sono stati rispettivamente 28.306 e 20.830). Infine, il diritto al futuro per i giovani: tale categoria, che ha iniziato a lavorare a metà degli anni 90, maturerà verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro.
Anche all'interno della vita e dei cammini strettamente ecclesiale, non è sempre agevole offrire ai giovani una risposta adeguata alle loro esigenze. Una delle principali difficoltà risiede nel forte sentimento di disillusione che caratterizza l'atteggiamento esistenziale di molti giovani. Talvolta le lunghe attese, la permanenza in una situazione di stallo, scoraggiano i ragazzi e i giovani in situazione di disagio, espulsi dal sistema formativo, in cerca di opportunità per mettersi in gioco, per ripartire con un percorso di uscita, magari cercando un tirocinio, uno stage in una cooperativa sociale.
Uno degli elementi che emerge con maggiore forza risiede nella difficoltà ad individuare piste di lavoro e di impegno per le povertà che coinvolgono le nuove generazioni. A livello complessivo, gli intervistati, un po' in tutte le regioni prese in esame, lamentano l'assenza di politiche giovanili e servizi educativi, di prevenzione, di capacità di accompagnamento dei giovani durante il loro percorso di vita. Non c'è pianificazione degli interventi e manca la capacità di offrire luoghi e percorsi alternativi di coinvolgimento delle nuove generazioni. Anche la pur significativa esperienza ecclesiale appare, in merito ai temi della pastorale giovanile, in evidente difficoltà, non riuscendo facilmente a trovare soluzioni e formule progettuali diverse dai consueti percorsi oratoriali e catechistici. A tale riguardo, gli Orientamenti pastorali dell'episcopato italiano per il decennio 2010-2020 sull' "educare alla buona vita del Vangelo", rappresentano un'occasione importante per una ulteriore stagione di rilancio delle attuali esperienze educative di coinvolgimento dei mondi giovanili, in modo tale da riuscire a dare rilevanza e organicità a quanto già in atto e a proporre piste di lavoro nuove, tali da offrire risposte «in forme consone ai tempi e ai bisogni».
Va sottolineata la grande attenzione che gli Orientamenti riservano ai cammini di educazione al servizio presenti nelle nostre comunità: questo decennio è comunque una occasione significativa che viene offerta alle comunità di sviluppare al meglio il loro ruolo prevalentemente pedagogico ed educativo, senza ignorare le difficoltà specifiche di questo nostro tempo.
La sfida da affrontare risiede nella necessità di sviluppare progettualità aperte sulle varie esigenze, con un occhio attento alle variegate situazioni di sofferenza vissute dal mondo giovanile: accanto ai ragazzi del ceto medio, che accusano la sfida della società consumistica, vi sono i ragazzi dei quartieri ghetto, gravati da un cumulo piuttosto evidente di svantaggi sociali; accanto ai giovani disoccupati italiani, protagonisti di una responsabilità familiare rinviata e posticipata, vi sono i minori e gli adolescenti di origine straniera, nati in Italia, ma considerati "immigrati" da una normativa poco attenta alle esigenze di integrazione sociale delle nuove generazioni.
Di grande significato, a questo riguardo, sono alcuni progetti educativi promossi e sviluppati dalle Caritas diocesane nel corso del 2010, anno europeo di lotta alla povertà. Alcuni di tali progetti hanno avuto l'obiettivo di: sollecitare nei giovani una riflessione sulla povertà; favorire nelle scuole un pensiero critico e responsabilizzante su tale fenomeno; sensibilizzare le nuove generazioni di giovani e i luoghi dove essi vivono processi di formazione, alle tematiche e problematiche della povertà. Non si è trattato solo di progetti di taglio teorico. Alcune di tali progettualità hanno infatti sviluppato azioni concrete:
- costruzione di mappature delle istituzioni pubbliche e private che impegnano e valorizzano la presenza del volontariato giovanile;
- potenziamento di quelle realtà che sono meno pronte ad accogliere giovani volontari, in modo che siano stimolate nella propria crescita interna;
- proposte di percorsi formativi attivi di volontariato dei giovani verso altri giovani, come risposta preventiva di contrasto alle dinamiche della povertà. Accanto a tali misure, sono inoltre necessarie attenzioni specifiche, nella prospettiva richiamata anche negli Orientamenti pastorali (n. 39 e n. 54), di sviluppare forme di educazione alla cittadinanza e all'impegno socio-politico, quale esito obbligato di un impegno sociale vocato alla costruzione del bene comune. I giovani vanno considerati non solo come destinatari diretti dell'azione educativa, ma anche come soggetti di animazione della comunità civile ed ecclesiale.
Il Rapporto 2011 propone, inoltre, un'attenta analisi della spesa dei comuni per la povertà e il disagio economico: negli ultimi due anni la spesa assistenziale dei comuni è aumentata del 4%, la spesa per la povertà dell'1,5% e quella del disagio economico del 18%. Dai dati emerge che, a distanza di un anno, nulla è cambiato: gli enti locali continuano ad investire tante risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà, ma con scarsi risultati.
Il problema rimane lo stesso: si assiste ad una prevalente logica dell'emergenza in base alla quale è preferibile erogare contributi economici piuttosto che attivare servizi. Questo modo di agire rende cronici la povertà e il disagio. Data questa situazione, sono necessarie alcune "politiche" per andare oltre l'emergenza. La prima strada da percorrere è quella di incrementare il rendimento della spesa sociale. La seconda è di recuperare i crediti di solidarietà (basati sull'erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impegnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri.
Inoltre, un modo di aumentare il rendimento della spesa sociale è la "professionalizzazione" dell'aiuto. Ad oggi, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se questo criterio si applicasse alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di circa altrettante migliaia di posti per lavori di cura e infrastrutture di welfare. In definitiva, ci sono due ulteriori fonti di risorse per generare lavoro di cura: riguardano i 17-18 milioni di euro oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare: potrebbero essere investiti in lavoro di servizio, garantendo ai beneficiari un rendimento ben superiore a quello attuale (il trasferimento economico gravato da oneri amministrativi), misurabile in termini di riduzione dei tassi di povertà, di isolamento sociale e disoccupazione.

La Chiesa di fronte alla povertà
La seconda parte del Rapporto, curata da Caritas italiana, si sofferma sul ruolo svolto dalla Chiesa per contrastare la povertà economica. Nel documento si fa notare che le Caritas diocesane continuano a segnalare un progressivo aumento del numero di persone che si presentano ai centri di ascolto e ai servizi Caritas. Su un campione di 195 centri di ascolto, sparsi in 15 regioni, nel corso degli ultimi 4 anni (2007-2010), il numero delle persone ascoltate è aumentato del 19,8%. Per quanto riguarda le domande, al primo posto figurano sempre i problemi di povertà economica, seguiti dai problemi di occupazione, i problemi abitativi e, al quarto posto, i problemi familiari. I "nuovi poveri" sono persone che risiedono in dimora stabile, sono in possesso di un lavoro e vivono all'interno di un nucleo familiare.
La nuova povertà genera nuovi tipi di conflittualità: un esempio è quello che avviene nelle cosiddette famiglie "neo-ricomposte", cioè quei nuclei familiari che si sono ricostituiti "forzatamente" in seguito ad alcuni eventi-traumi (separazioni, difficoltà economiche, lutti, necessità di accudimento e assistenza dei soggetti deboli...). Aumenta, tra le persone aiutate dalla Caritas, l'incidenza di disoccupazione di lunga durata, soprattutto tra gli italiani. Vi è poi un'ulteriore emergenza abitativa: un utente Caritas su quattro ha gravi problemi abitativi (nel corso degli ultimi 4 anni essi sono aumentati del 23,6%).
La "nuova" povertà degli stranieri riguarda sempre di più gli immigrati con permesso di soggiorno regolare, per i quali la crisi economica ha determinato gravi situazioni di cambiamento/ripensamento dei progetti migratori, di rottura e separazione fisica dei nuclei e di crescente conflittualità familiare e intergenerazionale. Qual è la risposta ecclesiale di fronte alla povertà? In totale sono già 133 le diocesi che hanno attivato un progetto di microcredito socio-assistenziale per persone o famiglie in difficoltà.
Circa 70 diocesi hanno avviato piccoli prestiti a favore di microimprese in fase d'avvio o già costituite, a elevato rischio finanziario e con oggettive difficoltà di accesso al credito. Circa 131 diocesi hanno attivato dei Fondi diocesani di emergenza. Al primo gennaio 2010 erano presenti in Italia 449 mense socio-assistenziali.
Nel corso del 2009 esse hanno erogato circa sei milioni di pasti, corrispondente ad una media di 16.514 pasti al giorno. Nelle regioni del Nord Italia, nel complesso, sono presenti 164 mense, divise equamente tra il Nord Ovest (82 mense) e il Nord Est (82 mense). Nel Sud Italia sono presenti 119 mense, pari al 26,5% del totale. Nelle Isole le mense sono 58 (12,9%). Nel Centro Italia sono 108 (24,1%). La presenza di convenzioni con l'ente pubblico riguarda 56 mense, pari a117,5% del totale. Poco meno di due mense su 10 sono cofinanziate dal sistema pubblico. Il volume di risorse umane che ruota attorno alle mense è pari a 21.832 persone. Di queste, il numero maggiore è costituito da volontari laici, pari a 20.467 unità (93,7%). Seguono i volontari religiosi (720 persone, pari a13,3% del totale degli operatori).

Le nuove povertà
Per quanto riguarda la povertà degli immigrati ulteriormente aggravata a fronte della crisi economica, numerose Caritas stanno denunciando un aumento degli sfratti per morosità, e questo a causa della concreta difficoltà di molte famiglie straniere a pagare con regolarità le spese di affitto. Le cause di povertà tra gli stranieri riguardano i problemi del lavoro, legati a fenomeni di sfruttamento e di fragilità lavorativa, tra cui la "vendita di lavoro" e la presenza inedita di disoccupati stranieri sopra i 50 anni. Altre cause sono collegate a "problemi di salute/incidenti", anche di tipo psicologico (varie Caritas diocesane sottolineano il problema delle malattie e degli infortuni), alla difficoltà di gestire in modo adeguato i consumi, in rapporto all'effettiva entità delle entrate economiche, a nuovi processi di disgregazione del nucleo familiare a causa di separazioni e di divorzi, legali o di fatto, con il conseguente affermarsi di stati depressivi e di disagio mentale.
Si assiste ad un ulteriore scivolamento verso l'indigenza: si registra, infatti, la presenza crescente di giovani di origine extracomunitaria che elemosinano fuori dai supermercati, specie nei grandi centri urbani; l'aumento di richieste di assistenza primaria ai centri di ascolto; l'aumento di stranieri senza fissa dimora che si rivolgono ai servizi a bassa soglia: il forte disagio della comunità Rom, il peggioramento della qualità e quantità dell'alimentazione; il progressivo impoverimento delle donne sulla strada.
Come novità, la Caritas nazionale ha avviato un percorso di studio sulla qualità della vita sociale nelle aree montane dell'Italia, con particolare riguardo al ruolo della Chiesa e alla presenza del fenomeno di povertà e alla valutazione del sistema pubblico e privato di risposte. Le osservazioni critiche si riferiscono alla carenza di risposte da parte del sistema pubblico, a fronte di problemi riguardanti l'economia locale, l'isolamento sociale, le "povertà morali", l'indebitamento, la diffusione del gioco d'azzardo, la carenza di esercizi pubblici e l'assenza di politiche giovanili.
«La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previsione, un "cuore che vede". Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all'affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano. È in questa prospettiva che l'oggi interpella il vostro modo di essere animatori e operatori di carità». Con queste parole papa Benedetto XVI salutava in San Pietro, i partecipanti al 35° Convegno delle Caritas diocesane per i 40 anni della Caritas Nazionale che si è tenuto a Fiuggi dal 21 al 24 novembre scorso. La Chiesa che educa servendo carità «... Si mise ad insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Un titolo evocativo che collega la più evidente e conosciuta realtà delle opere e dei servizi alla natura specifica della Caritas: il suo compito pastorale di animazione e formazione. Paolo VI, nel primo incontro nazionale con la Caritas, nel 1972, così affermava: «Al di sopra dell'aspetto puramente materiale della vostra attività, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica». Il pontefice affidava un'importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce. Si tratta di assumere la responsabilità dell'educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità.
Una parola che i diaconi (e non solo) non devono mai dimenticare è profezia, nel senso etimologico di essere portatori di una Parola che non è nostra, e che proprio perché tale non possiamo imporre, ma solo proporre. Essa non va dimostrata, ma solo indicata. Certo, senso profetico significa anche senso critico, denuncia, vigilanza e prospettiva di quella "riserva escatologica" che ci fa essere nel mondo senza essere del mondo; ma non dobbiamo dimenticare che agli oracoli di giudizio, nei profeti dell'antica alleanza, si accompagnano sempre oracoli di salvezza, di simpatia, di speranza. Anche il Figlio dell'uomo non è venuto a giudicare il mondo, ma a salvarlo. Lui appunto, non noi, che, quando abbiamo fatto tutto quanto ci è richiesto, in termini di fedeltà e di dedizione, dobbiamo continuare a considerarci "servi inutili". Il diacono è profezia di Cristo servo.
Ciò non ci esime da quello sguardo di fede e di speranza che ci fa misurare con le sfide della globalizzazione e ci fa contemplare l'icona offerta dall'Apocalisse della «città santa, la nuova Gerusalemme» che scende dal cielo (Ap 21,2). Come pure la dimensione profetica del nostro essere ed agire da diaconi rende necessario l'esercizio di una duplice diffidenza: verso quanti sistematicamente denigrano il nostro tempo, cogliendone soltanto gli aspetti problematici e critici; verso quanti si lasciano sommergere dal nostro tempo, inseguendo piuttosto le mode che il Vangelo. Non ci sono epoche solo di luci o solo di ombre: la nostra epoca - come quelle che l'hanno preceduta - ha luci ed ombre, e in questo chiaroscuro bisogna lasciarsi orientare dalla luce della fede. Avendo come compito quello di rendere presente il servizio di Cristo-servo, il diacono potrà essere spinta continua perché nelle comunità il momento dell'ascolto e della celebrazione non siano vissute come realtà a sé stanti. Esse sono realtà sacramentali che hanno come scopo la trasformazione della storia. Pertanto l'esercizio della carità, profezia del Regno, vissuto nella memoria e nella fedeltà a Cristo, impone scelte radicali e al tempo stesso globali che coinvolgano le persone e le comunità in tutto il loro essere ed agire.
Ma cercando di aguzzare lo sguardo, pensando più in profondità al rischio di una deriva assistenzialistica della carità, da cui cercava di metterei in guardia Paolo VI, possiamo scorgervi il prodursi di un ulteriore fraintendimento, con cui quotidianamente deve misurarsi chi come i diaconi agiscono sospinti dalla carità in questo mondo: da un lato l'impulso della spontaneità, che può generare uno spontaneismo momentaneo e a lungo termine sterile, dall'altro la tentazione connessa con la necessità di organizzare il servizio, che può diventare burocratizzazione dell'amore; da un lato il volontario con la sua generosità, dall'altro il funzionario con i suoi progetti.
Fra il livello della spontaneità volontaristica e quello dell'organizzazione progettante, si dà una terza via, che esclude la scorciatoia del compromesso e si ispira all'evidenza dello "stile diaconale". Il diaconato è anche una questione di stile. Capacità e necessità di identificazione, ma anche capacità dinamica di conversione. E lo stile del diacono e della comunità si misura sullo stile di Gesù: sui suoi gesti e sulle sue parole.
Oltre ogni compromesso, si tratta di recuperare quello "stile paradossale", fondato sul paradosso che è Cristo stesso. La Chiesa esiste per amare il mondo e porsi al servizio della sua salvezza. Come diaconi dobbiamo protendere lo sguardo fuori, ai bisogni del mondo. I documenti del 1998 ci dicono di non dimenticare mai che «l'oggetto della diaconia di Cristo è l'umanità». La Chiesa continua ad essere «segno e strumento» della diaconia di Cristo nella storia, e il diacono è il segno e lo strumento di questa diaconia nella Chiesa e nel mondo.



Riferimenti bibliografici

I Rapporti su Povertà ed esclusione sociale sono annuali. Tra questi segnaliamo: Caritas Italiana e Fondazione "E. Zancan", In caduta libera. Rapporto 20 IO su povertà ed esclusione sociale in Italia, il Mulino, Bologna 2010.
F. Bripi e altri, La qualità dei servizi pubblici in Italia, questioni di economia e finanza, Banca d'Italia, Roma 2011.
L. Del Boca e altri, The impact of institutions on mother-hood and work, CHILD working papers, Torino 2011.

Articoli pubblicati in Studi Zancan
I. De Sandre, Il Rapporto Caritas-Zancan su emarginazione e disagio nei contesti familiari, in Studi Zancan, 4 (2000) 38-44.
B. Sorge, S. Femminis, Povertà e disagio sociale nella società dell'incertezza, in Studi Zancan, 5 (2004), 7-13.
G. Benvegnù Pasini, Rassegnarsi alla povertà?, in Studi Zancan, 4 (2007) 5-8.
T. Vecchiato, Ripartire dai poveri: l'ottavo Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, in Studi Zancan, 4 (2008) 11-19.
G. Sarpellon, Trent'anni di povertà, in Studi Zancan, 4 (2009) 3-6.
G. Benvegnù Pasini, M. Bezze, C. Canali, E. Innocenti, T. Vecchiato, In caduta libera: la lotta alla povertà in una crescente differenziazione territoriale, in Studi Zancan, 5 (2010) 11-22.


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