Marginalità e pace, un binomio difficile



Il diaconato in Italia n° 172
(gennaio/febbraio 2012)

CONTRIBUTO


Marginalità e pace, un binomio difficile
di Giuseppe Benvegù Pasini



Il significato dei termini
"Diaconia" è un termine tipicamente biblico ed ecclesiale; significa servizio e richiama istintivamente il gesto compiuto da Gesù nell'ultima cena, nella lavanda dei piedi agli Apostoli. Può riferirsi sia allo spirito di servizio, che dovrebbe caratterizzare la comunità cristiana e i singoli cristiani; sia ai vari tipi di servizi realizzati nella diffusione del Regno di Dio, attraverso l'annuncio della Parola, la celebrazione liturgica, la testimonianza della carità. Il legame della diaconia alla marginalità e alla pace, dato alla nostra riflessione, fa capire che, nel nostro caso specifico, la diaconia si riferisce particolarmente all'esercizio della carità, cioè al servizio ai fratelli fatto per amore, secondo l'indicazione di Paolo Apostolo: «Per amore, fatevi servi gli uni degli altri» (Gal 5,13). Il servizio della carità, poi, può essere attuato attraverso l'esercizio delle Opere di Misericordia, come attraverso l'animazione cristiana delle realtà terrene, come insegna il Concilio Vaticano II, ossia nell'impegno civile per costruire una società nell'uguaglianza, nella giustizia e nella pace.
"Marginalità" è un termine che richiama istintivamente il mondo dei poveri, ma allargato ad un'accezione molto più ampia della povertà economica. Tende ad evidenziare in particolare l'irrilevanza sociale delle persone povere, che le costringe a vivere ai margini della vita sociale. Papa Paolo VI esprimeva plasticamente questa situazione, definendo i poveri «quelli che non contano, che non vengono ascoltati, le persone alle quali non si chiede il parere nemmeno quando vengono affrontati problemi che li riguardano personalmente». In una società democratica, questa irrilevanza è una grossa ferita, poiché implica la tacita decisione della società di privarsi di una parte vitale di se stessa.
"Pace" è un valore molto ampio. È sempre un dono di Dio, ma è anche frutto di una fatica umana, conclusione di una ricerca costante del bene comune, che «è il bene di tutti e di ciascuno, poiché tutti siamo responsabili di tutti» (Sollicitudo rei socialis, 38). La pace non è solo assenza di guerra, ma è realtà positiva: suppone un clima di solidarietà, lo sviluppo di relazioni sane, il rispetto delle persone. L'accostamento dei due termini, pace e povertà, fa capire che fra i due fenomeni esiste un legame molto stretto: la povertà è uno dei fattori che favoriscono l'insorgere di conflitti e questi a loro volta producono tragiche situazioni di povertà. Oggi poi, nella crisi di tutto il sistema economico e finanziario mondiale, stanno paurosamente aumentando le disuguaglianze sia tra Paesi ricchi e Paesi poveri, sia all'interno dei singoli Paesi, ricchi e poveri. Nel corso degli ultimi 30 anni, la povertà assoluta si è dimezzata ma è cresciuta la povertà relativa, e sono aumentate le disparità, creando scontentezze, invidie, inimicizie, cioè l'opposto della pace.

Un'attenzione esigente della carità cristiana
La diaconia. sotto termini diversi, viene esercitata anche nell'ambito laico, da chi ad esempio esercita una professione di servizio alla persona (ambito sanitario, educativo scolastico, amministrativo e politico). Non è casuale che a livello governativo esistano i "ministeri" e che chi li guida venga nominato "ministro". Il termine oggi ha assunto il significato di onore e di potere, ma all'origine era un servizio e il ministro era essenzialmente un servitore del popolo. Servire significa cercare non il nostro tornaconto, ma il bene dell'altro, della persona "servita". Ogni diaconia pertanto, da chiunque venga assunta, dovrebbe partire da una lettura attenta del bisogno della gente e della domanda espressa dalle persone "servite": i malati, gli alunni, le persone anziane, i cittadini ecc.
la diaconia esercitata nell'ambito ecclesiale ha un "valore aggiunto": è attuazione della carità cristiana, che, prima di essere una virtù, è un dono di Dio ed ha in Gesù, il modello inconfondibile. L'evangelista Giovanni è molto esplicito su questo punto, quando afferma: «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati... Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri... Noi amiamo perché Egli ci ha amato per primo»(1Gv 4,10,11,19).
Non si tratta solo di una priorità temporale, ma di una priorità che è propria della fonte, della radice. L'amore di Dio è la fonte del nostro amore. Noi amiamo perché siamo stati amati, perdoniamo perchè perdonati, consoliamo perché consolati. È fondamentale accettare questa nostra dimensione creaturale. La carità cristiana è una continuazione nel tempo della carità di Dio, rivelatasi nella persona di Gesù. Noi amiamo cristianamente se amiamo come ha amato Gesù. Scorrendo i Vangeli, è facile capire che Gesù non ha espresso il suo amore facendo dell'elemosina, ma donando se stesso.
Attuando la diaconia nei confronti della marginalità, dobbiamo tenere presenti alcune caratteristiche dell'amore di Gesù, che divengono per noi esemplari.
• Carità come condivisione: Dio si è fatto in Gesù compagno di viaggio, ha sperimentato con noi il dolore e la gioia.
• Carità come adattamento al bisogno reale delle persone. Nell'ultima Cena ha lavato i piedi agli Apostoli e a Pietro che, dopo iniziali riluttanze, chiedeva di essere disponibile a farsi lavare anche le mani e il capo, Gesù risponde: «Chi è mondo non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è interamente puro» (Gv 13,10) per poi soggiungere «Sono in mezzo a voi come uno che serve; così pure voi comportarvi reciprocamente». Servire non significa fare qualcosa per gli altri, ma fare quello che gli altri ci chiedono, farcii carico dei loro bisogni nella loro globalità (negli aspetti materiali, affettivi, relazionali, spirituali).
• Carità come promozione e liberazione umana: Gesù ha amato liberando le persone da condizionamenti; ha reso le persone autonome e protagoniste della propria vita. L'uomo cieco dalla nascita e guarito da Gesù ha dovuto reimpostare la propria vita; la peccatrice da Lui perdonata è diventata annunciatrice della risurrezione; Zaccheo dopo il contatto con Gesù ha praticato la giustizia e la condivisione dei propri beni.
• Carità come apertura universale attuata nella scelta preferenziale dei poveri e degli esclusi. La carità cristiana è tale quando sposta l'asse del proprio intervento dal dare cose al creare una relazione personale; perciò accentua la dimensione di servizio più che quella dell'elemosina. Inoltre non si limita a assistere, ma si impegna a operare perché le persone giungano all'autonomia, nel limite del possibile.
Applicando questo comportamento di Gesù alla diaconia della pace, dobbiamo ricordare che la pace, nella logica evangelica, si realizza solo passando attraverso le strade della nonviolenza, del perdono, del dono di se stessi, della gratuità. È illuminante l'episodio del rifiuto al passaggio di Gesù, in cammino verso Gerusalemme, opposto dalla popolazione del villaggio samaritano. Ai discepoli che proponevano al Maestro di punire gli abitanti distruggendoli con il fuoco, Gesù rispose rimproverandoli. «Si voltò verso di loro e li rimproverò» (Lc 9,51). Egualmente significativo è l'episodio dell'arresto di Gesù, nel giardino degli ulivi. A Pietro che per difendere Gesù, colpì con la spada un servo del sommo sacerdote, il Maestro rispose: «Rimetti la spada nel fodero, perché quelli che usano la spada, moriranno colpiti da spada» (Mt 26,53). In sintesi Gesù insegna che il fine non giustifica i mezzi: chi vuole ottenere la pace deve usare mezzi di pace.

Per una diaconia efficace
Se, come abbiamo detto, l'obiettivo finale della diaconia della marginalità, non è quello di fare qualcosa per i poveri - l'elemosina, un po' di assistenza, un servizio di volontariato ecc. - bensì quello di aiutare i poveri ad uscire dalla condizione di marginalità, e a ricuperare nella società una presenza dignitosa e attiva, accanto agli altri cittadini, sono necessarie tre condizioni: una conoscenza precisa e personalizzata dei poveri, l'impegno a rimuovere le cause della povertà e della marginalità, il coinvolgimento della comunità nella diaconia. Da molti anni i rapporti Caritas-Zancan continuano a rappresentare la povertà italiana come fenomeno stagnate, che non si schioda sa pesanti percentuali quantitative. Nell'ultimo anno anzi, il numero di poveri è aumentato di 400 mila unità. La povertà non è un problema di casi isolati. Siamo in presenza di milioni di persone: nel 2010 erano 8 milioni e 272 mila i poveri di povertà relativa; 3 milioni 129 mila quelli prostrati in una povertà assoluta.
Si tratta di una quantità di persone, equivalenti all'intera popolazione di alcuni stati dell'Unione Europea, condannate a restare in miseria, con minori diritti e minori opportunità. Esattamente il contrario di quello che vorrebbe la Costituzione.
Negli ultimi anni s'è aggiunto un altro fenomeno non meno preoccupante: l'impoverimento crescente stimato dall'lstat in circa il 25% della popolazione: si tratta di persone e di famiglie, provenienti dal ceto medio-basso, che hanno goduto in passato di una relativa tranquillità economica, e che ora sono a rischio di caduta nella povertà. Hanno esaurito i loro risparmi e guardano con comprensibile trepidazione al proprio futuro.
La povertà non è soltanto privazione di mezzi economici. Chi è impegnato sul territorio, può testimoniare quanto numerose sono le sofferenze presenti nell'ambiente: ad es, la realtà dei malati, degli handicappati, degli indigenti, degli indifesi presenti sul territorio, dei migranti, dei disoccupati, dei sottoccupati, dello sfruttamento minorile, dei giovani da lungo tempo in cerca della prima occupazione, dei cassa-integrati, dei licenziati; la situazione degli anziani (soli, senza assistenza, abbandonati); la condizione dei detenuti; dei giovani drogati e sbandati; dei giovani che hanno rotto i ponti con la Chiesa o vivono ai margini della società; la situazione delle ragazze madri, delle famiglie lacerate.
È difficile attuare e incarnare le verità cristiane della fraternità, dell'uguaglianza, della dignità di ogni persona, senza una corretta conoscenza del contesto in cui viviamo. E affrontando il tema della marginalità, come non ricordare la privazione di diritti che milioni di persone, anche nel nostro Paese sopportano loro malgrado: esistono diritti violati nella nostra società, come il diritto al lavoro, il diritto all'uguaglianza, il diritto all'assistenza.
Si sta costruendo un Welfare, nel quale una fascia crescente di persone è condannata alla marginalità e all'insignificanza, e nel quale crescono in termini scandalosi le disuguaglianze. Il compito della Chiesa, non può limitarsi a supplire il vuoto dello Stato ma deve spingersi anche e anzitutto a richiamare le istituzioni pubbliche ai doveri nei confronti delle fasce più deboli. Il buon governo è quello che persegue il "Bene Comune": questo è tale solo se è il bene di tutti e di ciascuno.
Per rimuovere i poveri dalla marginalità, è indispensabile rimuovere le cause della povertà, superando un certo costume assistenzialistico di attuare carità, per passare ad una impostazione che unisca strettamente la carità alla giustizia. Questo, d'altronde è l'orientamento culturale emerso dal Concilio Vaticano II, là dove raccomanda ai laici impegnati nel sociale a «non dare per carità quello che è già dovuto per giustizia e a non eliminare soltanto gli effetti, ma anche le cause dei mali» (Apostolicam Actuositatem, 8).

Rimuovere le cause della povertà
Tutto ciò implica l'individuazione e la rimozione delle cause, anch'esse molto complesse, Ci possono essere infatti cause personali, cause familiari, ambientali, culturali, sociopolitiche… Limitandoci alle ultime due, ricordiamo anzitutto che esiste una cultura diffusa, che considera la povertà in termini fatalistici, come una variante fisiologica del sistema capitalistico, nel quale siamo inseriti. La povertà sarebbe pertanto una componente assolutamente ineliminabile; si può al più attenuare il disagio dei poveri, affidandoli alla solidarietà libera e spontanea del volontariato e degli enti solidaristici della società civile. Secondo questa logica, lo Stato, nei limiti delle sue possibilità, può discrezionalmente contribuire, con interventi "graziosi", utilizzando nell'assistenza eventuali resti marginali del bilancio statale.
Forse è in obbedienza a questa logica che lo Stato Italiano non ha mai presentato un serio piano di lotta alla povertà, ignorando così i principi fondamentali di uguaglianza dei cittadini e di solidarietà presenti nella nostra Costituzione e tollerando che il numero dei poveri giungesse a superare il 13% della popolazione.
Una diaconia seria della marginalità non dovrebbe mai disgiungere l'impegno di servizio diretto ai poveri, fatto in nome del Vangelo, da un impegno altrettanto forte di stimolo alla giustizia e di pungolo nei confronti delle autorità pubbliche, ai vari livelli, affinché vengano assicurati a tutti i cittadini i diritti sanciti nella Carta costituzionale. D'altronde solo lo Stato ha l'autorità e il potere di garantire alcuni diritti fondamentali ai cittadini. Anche in questo ambito risulta evidente il legame tra il superamento della marginalità e la promozione della pace. È difficile impedire lo svilupparsi dello scontento e della ribellione, in un contesto, com'è quello italiano, dove sopravvivono disuguaglianze scandalose, dove il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza nazionale, mentre milioni di anziani sono costretti a vivere miseramente con una pensione mensile di 500 euro.
Ancora più grave è l'esistenza di 2 milioni di giovani privi di occupazione, costretti, per mancanza di alternative, a prolungare indefinitamente la permanenza nella casa paterna, privati della possibilità di formarsi una propria famiglia, e di sviluppare a servizio della comunità i propri talenti. Questo fenomeno è da considerare un bacino di potenziale ribellione, o quanto meno di disaffezione dalle istituzioni, di estraneità dalla società. In sintesi la presenza di questi fenomeni di violenza sulle persone, costituisce una mina vagante contro la pace.
La terza condizione di efficacia è la trasformazione della diaconia della marginalità e della pace, da problema di "addetti ai lavori", a problema di tutta la comunità cristiana. A monte di questa esigenza non ci sono solo motivi di efficacia e di efficienza, che pur hanno un loro peso, dal momento che viviamo in un mondo secolarizzato, nel quale la Chiesa può incidere solo se si muove unita. Ci sono in verità motivi più profondi e di carattere teologico: uno riguarda la natura della Chiesa, un secondo l'inserimento della testimonianza della carità nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Si tratta di due intuizioni presenti da sempre nella tradizione cristiana, ma sviluppate in maniera accentuata dal Vaticano Secondo.
Anzitutto la Chiesa è nel suo insieme soggetto di pastorale. Parlando di Chiesa come soggetto di pastorale, si intende affermare che l'intera Comunità cristiana è chiamata a continuare la missione di Gesù buon pastore, cioè ad annunciare la Parola, a pregare nella liturgia e nei Sacramenti, a testimoniare nella vita l'amore del Signore verso tutti e soprattutto verso i poveri, diffondendo nel mondo il dono della pace. Nella Chiesa ci sono ruoli e ministeri diversi, ma tutti i cristiani devono sentirsi responsabili e soggetti attivi nel continuare la missione di Gesù. Il Signore ha infatti costituito la Chiesa come suo corpo, come tralci dell'unica vite, impegnati nell'unica missione che Gesù ha ricevuto dal Padre.
La seconda intuizione riguarda il collocamento della testimonianza della carità all'interno della missione evangelizzatrice della Chiesa. In passato la testimonianza di carità era colta, nei migliori casi, come conseguenza dell'essere evangelizzati. In altre parole si riteneva che una persona è veramente cristiana, doveva praticare la carità, ma l'esercizio della carità non era vissuto anche come una strada per evangelizzare. L'evangelizzazione era considerata un compito specifico del ministero della catechesi e della liturgia. In realtà si evangelizza non solo con l'annuncio verbale e con la liturgia sacramentale, ma anche con la testimonianza della vita, con l'esercizio della carità e con la promozione della pace. Questa concezione evangelizzatrice della carità cristiana era stata annunciata da papa Paolo VI nell'enciclica Evangelii Nuntiandi, là dove egli affermava che: «Gli uomini del nostro tempo sono più disponibili ad ascoltare i testimoni che i maestri, e ascoltano i maestri se sono anche testimoni» (EN 41).
Fu proprio per questo motivo, che papa Montini, nel 1970 sciolse la Pontificia Opera Assistenza (POA) e ordinò alla CEI di istituire la Caritas in Italia, con lo scopo principale di animare la comunità cristiana all'esercizio della carità, cioè a diventare, un laboratorio permanente di carità. Questa prospettiva dovrebbe essere condivisa da quanti sono incamminati nel ministero della diaconia.

Conclusione
Siamo all'interno di una crisi economica, che è anzitutto crisi di valori: infatti, siamo considerati tuttora una nazione ricca, ma coltiviamo al nostro interno sacche di povertà; lamentiamo scarsità di risorse, ma continuiamo a sprecare; denunciamo la fragilità del nostro sviluppo economico e la insufficienza dei servizi sociali, ma sottraiamo allo Stato, con un'evasione fiscale altissima, le risorse necessarie per costruire un serio Welfare; reclamiamo a parole maggiore uguaglianza sociale, ma non siamo indisponibili ad abbandonare i nostri privilegi. Non si uscirà dall'attuale crisi, senza una profonda e condivisa conversione culturale, che metta al centro la persona, ogni persona, in particolare i più poveri e gli emarginati.
Quanti credono al valore della diaconia possono collaborare concretamente a trasformare la crisi attuale in una opportunità di riscatto sociale, nella misura in cui sapranno coniugare il servizio diretto agli emarginati per una loro promozione integrale, con l'educazione della comunità cristiana e della società ad un costume diffuso di solidarietà, e inoltre con la stimolazione continua verso le istituzioni pubbliche affinché considerino la povertà non più un problema di ordine pubblico e tanto meno un problema di semplice assistenza, ma un dovere di garanzia di diritti e di attuazione della giustizia sociale, che è parte integrante di quel bene comune che esse, per loro missione, devono perseguire.


(G. Benvegnù Pasini è presidente della fondazione "E. Zancan",
già direttore della Caritas Nazionale)


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