Una diaconia in tensione



Il diaconato in Italia n° 172
(gennaio/febbraio 2012)

SPIRITUALITÀ


Una diaconia in tensione
di Giovanni Chifari


Marginalità e pace, via e dono che sgorgano dal servizio di quanti hanno accolto l'Evangelo di Dio e hanno sperimentato quella povertà dei mezzi umani, che limita la superbia e accresce l'umiltà, denotando i tratti di un'autentica diaconia, richiedono un'opera di discernimento e mediazione teologica ed ecclesiale per comprendere e valorizzare la ricchezza ermeneutica che possiedono e la valenza profetica che testimoniano.

Quale mediazione per la diaconia della marginalità? Una diaconia orientata verso le antiche e nuove forme di marginalità sembra rientrare in una visione ben precisa di servizio e di ministero, che tuttavia non si distingue soltanto per la "classica" attenzione verso i poveri e gli ultimi, ma anche per la presa in carico delle nuove forme di povertà e di fragilità che sempre più emergono nell'odierno scenario economico, politico e sociale, bisognoso sia di un rinnovato annuncio del Vangelo che di una ferma denuncia di ogni ingiustizia e sopruso. Una diaconia di tipo funzionale, dunque, come variante di un'immagine tradizionale e standardizzata di ministero o di servizio, ormai percepito dai più solo in chiave romantica o quasi fiabesca, poiché solo apparentemente sembra spendersi sul versante sociale o meglio popolare, ma in realtà risulta inconcludente.
Per un ulteriore approfondimento, rimandiamo i volenterosi lettori alle pagine dense e scomode del testo Servi di Chi, Servi perché. Piccolo manuale della diaconia cristiana, nelle quali Bellia presenta le due tendenze deformanti che caratterizzano oggi l'identità diaconale: una «propensione al presenzialismo», tendenza ad un fare votato all'apparire, al cerimonialismo e alla rassicurazione, e una visione funzionale, tendenza di tipo interventista, «sensibile alle richieste più audaci del Vangelo, attenta alle opere di misericordia, sentendosi fattivamente impegnata a favorire la giustizia nelle situazioni di marginalità» (p. 18).
Tuttavia com'è stato giustamente affermato, il vero nodo da sciogliere riguarda sia l'efficacia della mediazione di tale diaconia sia la dimensione ecclesiale di tale apporto. La visibilità di un servizio che si dichiara a favore delle marginalità, ma soltanto pro forma o come etichetta, o peggio come slogan, non ha avvicinato Chiesa e ministri ai problemi reali della gente, producendo una luce forse abbagliante ma pur sempre fredda, che non è riuscita a scaldare mente e cuore con quell'amore di Dio che invece attende di essere effuso; allo stesso modo una diaconia funzionale verso i poveri e gli ultimi, o l'approccio verso le marginalità, sembra più lasciata a sforzi individuali, azioni solitarie che alla fine appaiono distanti e inarrivabili, così come carenti sul piano della comunione ecclesiale.
Una diaconia della marginalità, rischierà pertanto di ripetere lo stesso vizio di forma o d'intenzionalità che ha caratterizzato già in passato la diaconia verso i poveri e gli ultimi. Anche se nel tempo questa tendenza è stata in grado di attirare simpatie e apprezzamenti, ammirazione e interesse, non ha realmente promosso quel sussulto di fede in grado di risvegliare una rinnovata sensibilità ecclesiale, ma anzi sembra aver alimentato, per certi versi, una situazione di serenità di coscienza in quanti, fra gli uomini di Chiesa, potevano demandare ad altri un intervento di tipo sociale e più vicino al Vangelo, rimanendosene da parte loro a debita distanza. Similmente anche fra i lontani e i non credenti, pur suscitando meraviglia e stupore, entusiasmo e trasporto, tutto questo non ha prodotto che una labile infatuazione che non si è mai trasformata in amore. Una mediazione forse efficace sul piano ideologico ma capace di trasmettere solo un certo profilo di Gesù, un Gesù uomo, rivoluzionario sul piano sociale e religioso, attento ai bisogni dei poveri, ma non ancora riconosciuto come il proprio Dio e Signore.
Un'analisi a lungo raggio della parabola biografica e ministeriale di quanti si sono assunti come paladini degli ultimi segnala, a quanti sono pronti a servire le nuove forme di marginalità, una variegata e alterna stagione fatta di arresti e virate repentine, risoluzioni improvvise e fugaci, ma anche scarsità di frutti (cf. Mt 7,17). Quando, infatti, un servizio è la risposta all'entusiasmo di un'idea o un atto coercitivo che s'impone a se stessi, alla fine o si cambia idea o ci si stanca. Se l'intelletto non è illuminato dalla luce divina e la volontà non è scaldata dall'amore di Dio, come potremo tendere verso ciò che è vero, buono e giusto? È allora mancata una diaconia vissuta come risposta all'esperienza di Dio, come oggettivazione del dono della Grazia, come graduale cammino dalla conversione alla fede.
Quando invece il diacono si è lasciato abitare da Cristo, si è fatto servo e strumento della sua opera, ha portato frutto e ci ha offerto un'indubbia e autentica testimonianza, alla quale dovremo poter guardare come offerta di profezia per l'oggi. Il servizio di questi autentici testimoni, radicato nella loro umanità, è divenuto mediazione efficace capace di promuovere l'incontro con Cristo e, osservando le diverse epoche storiche, di rinnovare in parte il volto della Chiesa. Riassumendo possiamo allora domandarci: in che modo potrà emergere il valore testimoniale di un servizio a favore dell'uomo in condizioni di marginalità? Quale sarebbe la differenza di un approccio cristiano e diaconale rispetto ad altre forme di impegno e coinvolgimento attivo in ambito sociale praticato anche da non credenti? Se, infatti, questi ultimi si distinguono per una fede ideologica e morale, che consente loro di compiere anche gesti eroici e di assoluto valore, non è questa la prospettiva che lascerà emergere il valore testimoniale della fede, non da qui si eleverà quel profumo di soave odore (cf. Rm 12,2) che attraverso il servizio e la mediazione del servo, consentirà all'altro di fare esperienza di Dio.

Quale ecclesialità?
Lo slancio della Grazia divina aveva in realtà segnato una via ben precisa, purtroppo sovente disattesa in documenti e passaggi - troppo spesso omessi o dimenticati - come quelli maturati nel Concilio Vaticano II. Come non prendere sul serio ciò che dice la Lumen Gentium 8? La via suggerita per la Chiesa, è la stessa già intrapresa da Cristo: «povertà e persecuzioni […] per comunicare agli uomini i frutti della salvezza». Sempre lo stesso testo sembra descrivere ciò che oggi affermiamo e auspichiamo riguardo alla diaconia della marginalità: «la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo».
Testo valido per tutti i ministri, ma che per i diaconi in particolar modo significherà vivere il proprio servizio nella costante conformazione a Cristo, nella comunione ecclesiale, lasciando che Dio compia la sua opera anche attraverso quella disponibilità umana assunta a carattere di segno sacramentale della sua azione salvifica.
Il discernimento spirituale per ogni diacono dovrà consentire di riconoscere e servire quelle situazioni di effettiva marginalità che sfuggono agli stereotipi standardizzati di un tempo e ai luoghi classici d'intervento, poiché ormai ogni situazione umana è figlia di questa società liquida e complessa, che offre mille rivoli dai quali sgorgano situazioni di umana debolezza, fallimenti e tracolli che rivelano l'umana fragilità, luoghi che attendono di conoscere l'annuncio della speranza cristiana e della salvezza. I diaconi sono qui chiamati a quel faticoso e inglorioso servizio di tessitura e mediazione.
Testimoniando Colui che si è fatto povero e marginale per gli ultimi e per gli esclusi, i diaconi, lasciandosi attraversare dalle sofferenze di questa umanità le faranno confluire verso il Cristo che abita in loro (cf. Col 1,24), perché sia Lui, mediante il loro umile servizio e disponibilità, a donare speranza e sollievo, consolazione e futuro. La presenza in quelle situazioni di marginalità e di abbandono, di povertà materiale e spirituale, diverrà allora possibilità inconsapevole di partecipazione a quell'unica missione di salvezza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ma come potrà emergere la stessa profezia insita nella riscoperta del diaconato, l'indole e la natura di tale annuncio e servizio, se anch'esso rimane risucchiato dall'invincibile attrazione esercitata da una certa idea di ministero? Se si rimane invischiati in quelle sabbie mobili costituite dagli accattivanti palcoscenici del mondo? Se ci si trova sensibili e vulnerabili all'autoreferenzialità e al protagonismo?

Servire le marginalità mediando l'incontro con Cristo e promuovendo una crescita dell'autoconsapevolezza ecclesiale, non sarà allora un comportamento motivato dal fascino di un'idea ma la libera risposta di una fede che ha oggettivato la propria conversione. I diaconi, così come ogni cristiano, potranno osservare e valutare l'impatto dell'azione dello Spirito vedendo dilatare, come lascia intendere la Scrittura, il bisogno e la necessità di ascolto, la disponibilità al servizio, il riconoscimento dei propri limiti e della povertà dei propri mezzi, ma anche il desiderio e la volontà di conoscere e comprendere sempre più e meglio.
Lasciarsi condurre arrendendosi alla lenta e graduale azione della Grazia divina, abbandonandosi all'opera dello Spirito, è quell'esperienza che conforma i servi al Maestro, è assunzione della stessa marginalità di Cristo che nella marginalità e dalla marginalità annuncia la pace. Diaconi, ma anche laici, pacificati, che comunicano e donano pace, perché comunicano Dio stesso, il suo amore, la sua volontà di sanare ogni ferita e donare la salvezza. Pace perché nessuno potrà avanzare alcuna pretesa, perché è liberante e consolante scoprire che la missione non è nostra, ma che è sempre Dio che agisce mediante la nostra umanità. Servendosi della nostra disponibilità Egli realizza la sua opera, chinandosi verso l'abisso di ogni marginalità perché possa divenire luogo e sorgente costante della sua gloria (cf. Gv 9,3) e fonte di pace. Il mondo ha bisogno di pace, ma anche di chi ne è strumento.
Il giovane Francesco abbracciando il lebbroso, coniugando la diaconia della marginalità con quella della pace, potrà dire che ciò che prima gli era apparso amaro e ripugnante divenne «dolcezza di anima e di corpo» (FF, 110). Tutto ciò accade forse per merito suo? Può egli avanzare alcuna pretesa dinanzi a Dio? No, perché tutto è opera della grazia, offerta gratuitamente e liberamente.

Per una diaconia fra intelligenza e fede
Un cristiano, un presbitero, un diacono che nella marginalità trova la sua pace, può annunciare che l'esperienza storica diviene luogo di incontro con Dio. Il servizio del diacono è allora carico di responsabilità perché è chiamato a mediare il sentire ecclesiale nella sua globalità. Quando il diacono serve, è in lui la stessa Chiesa che cresce nel servizio e nella conformazione a Cristo. L'individualità del servizio del singolo si dissolve nella coralità della Chiesa, divenendo segno sacramentale del suo amore per l'umanità. Ma c'è anche una dimensione pedagogica e testimoniale che proprio il diaconato può donare agli altri due gradi del sacramento dell'ordine. Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che sta incontrando il diaconato permanente nel cammino di una piena accoglienza e riconoscimento all'interno della vita ecclesiale, situazione difficile che sembra non valorizzarne e riconoscerne la dignità sacramentale, alimentando sofferenze e amarezze che a volte sfociano in una composta richiesta di riconoscimenti e corrette attribuzioni o nel reclamo di compiti specifici magari più nobili e meno umilianti. Sembra comprendere quest'esigenza il testo del Direttorio per il diaconato permanente al n. 247: «In ogni caso, però, è di grandissima importanza che i diaconi possano svolgere, a seconda delle loro possibilità, il proprio ministero in pienezza, nella predicazione, nella liturgia e nella carità, e non vengano relegati a impegni marginali, a funzioni meramente suppletive, o a impegni che possono essere ordinariamente compiuti dai fedeli non ordinati».
Fermiamoci soltanto sull'aspetto funzionale. Se il diacono è relegato a compiti marginali, cosa deve fare? Domanda non da poco, che attraversa anche forum e dibattiti. Forse il tema scelto per questo numero può aiutarci a rispondere, Ci può essere diaconia anche quando un servizio è relegato a compiti umilianti e marginali? Certamente sì, poiché anche in questi casi si potrà vivere e annunciare la diaconia della pace. Ma a condizione che nel non-senso si possa continuare a esercitare l'annuncio evangelico.
Forse la diaconia umile e silenziosa non solo nella marginalità sociale ma anche nella marginalità a volte umiliante dei compiti e ruoli assegnati, non può divenire sorgente inesauribile di profezia? Del resto, le opere di Dio hanno forse bisogno di pubblicità? Reclamano compiti e spazi? O emergono da sé? Questo è detto perché i diaconi possano dare speranza e consolazione, perché perseverino nell'approfondire e maturare l'intelligenza teologica del ministero, capace di coniugare una teologia che chiede di essere capita, con la Parola di Dio che chiede di essere creduta.



(G. Chifari è docente di Teologia biblica
presso l'Istituto Scienze Religiose "Giovanni Paolo II'' di Foggia)




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