Anno B - 4a domenica di Pasqua


Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008

Anno B - 4a domenica di Pasqua

• Atti 4,8-12 • 1Giovanni 3,1-2 • Giovanni 10,11-18

IL BUON PASTORE

Può ancora dirci qualcosa la parabola del pastore e delle pecore narrata da Gesù nel vangelo odierno? Per la maggior parte di noi, pastori e greggi non sono uno spettacolo abituale, né l'immagine delle pecore suscita facilmente in noi un processo di identificazione. Si tratta però di comprendere il linguaggio biblico, elaborato da un popolo che conosceva bene la vita dei pastori e il loro legame con le pecore, e addirittura proiettava su Dio l'immagine del pastore, invocandolo quale «pastore di Israele» (Sal 80,1). I figli di Israele, inoltre, attendevano un Re Messia con i tratti del pastore buono, capace di guidare il gregge, di conoscere le sue pecore a una a una fino a chiamarle per nome, fornendo loro il cibo e le cure necessarie (cfr. Ez 34; Ger 23,1-8)...

Attese dei credenti giudei e promesse di Dio al suo popolo si mescolano nelle parole che Gesù, a Gerusalemme, rivolge ad alcuni fari sei e alla folla, in occasione di una controversia suscitata dalla sua guarigione di un uomo cieco dalla nascita (cfr. Gv 9,40 - 10,21). Gesù dichiara: «Io sono il buon pastore», letteralmente «il pastore bello». La bontà e la bellezza di questo pastore che è Gesù derivano dall'atteggiamento che caratterizza la sua relazione con le pecore: egli spende, depone la vita per le pecore, perché quotidianamente vive con esse, si coinvolge personalmente con ciascuna di esse, esponendo si addirittura a perdere la propria vita per proteggerle. Gesù non è un funzionario che svolge il proprio lavoro al semplice scopo di ricevere un salario, senza avere realmente a cuore le pecore; no, egli è un pastore autentico, non vive del ruolo né della funzione rivestita, ma si impegna in una relazione che vuole il bene delle pecore, fino a condividere tutta la vita con il proprio gregge. Insomma, il pastore buono e bello è venuto per servire: la sua autorità consiste nel far crescere quanti gli sono affidati; il suo compito è quello di farli vivere in pienezza; la modalità del suo servizio è quella di spendere «fino alla fine» (Gv 13,1) la vita per quelli che il Padre gli ha donato.

Ognuno di noi è coinvolto da questa parabola, come pecora chiamata a interrogarsi sul suo legame con il pastore; un legame fatto di ascolto e di conoscenza, finalizzato a una relazione viva ed efficace con il pastore Gesù Cristo e, di conseguenza, alla partecipazione alla relazione tra il Padre e il Figlio: «Il Padre conosce me e io conosco il Padre; io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me». Lo sguardo di Gesù però non si ferma al suo «piccolo gregge» (Lc 12,32), alla comunità itinerante di uomini e donne che lo ha seguito, ma si rivolge anche alle pecore non ancora alla sua sequela: «Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge con un solo pastore». Dicendo questo, egli pensa a tutti gli uomini che attirerà a sé quando sarà innalzato in croce e poi in cielo presso il Padre (cfr. Gv 12,32). La sua missione sarà quella di «radunare nell'unità i figli di Dio dispersi» (cfr. Gv 11,52), ma ciò si realizzerà in modo sorprendente: questo pastore universale (cfr. Eb 13,20; 1Pt 5,4), l'unico pastore della chiesa sparsa su tutta la terra, si rivelerà come agnello sgozzato (cfr. Ap 5,6.12; 7,17; 13,8), che ha deposto la propria vita, e per questo è stato innalzato e glorificato dal Padre. Sì, proprio in quanto agnello Gesù è diventato il pastore delle pecore!

Certamente in questa pagina del quarto vangelo è contenuta la rivelazione di Gesù quale pastore delle nostre vite; da essa scaturisce però anche una domanda cruciale per tutti i pastori delle chiese: essi svolgono il loro servizio come funzionari o come persone che spendono la propria vita con amore per le comunità loro affidate? È infatti sempre possibile che il pastore si trasformi in mercenario oppure finisca per non interessarsi delle pecore che compongono il suo gregge. Non si dimentichi però: se un pastore comincia a svolgere il proprio servizio come un mercenario, vivendo in modo contraddittorio a quel che pensa, poco per volta finirà anche per pensare come vive, in un triste circolo vizioso. E ciò sarebbe causa di grande rovina sia per il pastore sia per le pecore...

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