Anno B - 5a domenica di Pasqua


Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008

Anno B - 5a domenica di Pasqua

• Atti 9,26-31 • 1Giovanni 3,18-24 • Giovanni 15,1-8

LA VERA VITE E I TRALCI

Nelle ultime domeniche del tempo pasquale la chiesa ci invita a leggere alcune parole di Gesù riprese e meditate nei cosiddetti «discorsi di addio» del quarto vangelo (cfr. Gv 13,31 - 16,33). È infatti attraverso questi discorsi che ci parla il Cristo della Pasqua, il Signore glorificato attraverso la croce e la resurrezione.

Oggi è il caso di una parabola mediante la quale Gesù rivela se stesso, mostrando la propria identità e, insieme, la propria relazione con Dio Padre e con i discepoli: «Io sono la vera vite e mio Padre è il vignaiolo» ... «Io sono la vite, voi i tralci». Nell'Antico Testamento più volte il popolo dei credenti era stato definito attraverso la metafora della vite (cfr. Sal 80; Is 5,1-7; 27,2-5; ecc.), in quanto popolo scelto e piantato da Dio nella terra promessa; di conseguenza, Dio poteva essere inteso come il padrone della vigna, legato a essa da un rapporto di amore, cura e dedizione. Egli desiderava che questa vigna fosse feconda, che desse frutto abbondante in vista del vino, simbolo dell'amore (cfr. Ct 2,4)...

Ma ora, dopo la vicenda terrena di Gesù e la sua resurrezione, la vigna è una persona, è Gesù, il Figlio stesso di Dio; egli è vera vite, nel quale tutto il popolo di Dio è corporalmente vivente. Da ciò discende anche l'identità dei discepoli, coloro che sono alla sequela di Gesù Cristo, totalmente coinvolti nella sua vita e nel suo destino. Essi sono tralci e, in quanto tali, devono rimanere attaccati alla vite per riceverne la linfa: questa non è solo la condizione necessaria per portare frutto, ma è questione di vita o di morte... Sì, il discepolo di Gesù non è colui che si limita a conoscere il suo insegnamento, ma è colui che rimane saldamente legato a lui in un rapporto di amore, in un radicale coinvolgimento di vita. Gesù non è semplicemente un maestro spirituale da ascoltare, come tanti esistiti in diverse vie religiose: per essere suoi discepoli, per essere cristiani, occorre vivere insieme a lui.

Gesù stesso definisce questa relazione attraverso il verbo «rimanere, dimorare»: il discepolo autentico di Gesù è chiamato a vivere con perseveranza in lui, fino a fissare in lui la propria abitazione, a dimorare nella sua parola (cfr. Gv 14,23-24), ad abitare il suo amore (cfr. Gv 15,9-10); fino ad affermare: «Io e Gesù viviamo insieme!» (cfr. Gal 2,20)... Al contrario, senza questa circolazione di vita che dal Padre scende in Gesù e da Gesù in noi, la vita cristiana può anche dec1inarsi come pratica religiosa, ma in verità è pura «scena mondana» (cfr. 1Cor 7,31). Ogni cristiano è dunque avvertito: senza questo legame personale con Gesù Cristo, egli non solo «non può fare nulla», ma neppure ha in alcun modo a che fare con Gesù il Signore! Ed è proprio questa la via più quotidiana per divenire ipocriti: dirsi cristiani senza esserlo...

Sentirsi tralcio di una vite è esperienza di chi sa di essere sotto le cure del vignaiolo, il Padre, il quale, se anche ci pota, lo fa solo perché portiamo un frutto più abbondante; è esperienza di chi impara a portare frutto a nome del ceppo, della vite, attraverso una linfa di cui partecipa ma che non gli appartiene; è esperienza di essere tralcio insieme ad altri tralci, i fratelli e le sorelle, e, di conseguenza, di essere vera chiesa di Dio solo se radicati in Cristo. Davvero diventare discepoli, e diventarlo insieme, non è questione di un'ora, di una stagione della vita, ma è un percorso lungo e faticoso, in cui siamo chiamati a perseverare, a rimanere in comunione con Cristo. E così, giorno dopo giorno, il legame di amore con il Signore ci consentirà anche di accedere all'amicizia con lui (cfr. Gv 15,13-15)...

In un'ora in cui nella nostra chiesa sembrano prevalere i «cristiani militanti», coloro che presumono di combattere per Gesù Cristo senza essere suoi discepoli, è bene ricordare che un grande padre della chiesa come sant'Ignazio di Antiochia solo al termine di una lunga vita, mentre si avviava al martirio, ha osato scrivere: «Ora comincio a essere discepolo di Cristo!».

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