Anno B - 6a domenica di Pasqua


Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008

Anno B - 6a domenica di Pasqua

• Atti 10,25-27.34-35.44-48 • 1Giovanni 4,7-10 • Giovanni 15,9-17

IL COMANDAMENTO NUOVO

Nel «frattempo» intercorrente tra la resurrezione di Gesù e la sua venuta nella gloria alla fine della storia, qual è lo stile di vita che deve caratterizzare i suoi discepoli nel mondo? Come si vedeva domenica scorsa (cfr. Gv 15,1-8), i cristiani sono uniti a Cristo come i tralci alla vite, dimorano in Cristo, hanno cioè piena e salda comunione con lui; e questo nonostante il Risorto non sia più visibile, ma dimori ormai presso il Padre, co-abiti presso di lui nell'amore. E proprio perché «Dio è amore» (1Gv 4,8.16), è comunione di amore tra Padre e Figlio, solo vivendo nell'amore noi possiamo entrare in comunione con il Dio che nessuno ha mai visto (cfr. Gv 1,18).

Ma cos'è l'amore, l'agape, come lo chiama il Nuovo Testamento? È un flusso che scende dal Padre, innanzitutto sul Figlio, «l'amato» (cfr. Mc 1,11; 9,7), e poi attraverso il Figlio sui credenti, suscitando in loro una dinamica relazionale: ciascuno fa esperienza passiva dell'amore di Dio su di sé e, di conseguenza, è costituito soggetto di amore. Questa circolarità dell'amore è ben espressa dalle parole di Gesù: «Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». L'amore di cui ognuno di noi ha bisogno per vivere in pienezza, l'amore che solo può dare senso alla nostra vita, è un'energia divina, è un'esperienza reale e concreta alla quale ogni cristiano è chiamato!

I discepoli di Gesù hanno conosciuto il suo «amore fino alla fine» (cfr. Gv 13,1), il suo spendere la vita per loro, suoi amici, fino a subire una morte violenta e ingiusta. Ebbene, questo atteggiamento di Gesù si alimentava a una fonte ben precisa: l'amore del Padre sperimentato su di sé. Anche il credente, qui e ora, si trova immerso in questa corrente di amore; e la comunità dei credenti, la chiesa, è innanzitutto una realtà che nasce dall'amore e deve tendere a essere epifania di amore. E si faccia attenzione: non è la chiesa che sceglie o decide di amare, di esercitare la carità, ma è l'amore di Dio che genera la chiesa e la abilita a essere soggetto di carità!

Alla luce di questo, si comprende bene perché Gesù abbia lasciato ai suoi discepoli, come condizione necessaria per essere in comunione con lui, «il comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (cfr. Gv 13,34). Sì, di tutti i comandamenti contenuti nella Scrittura, dopo la venuta di Gesù sulla terra non ne resta che uno solo, il comandamento «nuovo» perché ultimo e definitivo! Se già secondo i vangeli sinottici Gesù aveva sintetizzato tutta la Legge nell'unico comandamento dell'amore di Dio e del prossimo (cfr. Lc 10,25-28); se Paolo aveva affermato che «tutta la Legge trova compimento in un'unica parola: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5,14; cfr. Rm 13,8lO), Giovanni, il discepolo amato, va oltre e compie la sintesi decisiva. Nel quarto vangelo, infatti, il comandamento nuovo è in definitiva l'unico che Gesù ha ricevuto dal Padre e, come tale, l'ha osservato fino all'estremo, fino a fornire un modello e una misura - «come io vi ho amati» - all'amore dei suoi discepoli, i cristiani, verso gli altri.

«Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati»: ecco il comandamento dei cristiani, l'unico che, se attuato in verità, consente di riconoscere i discepoli di Gesù (cfr. Gv 13,35); ecco la condizione in cui si fa esperienza del Dio invisibile e lo si contempla con gli occhi della fede, secondo le parole dello stesso Giovanni nella sua Prima lettera: «Dio nessuno l'ha mai visto, ma se ci amiamo gli uni gli altri Dio dimora in noi e in noi il suo amore è giunto a pienezza» (1Gv 4,12). Questo è il cristianesimo, non altro! E ogni volta che, per colpa di noi cristiani, il comandamento nuovo sbiadisce, perde la sua centralità e unicità, allora anche il cristianesimo smarrisce il suo carattere di vangelo, di buona notizia; anzi, può giungere fino ad assumere i tratti di una cattiva notizia, perché troppo carico di leggi e comandamenti, che gli uomini tendono sempre a moltiplicare e a rendere più pesanti.

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