Anno B - Ascensione del Signore


Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008

Anno B - Ascensione del Signore

• Atti 1,1-11 • Efesini 4,1-13 • Marco 16,15-20

NOI, MANI E BOCCA DI DIO

Celebriamo oggi la festa dell'Ascensione, nella quale il mistero pasquale di Gesù, il suo esodo da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13,1), è letto in un'ottica particolare. La nostra attenzione si concentra infatti sul momento in cui egli giunge presso il Padre, entra nel regno di Dio; egli partecipa così al potere e alla signoria di Dio, quale Messia che siede alla destra di Dio, secondo le parole del salmista: «Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra» (Sal 110,1).

Con la morte e il seppellimento di Gesù è avvenuta una separazione tra lui e i discepoli, e la resurrezione non ripristina la situazione precedente, quella di un'esistenza vissuta insieme, ma origina un altro modo con cui Gesù, Risorto e Vivente, si rende presente alla sua chiesa. Detto altrimenti, la resurrezione significa che l'uomo Gesù è stato reso da Dio Signore e Messia (cfr. At 2,36), è stato innalzato fino a partecipare per sempre alla vita di Dio; ebbene, i vangeli hanno espresso tutto ciò mediante l'immagine dell'assunzione al cielo di Gesù, così come al cielo era stato innalzato il profeta Elia (cfr. 2Re 2,1-14). È Luca, in particolare, a testimoniare questa verità attraverso il racconto dell'ascensione (cfr. Lc 24,50-53; At 1,6-11): la verità di Gesù Cristo che, quale Signore, oggi partecipa della condizione divina; la verità del corpo di Gesù, un corpo umano ormai assunto nella vita stessa di Dio, la vita trinitaria.

La conclusione del vangelo secondo Marco si ispira proprio ai racconti lucani e, operando una sintesi di tutti gli eventi riguardanti la resurrezione di Gesù, afferma: «Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio». Nel dire questo, Marco non dimentica però che la fede nel Risorto si è fatta strada con grande difficoltà nei cuori dei discepoli; per ben due volte, infatti, si vede costretto a scrivere che essi «non vollero credere» (Mc 16,11.13), aggiungendo che Gesù stesso «li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore» (Mc 16,14). Anche dopo la Pasqua la comunità degli Undici e dei discepoli merita il rimprovero di Gesù, allora come oggi; e tuttavia è proprio a questa comunità, barca traballante e sballottata, che Gesù affida la missione! È paradossale ma è così: il Signore Gesù conosce la nostra incredulità e volge a essa il suo sguardo compassionevole, eppure ci chiede ugualmente di andare tra gli uomini, di «annunciare la buona notizia della resurrezione a tutte le creature», perché tutte in attesa della redenzione (cfr. Rm 8,22-23), e di ricordare che quanti, pur raggiunti dal Vangelo, non vi aderiscono, percorrono una strada rovinosa e mortifera...

Si faccia però attenzione: quest'ultima parola del Signore non va applicata a coloro che sono fuori della chiesa, i cosiddetti «non credenti», ma innanzitutto a noi cristiani, che abbiamo conosciuto e annunciato la buona notizia. Quanto agli altri, «quelli di fuori» (Mc 4,11), noi non possiamo ergerci a giudici nei loro confronti, fino a condannarli in quanto incapaci o impossibilitati ad aderire alla verità del Vangelo: «non di tutti è la fede, ma il Signore è fedele» (2Ts 3,2-3)! E non si dimentichi in proposito che la fede degli altri dipende soprattutto da noi: dal modo in cui presentiamo e comunichiamo il Vangelo, da come narriamo il volto di Dio, da come sappiamo agire quali uomini nella storia e nel mondo. Davvero il Vangelo che può destare la fede non è affidato a un libro o a uno strumento di comunicazione, ma a noi: è la nostra vita che deve essere un racconto del Vangelo.

Ecco perché il Signore Gesù mette in evidenza che un annuncio vero ed efficace del Vangelo deve essere accompagnato da «segni», segni da leggersi nella nostra vita e nel nostro operare. Noi siamo nel mondo le mani e la bocca del Dio invisibile (cfr. Gv 1,18; 1Gv 4,12), ed è guardando a noi che gli uomini possono decidere se credere al Vangelo o rifiutarlo: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere belle e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16). Sì, sta a noi essere consapevoli che il Risorto, in questo tempo della sua assenza fisica, agisce in noi, a patto che siamo capaci di andare nella compagnia degli uomini restando fedelmente alla sua sequela.

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