XIV Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 8 luglio 2012
XIV Domenica del Tempo ordinario

Ez 2,2-5
2Cor 12,7-10
Mc 6,1-6

TRA INCREDULITÀ
E DUREZZA DI CUORE

È certamente legittima l'esigenza di servirsi del brano del vangelo di Marco sulla reazione di scandalo che l'operato di Gesù provoca nei suoi concittadini per porre la domanda sulla composizione della famiglia di Gesù, sul significato di quei termini "fratelli e sorelle", a cui sono poi connesse questioni teologiche importanti soprattutto per la tradizione cattolica. Non sta qui, però, il punto centrale di questo testo. Fin dall'inizio del suo vangelo, Marco ha dato spazio, accanto alla presentazione progressiva del ministero pubblico di Gesù, al tema dell'opposizione. Quell'opposizione che lo porterà alla croce comincia molto presto, accompagna Gesù fin dall'inizio del suo ministero, punteggia ogni momento di rilievo della sua attività. Marco ce la presenta come qualcosa di endemico, che dilaga prima di tutto tra la "sua" gente.

Non sono in gioco la sapienza e la forza taumaturgica di Gesù, perché di questo tutti restano ammirati, anche quelli che poi si scandalizzano di lui. Dovremmo riflettere di più su una moda dei nostri tempi, per cui tanti che dicono di essere attratti da Gesù ma di non voler credere in lui, ricevono a volte maggior credito pubblico ed ecclesiale di molti credenti che con onestà e coraggio cercano di render ragione della fede della Chiesa davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Gesù non è un maestro di sapienza, non è un saggio, non è un guru. Gesù chiede, senza mezzi termini, di credere nel suo ministero messianico, che significa di fatto credere nel regno di Dio. Qui sta il punto. Credere che Gesù è il Messia significa credere che Dio sta effettivamente portando a compimento il suo progetto e che il mondo sta ormai trasformandosi nel luogo della sua signoria. Se Gesù è il Messia, Dio ha allora speso la sua ultima carta perché la sua governance sulla storia arrivi definitivamente a compimento. Siamo capaci di riconoscere questo nella nostra storia, individuale e collettiva? O non vediamo piuttosto solo quello che sappiamo vedere, cioè che il mondo ha sempre gli stessi connotati, è governato sempre dalle stesse leggi, è inesorabilmente sempre uguale a sé stesso e che Dio, se esiste, è in grado di fare ben poco per la sua redenzione?

Il testo di Marco ci impone dunque di riflettere sulla linea di demarcazione prima della quale c'è attrazione e interessamento per ciò che Gesù dice e compie e oltre la quale c'è rifiuto e scandalo per quello che Gesù rappresenta. Credere in Gesù significa riconoscere che il regno di Dio è all'opera. Il vero problema, allora, non è tanto sapere se Gesù ha avuto fratelli e sorelle, se questi di cui parlano i vangeli erano solo cugini o se Giuseppe aveva avuto figli da un precedente matrimonio. Per l'evangelista, il problema vero è che, come già precedentemente la sua famiglia lo ha considerato fuori di senno e avrebbe voluto impedirgli di continuare la sua itineranza missionaria, subito dopo anche la sua famiglia allargata, il suo circondario, la gente del suo villaggio si oppone alla missione che egli dichiara di voler compiere. Avere un concittadino illustre e famoso che compie prodigi fa piacere a tutti, ma non è questa fama e questo riconoscimento che Gesù vuole, perché pretende di essere riconosciuto come Messia. Si abbatte su Gesù la stessa condanna che aveva contrassegnato la vita e le sorti dei profeti di Israele. E per lui, come già per loro, l'ostilità non viene dagli estranei, ma dal loro stesso popolo. Come ha messo a tacere i profeti, il popolo che Dio si è scelto e a cui ha inviato il suo Messia comincia fin da subito a rifiutarlo.

Durezza del cuore, incoerenza, ambiguità hanno scandito, è vero, la storia del popolo che Dio ha scelto, ma non è certo andata diversamente per le sue Chiese o per ciascuno dei suoi discepoli. Il profeta Ezechiele lo constata con dolore mentre il popolo prediletto da Dio, durante l'esilio a Babilonia, rinuncia ai suoi ideali e viene meno ai suoi doveri, come il vangelo di Marco mette a fuoco, con la stessa disarmante lucidità, che l'arroganza rende la gente di Nazaret indisponibile nei confronti dell'insegnamento e delle opere compiute da Gesù. Il problema è sempre lo stesso, ieri come oggi.

Da molto tempo sociologi e psicologi più attenti ci mettono in guardia sul fatto che benessere e felicità, opulenza e gioia di vivere non coincidono, anzi, spesso confliggono. La convinzione che benessere e opulenza possano essere pesati e apprezzati in termini di denaro e cibo, poi, si va sgretolando sotto i colpi di una crisi che la finanza mondiale ha avuto il merito solo di far esplodere in modo deflagrante, ma che già aveva cominciato a farsi strada da tempo come tramonto dell'Occidente. Crisi culturale e valoriale, crisi delle motivazioni e dei fini prima ancora che delle borse e delle aziende. Profeticamente, alcuni lo andavano dicendo da tempo, ma... nessuno è profeta nella sua stessa patria. Cominciamo a sentir parlare ormai di "indicatori di benessere" e veniamo finalmente invitati a interrogarci sulla qualità di ciò che viviamo e siamo e non sulla quantità di ciò che abbiamo. Ma ciò accade in un momento in cui a molti intorno a noi viene a mancare l'indispensabile per vivere. In questo tempo duro di esilio, sapremo riconoscere che Gesù di Nazaret è vivo e opera in mezzo a noi?

VITA PASTORALE N. 6/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)



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