XX Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 19 agosto 2012
XX Domenica del Tempo ordinario

Pro 9,1-6
Ef 5,15-20
Gv 6,51-58

L'EUCARISTIA
ASSUME E TRASFORMA

Il discorso sul pane di vita,. che nel piano narrativo dell'evangelista Giovanni fornisce l'interpretazione del miracolo della moltiplicazione dei pani in chiave sapienziale e sacramentale, viene pronunciato da Gesù non, come vorrebbe la logica del racconto, nel luogo erboso dove egli ha compiuto il gesto miracoloso, ma in un luogo di culto, la sinagoga di Cafarnao. Si tratta, infatti, di un discorso che rimanda all'esperienza liturgica della cena del Signore vissuta dalle comunità giovannee. Non c'è dubbio che le parole che esprimono la volontà di Gesù di darsi come pane costituiscono la formula eucaristica propria al quarto evangelista che, diversamente da quella che i sinottici riportano nel racconto dell'istituzione, oltre ad avere un pronunciato carattere cristologico tradisce anche una forte tensione polemica.

Le parole di Gesù che invitano a mangiare la sua. carne e bere il suo sangue non possono infatti venir circoscritte soltanto all'ambito della celebrazione eucaristica, e il forte realismo che le caratterizza rimanda a una polemica ben più ampia che sta prendendo piede nelle comunità giovannee e che, come mostra in modo tutto particolare la prima lettera attribuita a Giovanni, sfocerà in una forma di eresia lacerante per la vita delle comunità stesse. La questione nodale, evocata dal riferimento a carne e sangue, è la negazione della realtà fisica del Figlio di Dio.

Fin dalle prime battute del suo vangelo, Giovanni insiste sul fatto che il Verbo non si è fatto semplicemente uomo, ma "carne". Lo sviluppo di una cristologia "alta", infatti, porta con sé il forte rischio di attribuire a Gesù sembianze umane senza accettare fino in fondo la realtà della sua incarnazione. Si tratta di una delle prime derive ereticali della riflessione cristologica centrata non più soltanto sulla risurrezione del Messia, ma sull'eternità della figliolanza divina. Nel momento in cui Gesù non e più il figlio prediletto di Dio investito di potenza messianica, ma è il Verbo presente nel seno del Padre fin dall'eternità il problema di rendere ragione della sua piena e reale umanità diviene più complesso.
La celebrazione eucaristica costituisce allora il momento privilegiato in cui la comunità credente è messa di fronte al fatto che accettare la realtà umana di Gesù è altrettanto decisivo per la fede quanto la sua condizione divina. Nella celebrazione eucaristica è presente la persona e l'opera salvatrice del Signore, è presente la sua realtà umana trasformata e glorificata, il suo corpo spirituale. Rifiutare che l'eucaristia sia relazione "fisica" con il Verbo che si è fatto carne significa rifiutare la vita eterna: come il Signore glorificato, presente nel mistero, non ha negato né abbandonato la sua realtà in "carne e sangue", così il dono della vita eterna non annulla, ma assume e trasforma, la realtà di ciascuno dei credenti e dell'intera comunità. La partecipazione all'eucaristia stabilisce tra il credente e Gesù un rapporto d'intimità uguale a quello tra Gesù e il Padre, un rapporto di reciprocità in "carne e sangue".

Senza "ara e altare" la fede in Gesù avrebbe potuto radicarsi nella storia e non bisogna scandalizzarsi se anche le comunità cristiane si sono date un culto come tutti gli altri gruppi religiosi. Il Cristo che troneggia sugli altari, però, il "Signore" che diviene oggetto di culto mette a rischio il vincolo che lo lega in modo irrinunciabile al Gesù in carne e sangue, alla sua parola e al suo insegnamento che sono stati la piena rivelazione di Dio. Per quanto inevitabilmente rimandi alla relatività di un tempo e di uno spazio, di una situazione storico-sociale e di una tradizione religiosa, la conoscenza della sua storicità è sempre meno rischiosa di un'idea, di un concetto, di una verità astratta o di un mito. Essa è irrinunciabile, altrimenti la fede si traduce in ideologia,mentre nessuna ideologia, neppure teologica, può rivelare il Dio di Gesù.

La sacramentalità è una dimensione potente quanto fragile perché segna quel sottile passaggio tra storia degli uomini e azione di Dio. Per questo, al di là del dato statistico sulla tenuta della pratica sacramentale, la questione sacramentale dovrebbe essere percepita come cruciale dall'intera comunità credente. Il concilio Vaticano II ha capito che una vera riforma della Chiesa poteva cominciare solo dalla liturgia e dalla pluralità delle sue dimensioni, teologica, pastorale, etica, missionaria. E ha capito che la forma della liturgia non sta nel suo formalismo sacrale, ma nella sua capacità di aprire spazi e tempi in cui l'azione sacra realizza quanto dichiara e compie quanto promette perché in quel preciso spazio e in quel preciso tempo la vita eterna viene effettivamente donata e ricevuta. In termini non soltanto simbolici, ma reali. In "carne e sangue".
L'appello all'esperienza e all'intelligenza, che chiude uno degli inni alla sapienza più belli del libro dei Proverbi, allarga il cuore, ma pure ci ricorda che la sacramentalità dell'eucaristia, se sganciata dalla parola di sapienza che esce sempre nuova dalla bocca di Dio, non può che tradursi in una ritualità magica o in una devozione a basso costo. Mangiare il pane e bere il vino preparati dalla sapienza è andare diritti per la via dell'intelligenza. Che le Chiese debbano sempre interrogarsi sull'eucaristia non può scandalizzare. Sarebbe scandaloso il contrario.

VITA PASTORALE N. 7/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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