XXI Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 26 agosto 2012
XXI Domenica del Tempo ordinario

Gs 24,1-2a.15-17.18b
Ef 5,21-32
Gv 6,60-69

L'UNICA MANNA
CHE PUÒ SFAMARE

Il lungo discorso di rivelazione con cui l'evangelista Giovanni rilegge il miracolo della moltiplicazione dei pani arriva al suo esito inevitabile: come tutte le rivelazioni di Gesù, scandalizza e divide. Perfino molti dei suoi discepoli se ne vanno, e lo scandalo viene presentato come vera e autentica condizione della fede. Non si tratta di indulgere a una sorta di retorica delle tinte fosche. L'esperienza di Israele lo afferma e lo conferma: all'elemento distintivo dell'elezione da parte di Dio fa sempre da corrispettivo l'appello alla libera scelta da parte del popolo. Le parole di Giosuè non lasciano dubbi al riguardo: «Sceglietevi oggi chi servire». Come sancisce Gesù stesso alla fine del grande discorso sul pane di vita, la dinamica dell'elezione è sempre aperta e, quindi, anche nell'Israele dei dodici, quello cioè chiamato a entrare nel Regno, uno tradisce.

"Eppure": su questo avverbio si gioca la decisione per la fede. Dio ha liberato il suo popolo, lo ha condotto nel deserto, lo ha dotato di una terra e di una legge, lo ha amato come uno sposo ama la sua sposa. Eppure,nélla trama di questa storia d'elezione s'intrecciano anche i fili dell'abbandono e del tradimento, dell'ingratitudine e dell'adulterio. Gesù ha scelto coloro intorno ai quali il nuovo Israele avrebbe ritrovato, finalmente, la sua unità di popolo di Dio. Eppure non è andata così, perché molti che avevano creduto al suo annuncio di salvezza si sono tirati indietro quando hanno visto che i tempi di Dio non sono quelli degli uomini. "Eppure". Potremmo continuare perché la storia dei discepoli del Risorto è storia di tradimenti e di abbandoni: quanti di quelli che hanno intrapreso la strada della fede con noi se ne sono andati?
Oggi è molto semplice uscire dalle Chiese. Anche "sbattezzarsi", come si dice, è una possibilità alla portata di tutti, soprattutto in quei Paesi in cui al certificato di battesimo corrisponde, d'ufficio, un onere fiscale. Non c'è più pressione sociale né, tanto meno, può aver successo una strategia del terrore che si regge sulla minaccia di orrendi supplizi post mortem. Non c'è dubbio che oggi, almeno in Occidente, è molto più semplice abbandonare le Chiese che non restarci dentro. L'esodo dalla pratica religiosa pare essere ormai inarrestabile. Non sappiamo quale sia, per l'evangelista Giovanni, il tono della domanda con cui Gesù mette i discepoli di fronte alla scelta di andarsene o restare. Se irritato o sconsolato, aggressivo o demoralizzato. Non è questo, d'altra parte, il punto.

Come nel caso di Giosuè, decisiva non è la domanda, ma la risposta. Per le tribù dell'Israele antico. La decisione di non abbandonare il Signore è fondata sulla consapevolezza della propria storia, sul riconoscimento di quanto Dio ha fatto e sulla riconoscenza per quanto ha fatto. Fino a un certo punto della sua vicenda di popolo, Israele radica la sua fede nell'esperienza vissuta e tramandata di. una liberazione ricevuta al momento dell'uscita dall'Egitto e conferma la sua appartenenza a lui perché si sente "custodito" passo dopo passo lungo il suo cammino di popolo tra i popoli.
Ma ci sarà un momento in cui, di fronte a un presente divenuto drammatico, la memoria del passato non ce la fa più, da sola, a sostenere la fede: a partire dal tragico tempo della deportazione, la fede d'Israele nell'elezione da parte di Dio non si nutre più soltanto della memoria del passato, ma si colora di attesa e di trepidazione perché spinge lo sguardo verso il futuro.
Come mostra la risposta di Pietro, peri discepoli del Signore risorto la situazione è diversa. Gesù ha detto ormai l'ultima e definitiva parola sul mondo e sulla storia La rivelazione di Dio è arrivata al suo culmine, l'eschaton non rimanda al futuro ma si realizza nel presente,la vita che non muore è possibilità ormai sperimentabile. La presenza del Risorto in mezzo ai suoi, però, non compie seghi straordinari, non assicura il possesso di una terra, la vittoria sui nemici, non garantisce prosperità e benessere. Il dono di Gesù ai suoi sono solo "parole di vita eterna", cioè il pane disceso dal cielo, la sua carne e il suo sangue come ultima e definitiva rivelazione di Dio. È questa l'unica manna che può sfamare coloro che lo seguono. E, soprattutto, solo Gesù può darla.

La situazione discepolare è questa, non un'altra. E Pietro la confessa in tutta la sua disarmante e disarmata verità. Nel quarto vangelo non si fa menzione dell'episodio della confessione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo, e l'evangelista preferisce mettere qui, dopo che Gesù ha presentato sé stesso, la sua incarnazione e il suo insegnamento come unico nutrimento per la vita eterna, l'attestazione della fede discepolare che Pietro fa a nome anche di tutti gli altri. Una fede luminosa,non cieca, fatta di conoscenza non di ignoranza, perché Gesù è venuto e ha parlato. Rimanere nella comunità ecclesiale non è sempre facile. A chi, spesso, ci pone in modo esplicito la domanda del perché, soprattutto di fronte agli scandali,non ce ne andiamo anche noi, non possiamo opporre altro che il fatto di aver ricevuto una Parola di vita eterna e la disarmata ostinazione di chi crede che, senza quella Parola, la vita muore per mancanza di nutrimento. A volte ci sembra che sia poco. Basta, invece, a illuminare il mondo da più di duemila anni.

VITA PASTORALE N. 7/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


torna su
torna all'indice
home