XXII Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 2 settembre 2012
XXII Domenica del Tempo ordinario

Dt 4,1-2.6-8
Gc 1,17-18.21b-22-27
Mc 7,1-8.14-15.21-23

UNA DISPUTA
CHIARIFICATRICE

Dopo diverse domeniche in cui ha posto al centro il discorso giovanneo sul pane di vita, la liturgia della parola riprende il ritmo regolato dalla lettura continua del vangelo di Marco. Al centro della sua narrazione Marco pone una delle tante polemiche tra Gesù e i suoi oppositori. In questo caso, però, egli rende espliciti i motivi del contendere. Si tratta, cosi, di una disputa "esemplare", che fa capire perché la predicazione e l'attività di Gesù sono all'origine di una contrapposizione radicale. Lo scontro tra farisei e scribi da una parte e Gesù dall'altra è frontale ed è tutto interno alla fede e all' osservanza religiosa.

Come già la fede nel Dio di Abramo, anche la fede nel Dio di Gesù è essenzialmente una pratica di vita. Dai libri della Torah fino alla predicazione apostolica il leit motiv della tradizione biblica è costante: fede e osservanza coincidono. Razionalismo e dottrinalismo sono frutti di importazioni successive. Per la Bibbia, il caso serio della fede non è mai il problema dell'esistenza di Dio, né chi Dio sia, ma cosa egli compie in favore degli uomini e cosa gli uomini compiono per lui.
Tutto il libro del Deuteronomio riflette sul rapporto inscindibile tra Legge e patto, tra obbedienza come assunzione di reciprocità a cui Dio per primo si sottomette. Il primato dell'osservanza non va inteso come obbedienza a una precettistica a-storica e immutabile. Qui sta il nodo di fondo. Sulla linea di continuità che va dall'appello del Deuteronomio a osservare e mettere in pratica i comandi del Signore al monito di Giacomo a non illudersi che basti ascoltare la parola senza metterla in pratica, lo scontro tra Gesù e i guardiani della Legge e dell'osservanza, mette in luce quale sia il più intimo travaglio a cui una fede che chiede osservanza non si può sottrarre.

Proprio perché al centro del sistema religioso c'era l'obbedienza ai precetti, motivo di discussione non era mai un'affermazione dottrinale, ma piuttosto quale dovesse essere il modo più corretto e adatto al singolo momento storico di applicare la legge. La Legge andava sempre attualizzata e, per questo, andava capita e interpretata. L'obbedienza non doveva mai essere cieca, ma consapevole. Per questo la gente si rivolgeva ai maestri che, garantendo l'attualizzazione della Legge nella vita quotidiana, ne garantisse la vitalità e la centralità. Anche se non era né teorica né astratta, la fede ebraica non rifuggiva l'uso della ragione. Ma essa era finalizzata al discernimento necessario a una corretta obbedienza. Si capisce allora quanto fosse importante il ruolo dei diversi maestri e della loro interpretazione della Legge.
La reazione polemica di Gesù è, al riguardo, quanto mai chiarificatrice perché mette allo scoperto il conflitto tra comando di Dio e tradizioni degli antichi. Non è un caso che a essere sotto accusa non sia direttamente Gesù, ma il gruppo dei suoi discepoli, perché cosi l'imputazione nei confronti di Gesù diventa ancora più forte. Non viene infatti sanzionato un comportamento individuale, ma che qualcuno abbia «fatto il maestro della Legge» dandone un'interpretazione che ha fatto scuola. Il motivo del contendere sono le abluzioni prescritte per garantire la purità. È in gioco quindi uno dei caposaldi dell'osservanza religiosa israelita perché le regole di purità e di purificazione strutturano il rapporto con la divinità lungo le due coordinate fondamentali del tempo e dello spazio e garantiscono cosi che la tutela dell'identità religiosa sia assicurata anche dal controllo collettivo.
Marco ci presenta dunque una discussione-tipo in cui si fronteggiano alcuni maestri dei farisei e il maestro Gesù: a lui, evidentemente, i discepoli devono un'interpretazione dell'osservanza dei precetti non rigorosa. In realtà la disputa si muove molto più in profondità I farisei rivendicano una sorta di monopolio sull'interpretazione della Legge e lo legittimano sulla base di una tradizione interpretativa stabile: si è sempre fatto così. Gesù, invece, rivendica il diritto a un'interpretazione profetica della Legge: la fiducia nell'imminenza del Regno costituisce il criterio dirimente di ciò. che è importante e di ciò che non lo è. Non si tratta, evidentemente, di uno scontro tra conservatori e progressisti, come ci piace ormai dipingere ogni confronto anche interno alla Chiesa.

Per questo Gesù impone un ribaltamento di posizioni e, da accusato, prende il ruolo di accusatore. I rigorismi asfittici entro cui farisei e scribi hanno costretto l'osservanza dei precetti non hanno salvaguardato la Legge, ma hanno soltanto reiterato le tradizioni degli antichi. Nel momento in cui l'osservanza della Legge lede la libertà dell'interpretazione creativa della Legge stessa, ne fa le spese il cuore stesso della Legge come rivelazione perenne di Dio: Legge e libertà non stanno mai in conflitto perché la Legge è data da Dio a garanzia della libertà ed è scuola di libertà. Come i profeti, Gesù combatte contro l'asfissia cui le tradizioni degli uomini condannano la relazione di alleanza tra Dio e il mondo. A volte gli "uomini di Dio" imprigionano la relazione di libertà sancita dal dono della Légge nella rigida rete di convenzioni umane. Pure nei confronti di Gesù, vincerà la prepotenza di coloro che credono che la Legge ha bisogno non di interpreti, ma di guardiani e di garanti.

VITA PASTORALE N. 7/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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