XXVI Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 30 settembre 2012
XXVI Domenica del Tempo ordinario

Nm 11,25-29
Gc 5,1-6
Mc 9,38-43.45.47-48

LO SPIRITO
NON DISCRIMINA

A volte, i brani evangelici contengono una serie di insegnamenti di Gesù composti insieme in modo tutt'altro che organico. Nel testo di Marco si susseguono temi diversi: la missione della Chiesa, lo scandalo dei piccoli, l'aspro monito nei confronti dello scandalo in generale. L'insegnamento con cui Gesù ha formato i suoi discepoli è stato lungo e complesso, e non tutto risulta sempre facile da capire e interpretare anche perché a parole di grande apertura e magnanimità fanno eco parole di estrema durezza e di forte rigore. Nulla, comunque, di quell'insegnamento può andare perduto. D'altra parte, il richiamo al libro dei Numeri e, in particolare, al dialogo tra Giosuè e Mosè riguardo al "diritto alla profezia" conferisce all'insegnamento di Gesù sulla insindacabilità dell'azione dello Spirito una significativa profondità storica e teologica.

"Essere dei nostri": volersi accaparrare lo Spirito è una tentazione cui difficilmente sia il popolo d'Israele che le Chiese sanno sottrarsi. Come se essere stati scelti da Dio significasse che Dio diventa un bene proprio: il volto di Dio deve coincidere con il volto della Chiesa e ci si stupisce, quindi, se lo Spirito agisce, invece, come, quando e dove vuole. La missione della Chiesa non riduce Dio alle proprie regole e vittorie.
Al contrario, è la missione della Chiesa che entra a far parte dell'economia di comunione che vincola Dio all'intera umanità. Gli esseri umani non possono fare a meno di definire identità, precisare appartenenze, tracciare confini precisi e di arrivare a stabilire con certezza chi è dentro e chi è fuori.
Tutte le volte che diventa necessario ridefinire le identità, le appartenenze chiedono di essere rinegoziate e i confini devono essere ridisegnati, i gruppi umani, ma anche le Chiese, vivono un passaggio traumatico. Basta pensare a quanto ci costa il processo di formazione di un'unità europea sovra-nazionale.

Le parole di Mosè allargano il cuore, ma suonano anche da ammonimento: lo Spirito non discrimina, è espansivo, effusivo. Torna alla mente il racconto di Pentecoste e la spiegazione che Pietro dà del dono dello Spirito, riprendendo le parole di Gioele. Se, nel popolo di Dio, tutti sono chiamati a profetare e, come dice Gesù, chiunque combatte il male lo fa nel suo nome, che cosa ha mortificato lo Spirito fino al punto che l'aria che si respira nelle nostre assemblee domenicali è spesso pesante, molte delle nostre comunità soffrono per conflitti interni e, spesso, i ministri stessi non sanno riconoscere i doni che lo Spirito fa alle comunità loro affidate?
Il concilio Vaticano II, di cui ai primi di ottobre in tanti tesseranno elogi di maniera e a cui in molti continueranno a guardare con sospetto e forse perfino con un certo rancore, e di cui tanti altri faranno invece memoria con rinnovata speranza, è stato un momento in cui la Chiesa cattolica non è stata gelosa dello Spirito e, come Mosè, ha davvero saputo credere e sperare che tutti nel popolo del Signore fossero profeti. Lo attestano i documenti che quel Concilio ha prodotto, spesso con tanta fatica e al prezzo di un continuo discernimento ecclesiale, ma lo testimoniano soprattutto i fatti il cui ricordo la memoria tiene vivo e che parlano la lingua della concretezza storica. Per la prima volta nella storia, forse, nell'aula conciliare non c'erano soltanto i vescovi, peraltro mai così numerosi, provenienti da tutti gli angoli della terra, ma c'erano le Chiese dei diversi Paesi, perché nelle parole dei pastori risuonava la voce di uomini e donne che, con la loro testimonianza, erano impegnati a costruire comunità profetiche.

Le parole di Giacomo ci inducono a chiederci se la profezia del Vaticano II non possa essere ricondotta a un'espressione lapidaria nella sua forma, inequivocabile nel suo significato, tremenda nella sua carica provocatoria: "Chiesa dei poveri". L'invettiva di Giacomo contro i ricchi è mozzafiato, di quelle che si dovrebbe aver paura di leggere a voce alta nelle nostre Chiese. Né lo è da meno, d'altra parte, l'invettiva di Gesù contro lo scandalo dato ai "piccoli". Gesù parla di una Chiesa che scandalizza la fede dei suoi figli, ma lascia intendere che la lotta contro lo scandalo si gioca giorno dopo giorno anche dentro la storia strettamente individuale di ciascuno. La fede è minacciata. Sempre.
Per garantirci l'ingresso nel regno dei cieli, non sono gli occhi degli altri che dobbiamo cavare o le braccia e i piedi degli altri che dobbiamo amputare. Sono i nostri occhi, i nostri piedi, le nostre braccia. Il dramma dell'abuso sui minori, per il quale con impudente superficialità utilizziamo un termine che significa amicizia verso i piccoli, è marchio che brucia ancora sulla pelle del corpo di Cristo che è la Chiesa. Ma non è l'unico. Quanti abusi sulla fede dei "piccoli" sono stati fatti da uomini e donne di Chiesa ricchi e potenti, superbi e arroganti?

"Chiesa dei poveri": su questa parola, che lo Spirito ha fatto risuonare nella Chiesa conciliare, è stato detto tutto e il contrario di tutto, alla ricerca di capi di imputazione o di alibi, di condanne sommarie o di altrettanto sommarie giustificazioni. A cinquanta anni di distanza si tratta di decidere se questa parola è moneta fuori commercio o eredità da investire.

VITA PASTORALE N. 8/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


torna su
torna all'indice
home