XXIX Domenica del Tempo ordinario (B)


ANNO B – 21 ottobre 2012
XXIX Domenica del Tempo ordinario

Is 53,10-11
Eb 4,14-16
Mc 10,35-45

IL RAPPORTO TRA
RELIGIONE E POTERE

Il contrasto è forte: Gesù ha appena messo a parte i suoi dell'imminente destino di morte che lo aspetta, e tra loro serpeggia, invece, l'illusione che dalla sequela del Messia riceveranno gloria e privilegi. Irriducibili, i seguaci di Gesù si ostinano a rivendicare per sé i "primi posti". Se guardiamo alla storia dei primi secoli cristiani, possiamo dire che, in fondo, ce l'hanno fatta. Dopo un tempo di nascondi mento e di persecuzione, il momento degli onori e della gloria è venuto e gli uomini di Chiesa hanno conquistato il diritto di sedere sempre in prima fila, in qualsiasi manifestazione politica, parata militare, evento culturale. Certo, non si tratta di cedere a facile e banale polemica, ma non c'è dubbio che la questione del rapporto tra religione e potere è cruciale.
L'accostamento tra l'istruzione evangelica sul potere e il testo di Isaia sul servo sofferente consente di andare al cuore del problema. Pretendere di trasformare l'azione di salvezza di Gesù in occasione di esaltazione personale è segno di una comprensione sbagliata della sua persona e del suo messaggio. Tocca le radici della fede e la reazione di Gesù di fronte alla pretesa di Giacomo e Giovanni è illuminante: "Voi non sapete quello che chiedete».
Prima di tutto, allora, l'evangelista vuole mettere in guardia dal pericolo che i seguaci di Gesù abbiano una comprensione sbagliata del Messia e della sua opera. Il suo Regno non è di questo mondo. Non solo, però, sul piano dei principi e dei valori, perché altrimenti la forza dirompente dell'annuncio evangelico si tradurrebbe in un sistema ideologico. La partecipazione al suo Regno vuoi dire vita eterna, intimità di rapporto con Dio, vuoi dire riconoscere la sua grandezza, godere della sua gloria, rendere grazie del suo amore e della sua volontà di salvezza nei confronti di tutta l'umanità, ammirare la sua immensità incomprensibile.

Che c'entra, in questo contesto, voler sedere alla destra e alla sinistra di Gesù come se si trattasse di garantirsi un posto di privilegio nella sala del trono? Gesù non chiede solo di non cedere alle lusinghe della mondanità, ma pretende che la signoria di Dio sulla storia non venga tradotta in termini mondani. Il Regno esige di entrare in un orizzonte di fiducia, di speranza e di pace e di riconoscere un potere superiore, grandioso, assolutamente "altro". L'insegnamento di Gesù è Vangelo perché ci chiede di relativizzare ogni forma di potere mondano. Molti possono essere i valori dai quali sentirsi attratti o per i quali impegnarsi: nei confronti del Regno, però, sono tutti assolutamente relativi. Ma se l'insegnamento di Gesù si fermasse qui, non sarebbe molto diverso da quello di tanti filosofi suoi contemporanei e di tanti saggi che sempre hanno insistito sulla necessità di prendere le distanze dalla logica mondana dell'accaparramento e del potere. Il credito crescente che oggi il buddismo riceve nel mondo occidentale contemporaneo non fa che confermare il bisogno di produrre anticorpi che difendano l'organismo individuale e collettivo dalle patologie legate all'avere, al primeggiare.

Il detto di Gesù, che assimila insieme martirio e servizio, spinge allora il discorso molto più avanti. L'evangelista sa infatti che Giacomo e Giovanni avevano subito il martirio: come il loro Maestro, avevano bevuto il calice di un messianismo che non è di questo mondo.
Il sacrificio di riparazione del Messia sofferente ha dato i suoi frutti e i discepoli sono diventati la sua discendenza. L'identità martiriale della comunità cristiana non può però essere concentrata solo ai momenti straordinari in cui è chiesto il dono della vita. Deve tradursi nella quotidianità, e la comunità messianica può trovare la sua nota identitaria dominante, perciò, solo nel servizio.
Forse, tra i cristiani comincia a farsi strada un po' più di pudore, e in pochi pronunciano la magica frase del "potere come servizio". Le parole di Gesù vanno in tutt'altra direzione perché egli identifica con il servizio il dono della vita, certo non il potere.

«Tra voi, però... »: in questa presa di distanza dal mondo va riconosciuta la più limpida attestazione della specificità cristiana. Soprattutto dopo la fine del partito unico dei cattolici, la questione dell'identità torna ogni momento alla ribalta. In una cultura che si regge sulle "identità fluide", la Chiesa, e non solo in Italia, ha scelto di puntare su due criteri identitari: la riproposizione del deposito dottrinale e la difesa di alcuni valori non negoziabili. Si tratta di una scelta che, in qualche modo, vuole rende ragione di quel "però" che deve segnare la distanza tra Chiesa e mondo. Non basta, però.
Gli storici ci dicono che la famosa "svolta costantiniana" ha avviato il processo di mondanizzazione della Chiesa e il fatto che anche gruppi cristiani nati recentemente corteggino denaro e potere fa pensare che, da allora, il cammino sia irreversibile. Il fine giustifica i mezzi? Per Gesù è stato certamente così. Il fine del regno di Dio, però, poteva giustificare, come unico mezzo, servire e non farsi servire. Forse dovremmo domandarci se la spinta che ha consentito al Vangelo di diffondersi e di resistere alla prova dei secoli è venuta dal potere e dal denaro o dal dono della vita di milioni di uomini e donne che hanno fatto del servizio il loro modo di vivere nel mondo.

VITA PASTORALE N. 8/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)


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