XXXI Domenica del Tempo ordinario (B)

ANNO B – 4 novembre 2012
XXXI Domenica del Tempo ordinario

Dt 6,2-6
Eb 7,23-28
Mc 12,28b-34
HA VALORE SOLO
LA LEGGE DELL'AMORE

Dopo il suo ingresso a Gerusalemme, che Marco aveva presentato sottolineando il clima gioioso del riconoscimento del Messia da parte del suo popolo, Gesù si confronta ripetuta mente con gli attacchi dei suoi oppositori. Farisei, erodiani, inviati dal Sinedrio e sadducei intavolano con lui una serie di dialoghi polemici. Diversamente da loro, uno scriba, rappresentante anche lui della classe dominante giudaica, concorda con le idee di Gesù. Per questo «non è lontano dal regno di Dio», e il dialogo con lui consente a Gesù di formulare con chiarezza la sua posizione riguardo alla Legge, cioè alla sua tradizione religiosa, e di dimostrare così che quanto sta per avvenire, la sua condanna come bestemmiatore, è arbitrario e ingiusto.

La Legge. Ricevuta e conservata, tramandata e interpretata, amata e osservata, la Legge diviene progressivamente, soprattutto a partire dal tempo dell'esilio, il centro vitale della fede giudaica. Si tratta di qualcosa di grandioso, non di quella lista di dieci comandi sganciati da ogni contesto storico e da ogni intelligenza teologica cui ci ha abituato un catechismo preoccupato più di fornire formule e prontuari che non di far entrare nella logica storico-salvifica della rivelazione divina. Per i giudei la Legge rimanda a un insieme di temi teologici che si sono andati sviluppando e chiarendo all'interno della complessa vicenda storica di un popolo: la promessa, l'elezione, la terra, l'alleanza, la discendenza, la liberazione dalla schiavitù, il culto, il tempio, la creazione, l'eschaton, la rivelazione. La Legge è innanzi tutto relazione, nasce dall'ascolto, genera pratiche di vita collettiva, educa alla santità dei comportamenti e, prima ancora, alla santità del cuore.

Gesù ama la Legge e il dialogo con lo scriba rivela la sua intenzione di difenderne in tutti i modi l'integrità, innanzi tutto dall'arroganza di coloro che si consideravano i tutori della Legge. Solo Dio può essere tutore della Legge. Tesoro prezioso, la Legge non può essere trattata come qualcosa d'immobile e morto, e resta viva e vitale solo se viene interpretata e attualizzata. Il termine "deuteronomio", cioè "seconda legge", non rimanda soltanto a un libro biblico, ma esprime piuttosto un atteggiamento di fondo che è la ragione stessa della tradizione giudaica: è sempre necessario ri-petere, ri-ascoltare, ri-leggere, ri-attualizzare, re-interpretare quello che Dio ha fatto conoscere al suo popolo come statuto di santità. Per questo la Legge è dialogo e relazione prima ancora che lista di norme e precetti. La domanda che lo scriba rivolge a Gesù va capita nella grande ricchezza delle sue implicazioni. Se l'obbedienza alla Legge chiede innanzi tutto un'ermeneutica della Legge, diviene allora indispensabile pronunciarsi su quale sia il criterio per interpretare la Legge, quale sia cioè il punto prospettico a partire dal quale capire tutti i precetti.
Il fine della Legge non è, come il testo del Deuteronomio ribadisce con chiarezza, l'osservanza dei precetti, ma la felicità. Una felicità "salda", che si trasmette di generazione in generazione, che getta le sue radici nella storia di una chiamata e di un'appartenenza e che si nutre giorno dopo giorno della consapevolezza del dono. Si tratta forse di una mistica della Legge che mira a indorarne i rigori? La domanda è decisiva perché ne va dell'immagine di Dio e, di conseguenza, dello spirito con cui si sta al mondo e nella vita: uno spirito di gratitudine o d'insofferenza, di benevolenza o d'irritazione? Il dialogo tra Gesù e lo scriba è, allora, dirimente. Solo chi comprende la Legge può farsene osservante, e solo per chi individua quale sia il principio di fondo, "il primo" di tutti i comandamenti, osservanza e libertà non si contraddicono né si elidono.

Gesù cita l'inizio dello Shemà, cioè del "credo" che ogni israelita recitava più volte al giorno: ricercare il criterio d'interpretazione della Legge, il "primo" comandamento, non significa che ognuno si sceglie quello che gli sembra più conveniente. Il principio critico non è la legittimazione dell'arbitrio indiscriminato, ma rimanda al superamento di una lettura della tradizione e della stessa rivelazione biblica di tipo fondamentalistico in favore di una lettura in grado di distinguere tra le prospettive di fondo e le esplicitazioni del tutto congiunturali. Lo Shemà è condizione stessa della Legge, attestazione di una fede che è relazione con un Dio che parla, invito rivolto non a un singolo in vista di una devozione individuale, ma a un intero popolo che accetta che la propria identità scaturisca dall'identità di Dio.
Per questo il principio della Legge sta nella relazione che coinvolge il cuore, il centro della persona, il complesso di tutte le dimensioni dell'esistenza umana, di tutte le forze emozionali e razionali insieme; coinvolge l'anima, perché l'intera esistenza concreta diviene obbedienza, sottomissione alla riconosciuta sovranità di Dio e ai bisogni di chi è prossimo; coinvolge la mente perché l'amore di Dio è un atto di ragionevolezza; coinvolge la forza, cioè tutte le capacità dell'esistenza umana, compresi anche i mezzi materiali a disposizione. Come lo scriba ha ben capito e l'autore della lettera agli Ebrei ribadirà con forza, nel regno di Dio nulla ha valore, neppure quanto alla religione sembra più indispensabile come il sacrificio. Solo la legge dell'amore.

VITA PASTORALE N. 9/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

torna su
torna all'indice
home