XXXIII Domenica del Tempo ordinario (B)

ANNO B – 18 novembre 2012
XXXIII Domenica del Tempo ordinario

Dn 12,1-3
Eb 10,11-14.18
Mc 13,24-32
IL TEMPO DELLA
GRANDE TRIBOLAZIONE

Un altro anno liturgico va verso la sua conclusione. Il senso della storia degli uomini non si esaurisce però nella successione temporale degli anni, dei mesi e dei giorni, e anche la ciclicità del tempo liturgico, che ricorre e si ripete anno dopo anno, trova il suo significato nella tensione verso l'eschaton, verso la fine e verso il fine a cui, dal momento della creazione, questo mondo è chiamato. Marco inserisce il discorso apocalittico di Gesù alla fine del suo ministero, subito prima del racconto della passione, come a voler dire che quanto sta per iniziare, la condanna e l'esecuzione del giusto da parte degli ingiusti, non è un avvenimento come altri, ma va capito come segno che annuncia che il tempo della fine è ormai arrivato.
Dal punto di vista sia lessicale che tematico il discorso escatologico-apocalittico di Gesù si inscrive in una complessa tradizione letteraria, che si era fatta strada nella spiritualità israelita man mano che, dopo l'esilio babilonese, sfumava la convinzione che il favore di Dio nei confronti del suo popolo avrebbe comportato la rinascita politico-militare di Israele. Il filone escatologico-apocalittico, che combinava insieme alcuni elementi profetici e altri sapienziali, nonché l'attesa messianica, orientava lo sguardo della fede verso un tempo finale in cui, finalmente, la giustizia divina avrebbe trionfato, anche attraverso la retribuzione meritata sia dai giusti che dagli empi.

Su questo punto il profeta Daniele è quanto mai eloquente perché, rispetto alla tradizione profetica precedente, spinge lo sguardo molto più in avanti, fino cioè alla possibilità di un risveglio dopo la morte e, di conseguenza, alla speranza del dono della vita eterna per coloro che lo meritano. Una fine annunciata e accompagnata, però, dall'angoscia: il passaggio dalla vita alla vita eterna non avverrà senza dolore. Anche per Gesù il momento finale sarà preceduto da segni premonitori. È il tempo della grande tribolazione, il momento in cui tutto si confonderà, in cui guerre e carestie imperverseranno, in cui regneranno turbamento e sconforto. La grande tribolazione però non è ancora la fine. Essa avverrà in due tempi, quello dello sconvolgimento e quello della salvezza. Sono i due momenti dell'azione del Figlio dell'uomo, il personaggio che. proprio nel libro di Daniele, accompagnerà il passaggio al tempo della fine e che la tradizione cristiana ha identificato in Gesù.
I segni che renderanno evidente l'avvicinarsi del Figlio dell'uomo sono suggestivi perché rimandano allo sconvolgimento assoluto delle regole che Dio stesso ha imposto all'universo con l'atto creativo che ha determinato il passaggio dal disordine del caos all'ordine del cosmo. È preconizzato il ritorno all'oscurità originaria del caos come situazione assoluta e universale, non limitata perciò semplicemente alle vicende del popolo dell'elezione, perché quanto il futuro escatologico riserva ha la forza di una nuova creazione. Di tutto e per tutti.

Il discorso sul Figlio dell'uomo, che a noi appare forse un po' estraneo oltre che di difficile comprensione, è in realtà ricco di evocazioni, di richiami a metafore anticotestamentarie che al tempo di Gesù dovevano essere particolarmente utilizzate perché in grado di suggerire l'idea di un intervento di Dio nella storia capace di deciderne definitivamente le sorti. Un intervento che sarebbe avvenuto come un lampo e che avrebbe segnato il compimento, una venuta di portata cosmica che avrebbe fatto irruzione dall' esterno e non sarebbe stata legata all'inasprimento della realtà già in atto. Un rovesciamento. Non si tratta, evidentemente, di scrutare i cieli in attesa che le immagini della tradizione escatologico-apocalittica prendano forma, anche se bisogna attendersi che il compimento della salvezza, che coinvolgerà tutto il cosmo, non lascerà indifferente o estranea la storia degli uomini e avrà, per essa, un significato non solo metaforico, ma del tutto reale.
Il secondo momento del giudizio è quello in cui il Figlio dell'uomo raccoglierà i risultati, la messe, gli eletti. Forse, Marco vede un'applicazione di questo nell'universalizzazione della Chiesa che la sua comunità cristiana è già chiamata a vivere: perseguitata proprio per questa sua tendenza ad aprirsi ai pagani, per il suo messaggio universale di salvezza, la comunità cristiana si serve di concezioni e motivi apocalittici per interpretare il momento doloroso della sua persecuzione e della tribolazione alla quale è sottoposta.

Come la vite, anche il fico, a differenza delle numerose piante sempreverdi presenti in Palestina, si distingue per la particolarità di essere in grado di segnalare i cambiamenti di stagione, soprattutto dell'estate. Gesù ha spesso fatto riferimento al fico per indicare come la sua attività aveva portato a maturazione il tempo del Regno, ma nel contesto del discorso apocalittico la similitudine del fico rimanda invece al compimento finale, quello della salvezza degli eletti. Necessariamente, però, l'evangelista chiude il discorso con un avvertimento pedagogico-didattico: se solo il Padre, e nessun altro, sa quale sarà il momento atteso della fine, ciò non significa che i credenti debbano sentirsi alienati dalla vita di ogni giorno e dalla storia di ogni epoca. A un anno liturgico che si conclude, ne seguirà un altro e poi un altro...

VITA PASTORALE N. 9/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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