Evangelizzazione e cultura digitale



Il diaconato in Italia n° 173
(marzo/aprile 2012)

CONTRIBUTO


Evangelizzazione e cultura digitale
di Roberto Giannatelli


Diaconia, evangelizzazione e cultura digitale: tre parole che sono pesanti come macigni. Diaconia: è parola antica come la Chiesa. Indica il modo di essere Chiesa in rapporto al mondo (a servizio dei più poveri, degli ultimi, della giustizia e della pace...) ed anche il servizio reciproco che viene svolto all'interno della comunità. «Dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 13,14). Fin dalle origini della Chiesa il diacono è "colui che serve". Gli apostoli hanno scelto alcuni uomini per il servizio alle mense dei poveri (Atti 6, 1 ss.). È così iniziato il ministero dei diaconi.
Dopo secoli di oblio, il Concilio Vaticano II ha ripristinato il diaconato permanente. «Sostenuti dalla grazia sacramentale, i diaconi permanenti servono il Popolo di Dio nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità» (Lumen Gentium, 29). Tutta la Chiesa si riconosce nella vocazione al servizio e onora chi nella comunità, mediante l'imposizione delle mani, è consacrato in modo specifico a questo ministero pastorale. L'educazione fa parte della diaconia della Chiesa verso gli uomini. Il piano pastorale della CEI "Educare alla vita nuova del Vangelo" è la scelta "diaconale" che la Chiesa italiana ha fatto per il decennio 2010-2020.
Evangelizzazione: è il compito primario della Chiesa di Cristo. L'evangelizzazione giustifica e qualifica la sua esistenza. La Chiesa è nata per l'evangelizzazione. La Chiesa in Italia ha voluto fare dell'evangelizzazione la propria scelta pastorale per il decennio 2000-2010 con una connotazione particolare: "comunicare" il vangelo "in un mondo che cambia". "Comunicare" indica l'attenzione al mondo dei media e della comunicazione. Il "mondo che cambia" è il mondo che si trasforma sotto l'influsso dei mass media e della cultura digitale.
Cultura digitale: è la cultura in cui oggi viviamo. Non si tratta solo dei nuovi e potenti mezzi di comunicazione, i new media; ma di un ambiente vitale, di un ossigeno che l'uomo deve respirare se vuole sopravvivere. Negli ultimi decenni si è parlato di "nuova alfabetizzazione" e di "competenza mediale" per saper utilizzare le nuove tecnologie e praticare i nuovi linguaggi della comunicazione. È emerso un urgente compito per l'educazione: la media education. Si tratta di integrare la cultura ereditata (orale, letteraria, stampata...) con la nuova cultura digitale. Una sfida intrigante!

Diaconi educatori
Diaconia: questa rivista ne ha fatto il tema specifico della propria identità e del suo servizio. Vorrei qui ricordare la "traversata" (cf. B. Sorge, La traversata. La Chiesa dal Concilio Vaticano II a oggi, Mondadori, Milano 2010) che la Chiesa cattolica ha compiuto in questi ultimi 50 anni, a partire dal Concilio Vaticano II. In particolare, vogliamo ricordare che il Concilio Vaticano II ha ripristinato il ministero del diaconato permanente e ha sollecitato tutta la Chiesa a mettersi "in stato di servizio", a vivere la propria diaconia verso i poveri, gli ultimi, gli uomini tutti. Come abbiamo già ricordato, la Chiesa italiana ha fatto la scelta dell'educazione nel presente decennio: "educare alla vita buona del vangelo". Anche il diacono permanente è impegnato in questo compito come padre, insegnante, catechista.
L'urgenza dell'educazione ha trovato un forte sostenitore in papa Benedetto XVI. Nella sua lettera alla diocesi di Roma del 21 gennaio 2008, il papa scriveva: «Educare non è mai stato facile e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande emergenza educativa». Ma cosa intendiamo per educazione? E che cosa si chiede oggi all'educatore? Riprendo alcune idee espresse dal card. Angelo Bagnasco nella sua lettera "Di generazione in generazione" (8 gennaio 2011) rivolta alla sua diocesi di Genova in cui presenta il piano pastorale della CEI. «Educare è trasformare la vita, che ci è stata data senza nostra richiesta, in un dono frutto della nostra libertà».
La prima idea è questa: la vita ci è stata data. L'uomo viene interpellato da qualcosa che lo precede. La vita è una grande "diaconia" alla realtà che lo precede e lo accompagna. Questa è la «verità della vita» (Benedetto XVI). Lo avvertono in modo particolare i genitori: «La nostra vita è cambiata il giorno in cui è nato nostro figlio. Noi siamo responsabili della sua vita». Lo avverte anche ogni uomo. Non viviamo in solitudine. Siamo responsabili gli uni degli altri.
Trasformare la vita. La vita non ci è data per essere goduta con scelte "alla carta". La vita è un compito. La vita è una grande diaconia alla vita. Ritorna qui la parabola del Vangelo sui talenti. Il padrone un giorno chiederà: che cosa hai fatto dei talenti che ti ho affidato? Li hai seppelliti nel campo, per sottrarli ai possibili ladri, o li hai "investiti" come ha fatto il servo fedele? L'educazione è il grande "investimento" sulla vita umana e l'educatore è il grande "diacono" a servizio della vita che cresce.
Fare della vita un dono, frutto della libertà. I talenti che abbiamo ricevuto non sono solo per noi, ma ci sono dati per essere messi al servizio degli altri e del mondo che Dio ha affidato all'uomo. Il papa insiste su un'idea: Dio chiede questo dono nella libertà. Non costringe. A noi verrebbe da pensare: ma Dio, dando all'uomo il dono della libertà, ha "rischiato" molto. Sono sotto i nostri occhi i frutti di una libertà usata male. Ma Dio continua a chiederci di vivere il dono della vita nella libertà e nell'amore. Non pretende che tutto sia "perfetto". Ciò che importa è che il dono sia frutto di convinzioni personali, di decisioni libere, di amore, di una maturazione umana che richiede tempo. L'uomo può anche sbagliare, ma allora viene in soccorso la misericordia di Dio. «Se anche il tuo cuore ti condanna, Dio è più grande del tuo cuore» (1Gv 3,30). Questa è la parola finale di quel capolavoro della catechesi postconciliare che è il Catechismo olandese del 1966 (edizione italiana Elledici, 1969, p. 607). La diaconia della vita è fatta di gesti e di opere, ma richiede anche la "parola". E l'evangelizzazione della vita richiede anche la testimonianza del comunicatore. La grande lettera apostolica di Paolo VI sull'evangelizzazione nel mondo d'oggi ricorderà che «l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono anche testimoni credibili» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 41). Parola e testimonianza sostanziano l'evangelizzazione che è opera dei catechisti, dei genitori, dei diaconi, della Chiesa tutta.

Evangelizzazione
La Chiesa è per l'evangelizzazione. In ogni epoca rinnova i suoi metodi e rinvigorisce il suo slancio. Il papa Benedetto XVI ha voluto che la nuova evangelizzazione fosse l'argomento della XIII Assemblea generale del Sinodo dei vescovi che avrà luogo nell'ottobre prossimo: "La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana" (cf. Lineamenta, 2 febbraio 2011).
Il diacono ha uno stretto rapporto con l'evangelizzazione: egli viene ordinato per il servizio della Parola di Dio e della carità. Il diacono permanente indica la continuità di questo servizio. La storia del diaconato nella Chiesa cattolica è molto istruttiva a questo riguardo (cf. Renzo Gerardi, Diacono in: Lexicon. Dizionario teologico enciclopedico, Piemme, Casale M. 1997).
Il ministero del diacono permanente ha trovato la sua massima espressione nei primi secoli della Chiesa. I Padri apostolici testimoniano la presenza dei diaconi nella Chiesa delle origini come ministri dell'Eucaristia e collaboratori del vescovo nella predicazione e nel servizio della carità. Successivamente lo sviluppo del monachesimo ha comportato il trasferimento delle opere della carità nei monasteri e il diacono via via ha perso di significato, rimanendo prevalentemente come ministro dell'Eucaristia.
Nella Chiesa latina la figura del diacono permanente scomparirà quasi del tutto. Rimarrà piuttosto come fase di transizione verso il sacerdozio ministeriale. Solo con il Concilio Vaticano II, il diaconato verrà ripristinato come ordine permanente. La costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II al n. 29 stabilisce i compiti che sono propri del diacono permanente nella liturgia, nella predicazione e nella carità. Stabilisce altresì che il diaconato permanente possa essere conferito a uomini di età matura anche viventi nel matrimonio, così pure a giovani ritenuti idonei, per i quali però rimane ferma la legge del celibato. Il servizio alla Parola di Dio sta al centro della missione del diacono nella Chiesa. Le forme di questo servizio, come è noto, sono molteplici: preparazione dei catecumeni al battesimo, animazione della catechesi parrocchiale, predicazione nell'Eucaristia, presidenza della celebrazione della Parola di Dio...
Ora ci chiediamo: quale sarà il compito del diacono permanente nella Nuova Evangelizzazione? Questa espressione è stata introdotta ("inventata"), con tutta la forza del suo magistero, dal papa Giovanni Paolo II. Preannunci, che andavano in questa direzione, si trovano nel magistero di Giovanni XXIII (cf. il discorso di apertura al Concilio Vaticano II: «altro è il deposito della fede, altro è il modo con cui deve essere annunciata») e nel magistero di Paolo VI (ricordiamo ancora una volta l'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: «rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunziare il Vangelo all'umanità del XX secolo»). La formulazione più significativa viene da Giovanni Paolo II: «la nuova evangelizzazione sarà nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nella sua espressione» (ai Vescovi dell' America latina, 9 marzo 1983).
La Nuova Evangelizzazione sarà:
• nuova nel suo ardore: è l'«ardore della Pentecoste» che hanno conosciuto gli apostoli nel Cenacolo. Questo «fuoco dello Spirito santo» viene richiesto ai nuovi evangelizzatori. Parlando ai Vescovi d'Europa, Giovanni Paolo II descriverà le qualità dei nuovi evangelizzatori: «Occorrono araldi del vangelo esperti in umanità che conoscano a fondo il cuore dell'uomo d'oggi, ne partecipino gioie e speranze, angosce e tristezze, e nello stesso tempo siano dei contemplativi innamorati di Dio. Per questo occorrono nuovi santi: i grandi evangelizzatori dell' Europa sono stati i santi» (11 ottobre 1985);
• nuova nei suoi metodi. La nuova evangelizzazione sarà nuova nei suoi metodi, nei suoi linguaggi, nei suoi mezzi e nei nuovi ambienti in cui sarà richiesta. Oggi si presentano nuovi ambiti da evangelizzare: ambiti territoriali, mondi e fenomeni sociali nuovi, nuovi "areopaghi", come la comunicazione sociale, che attendono l'annuncio del Vangelo (Giovanni Paolo II, lettera enciclica Redemptoris missio del 7 dicembre 1990, n. 37). La cultura digitale, che si diffonde incredibilmente nel nostro tempo, richiede nuovi evangelizzatori e nuovi metodi e linguaggi di evangelizzazione;
• nuova nelle sue espressioni. Si richiederà una duplice fedeltà: ai contenuti (la verità di Cristo) e al linguaggio della cultura odierna. Già nel 1970 il documento della CEI il "Rinnovamento della catechesi" aveva chiesto agli evangelizzatori questa duplice fedeltà: alla Parola di Dio e all'uomo. Da questo postulato sono nati i nuovi Catechismi della CEI.
I testi del recente Magistero sulla nuova evangelizzazione sono innumerevoli (rimando al volume di mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, La nuova Evangelizzazione. Una sfida per uscire dall'indifferenza, Mondadori, Milano 2011). Qui vorrei ricordare una proposta del papa Benedetto XVI destinata ad avere successo: Il cortile dei gentili. L'idea è stata presentata nel discorso alla Curia romana del 21 dicembre 2009. Ricordando la parola del profeta Isaia (56,7) citata da Gesù (Mc 11/17): «la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti», il papa ha commentato: «Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l'unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l'interno del tempio... Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di 'cortile dei gentili' dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo... Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».
L'idea del papa ha già fatto molta strada. Il servizio "Cortile dei gentili" è stato affidato al Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi e sono già state prese iniziative. Il primo "Cortile dei gentili" ha avuto la sua massima espressione a Parigi il 24 e 25 marzo 2011 nelle sedi significative dell'Unesco, della Sorbona e dello storico College des Bernardins (per saperne di più: G.Ravasi, a cura di, Il cortile dei gentili. Credenti e non credenti di fronte al mondo d'oggi, Oonzelli, Milano 2011).
La frontiera della nuova evangelizzazione fa appello ai diaconi permanenti. Essi vivono nel mondo, ascoltano dai laici che incontrano nei luoghi di lavoro, in famiglia, nella politica, nella società... le difficoltà che incontrano per essere credenti oggi, le loro domande di "cercatori di Dio". Saranno i diaconi che vivono nel mondo e immersi nella cultura d'oggi, a "inventare" le parole nuove dell'evangelizzazione e della catechesi. Sovente i Catechismi sono scritti da un clero che vive lontano dalla gente. La Chiesa d'oggi ha bisogno di nuovi mediatori tra la cultura d'oggi e la parola eterna del Vangelo. Ecco un compito entusiasmante per i diaconi del nostro tempo.
L'attenzione alla cultura del nostro tempo è una caratteristica del Magistero da Giovanni XXIII in poi. Ma oggi ci troviamo di fronte a una nuova svolta epocale. La novità della cultura digitale può essere paragonata alla scoperta delle Americhe nel secolo XV. Un mondo nuovo, che ha poco in comune con le tradizioni della cultura letteraria e stampata in cui siamo vissuti, neppure con la cultura dei mass media che ci sembrava una grande innovazione nel secolo scorso. Un mondo che non va represso, ma valorizzato.

Cultura digitale: i documenti
Il Magistero, e in modo particolare papa Benedetto XVI, ci hanno messo sulla strada per incontrare la nuova cultura digitale. Tra i recenti documenti del Magistero, vanno tenuti presenti, in primo luogo, i documenti del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. In secondo luogo i messaggi dell'attuale papa per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che hanno preso a tema Internet e le nuove tecnologie. Infine ci interrogheremo sul significato di quello che sta succedendo e sui nuovi compiti che i diaconi permanenti dovranno assumere nell'epoca della cultura digitale.
Su internet il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali ha elaborato un documento che merita di essere ripreso: Etica in Internet, 22 febbraio 2002. Si tratta di una riflessione che si muove tra denuncia e profezia, intesa quest'ultima come formulazione di un futuro possibile se l'uomo mette questi potenti mezzi in una prospettiva etica, di servizio all'uomo, di giustizia e di pace. Come per gli altri mezzi della comunicazione sociale, internet presenta le "due facce della medaglia". I nuovi mezzi «sono strumenti potenti di educazione e di arricchimento culturale, di commercio e partecipazione politica, di dialogo e comprensioni interculturali»; ma «possono anche essere utilizzati per sfruttare, manipolare, dominare e corrompere» (ib.).
La Chiesa cattolica offre la sua secolare saggezza etica anche nel campo di internet (Etica delle Comunicazioni sociali, n.5). Il principio etico fondamentale che essa propone è il seguente: «la persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi della comunicazioni sociali» (ib. n. 21). Il bene e la felicità della persona sono una norma assoluta, ma collegata con il bene comune degli altri uomini e delle loro comunità. Il nuovo nome della carità è certamente oggi "comunicazione", ma anche "solidarietà" con i più deboli: «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia il bene di tutti e di ciascuno» (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 38).
Anche internet deve essere considerato a servizio del bene comune. Infatti il contributo che può dare alla causa della giustizia e della pace è eccezionale. «Internet può contribuire che questa idea (creare un mondo nuovo governato da giustizia, pace e amore) diventi realtà tra le persone, i gruppi, le nazioni e per tutta la razza umana, se viene utilizzato alla luce di principi etici chiari e sani, in particolare della virtù della solidarietà. Ciò andrà a vantaggio di tutti perché lo sappiamo più di ieri, non saremo mai felici e in pace gli uni senza gli altri, e ancor meno gli uni contro gli altri» (ib., n.5). Internet potrà divenire anche espressione di una nuova «spiritualità di comunione», di relazione gli uni con gli altri, animati dalla carità di Cristo. Sarebbe riduttivo pensare i media solo in termini economici o ideologici, e non nel senso antropologico pieno, orientandoli al bene della persona umana e della comunità, di ciascuno e di tutti. Questa è l'utopia della comunicazione sociale come è vista dalla Chiesa cattolica.
Può sembrare una sorpresa della storia il fatto che proprio un papa "filosofo e teologo", un pensatore critico poco incline ai gesti spettacolari, come è papa Benedetto XVI, dovesse scrivere parole profonde e attuali sui media e sulle nuove tecnologie. Mi riferisco in modo particolare al messaggio: "Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia" (24 maggio 2009, 43.ma Giornata per le CS).
Darò un rapido sguardo a questo messaggio, privilegiando il punto di vista della media educatian in cui mi sono impegnato in questi ultimi venti anni. Il papa si mette innanzitutto "dalla parte dei giovani": essi si trovano a loro agio con i videogiochi, chattando per ore su internet con i loro amici, entrando in Facebook, registrando su You Tube le loro foto e i loro brevi filmati e passandoli ai compagni preferiti, ecc.
È il loro mondo, essi rappresentano la nuova "generazione digitale". l'adulto educatore non deve "spaventarsi" per l'apparire dell'inatteso sullo scenario del mondo. I nuovi media portano con sé anche un enorme potenziale di conoscenze, informazione, connessione, comunicazione, divertimento. I new media introducono un nuovo modo di essere presenti nella scuola e nella società. Sono l'occupazione che occupa la maggior parte del tempo dei nostri ragazzi e giovani. In internet cercano le informazioni e le "fonti", nei computer si accumula e si conserva il loro patrimonio di conoscenze; il loro computer permette di interagire con i propri compagni (soprattutto attraverso i social network, i blog, skype...), di organizzare i forum di discussione e di approfondimento.
Da parte del fruitore, rimane sempre il dovere di acquisire una conoscenza adeguata e critica, di non rinunciare all'esercizio della cittadinanza e della responsabilità etica, mentre da parte dell'educatore cresce il compito di promuovere e orientare la nuova competenza (attraverso la media education) e il nuovo impegno etico. Benedetto XVI raccomanda ai giovani di coltivare, attraverso l'uso dei nuovi media, una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia.
• Rispetto della dignità e del valore della persona umana. «Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l'essere umano, ed evitare quindi ciò che alimenta l'odio e l'intolleranza, svilisce la bellezza e l'intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi».
• Dialogo. Le nuove tecnologie hanno aperto la strada al dialogo tra persone di diversi paesi, culture e religioni. «La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri». Siamo diventati una società multietnica e multiculturale, e questo fatto deve tradursi innanzitutto in relazioni e dialoghi diretti con le persone di altre culture e religioni. I new media potenziano le occasioni di esplorare il mondo degli altri e di entrare in un dialogo, che non è solo tecnologico, con chi incontriamo ad esempio attraverso i social network.
• Amicizia. Scrive Benedetto XVI: «Questo concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana». La vera amicizia ha bisogno di confrontarsi con persone reali, di capire le loro esigenze profonde, di venire in soccorso delle loro concrete necessità. «Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero». L'amicizia non deve essere considerata fine a se stessa. Gli amici devono mettere i loro talenti a servizio della comunità umana. Anche in questo caso le nuove tecnologie possono divenire preziosi strumenti a servizio dell'uomo. «È gratificante vedere l'emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione». Per questo valore di umanizzazione presente nei nuovi media, ci si deve preoccupare che «il mondo digitale sia un mondo veramente accessibile a tutti», superando il digital divide.

Il continente digitale
Dal momento che il messaggio su "nuove tecnologie, nuove relazioni" ha come autore il papa, è legittimo chiederei quale "teologia" sia sottesa a questo discorso sulle nuove tecnologie della comunicazione. Il papa "teologo" si esprime così: «Il desiderio di connessione e l'istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà, quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani. Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati progettati dal Creatore [...]. In questa luce, riflettendo sul significato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione. Desidero incoraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell'amicizia». A conclusione del suo messaggio, Benedetto XVI si rivolge ai giovani cattolici «per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede». Come agli inizi del cristianesimo i cristiani non hanno esitato a portare la loro fede nel mondo greco-romano, così oggi il papa affida ai giovani «il compito della evangelizzazione di questo continente digitale». E «come allora l'evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l'attenta comprensione della cultura e dei costumi dei popoli pagani [...] così ora l'annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza».
Ai giovani, che spontaneamente si trovano in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, il papa affida il compito di portare il vangelo nel «continente digitale». Concludendo: la rete è un enorme potenziale per creare contatti e connessioni tra persone, culture e popoli. Può diventare una straordinaria autostrada su cui corre la Parola di Dio e con essa le domande che l'uomo si pone su giustizia e pace, sul senso della propria vita. La rete può dare cittadinanza alla questione di Dio in uno spazio aperto a tutti, può aprire nuove strade per gli araldi del vangelo.
Talent scouting: potrebbe essere una mission per i diaconi permanenti. Chi saranno i nuovi comunicatori del vangelo nell'epoca della rete e della comunicazione globale? Mi sembra stimolante la proposta, che sta circolando nella CEI, di dare consistenza alla nuova figura ecclesiale dell'operatore pastorale per la cultura e la comunicazione (o comunicatore cristiano). In epoche precedenti la Chiesa ha saputo creare ministeri e servizi nuovi per rispondere alle necessità emergenti del popolo cristiano. Pensiamo al ministero dei diaconi, dei lettori, degli ostiari, ministri straordinari dell'Eucaristia, il servizio dei catechisti nell'epoca moderna.
La pastorale si interroga oggi sulla figura del comunicatore, una nuova figura ecclesiale per il ministero della comunicazione: un adulto chiamato dalla comunità, dotato di una competenza specifica, fornito di visibilità e garantito dal mandato ecclesiale. A questa nuova figura ecclesiale si affiderà il servizio nel campo delle comunicazioni sociali: dalla gestione dei mezzi di comunicazione locali (radio, stampa, sito Internet, blog...), al servizio specializzato a sostegno degli operatori della catechesi e liturgia (cura della videoteca, preparazione di sussidi audiovisivi, lezioni specialistiche nei corsi di formazione) fino a un vero e proprio "invio missionario" nel territorio delle professioni connesse con i media: radio, televisioni, cinema, gestione delle reti di internet... Ai diaconi permanenti si apre il campo per nuove mission nella Chiesa e nel mondo.


(R. Ciannatelli è professore emerito dell'UPS e presidente onorario del MED)


Per continuare la lettura
A. Spadaro, Web 2.0. Reti di relazione, Edizioni Paoline, Milano 2009.
CEI, Chiesa in rete 2.0. Atti del Convegno nazionale 2009, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2010; cf. anche suoi articoli su Civiltà cattolica e Jesus.
Una rapida e informata sintesi dei documenti della Chiesa su questo argomento, si trova in: V. Grienti, Chiesa e Internet. Messaggio evangelico e cultura digitale, Academia Universa Press, Milano 2010.





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