Nel silenzio dei simboli



Il diaconato in Italia n° 173
(marzo/aprile 2012)

RIFLESSIONI


Nel silenzio dei simboli
di Paola Castorina


Soffermarci in una chiesa quando è vuota è forse un'esperienza che non siamo abituati a fare, il silenzio umido che ci avvolge, il buio di altissimi soffitti che non trattengono i nostri pensieri. Fuori dalle celebrazioni, spesso attraversiamo le chiese con altri - pragmatici - scopi, ma se ci regaliamo questo tempo inutile, ci accorgeremo inondati da centinaia di codici rappresentativi, allegorie, simboli, che non sempre siamo in grado di leggere o valutiamo secondo stilemi estranei allo "scrittore", come se entrassimo in una moschea affrescata di sacre parole arabe, splendide a vedersi, ma che non immaginiamo nascondano un significato.
Una perplessità simile dovrebbe coglierci anche di fronte al linguaggio HTML (Hyper Text Markup Language, l'inglese è d'obbligo) che è il linguaggio solitamente usato per i documenti ipertestuali disponibili nel web: quali significati vengono trasportati oltre quello palesemente informativo e di intrattenimento? È un lavoro di interpretazione che spetta anche a noi: modesti fruitori di internet o super internauti apparteniamo ormai al mondo digitale. Ma i diaconi potrebbero trovarsi a interagire nel World Wide Web anche per altri motivi: interpellati dai figli/nipoti o chiamati a coprire il gap di sviluppo multimediale in cui vive la chiesa oggi: le domande del mondo digitale non sono poche. Preferisco parlare di mondo digitale piuttosto che di cultura digitale perché rende maggiormente la polarità fra convenzionalità e innovazione, tra standardizzazione e originalità, illusione e azione che caratterizzano quello che individuiamo come HCI (Human Computer Interaction).
Non è la prima volta che dobbiamo riorganizzare i codici simbolici, anzi questo avviene ciclicamente nel trapasso da un'età all'altra (medievale, rinascimentale etc.), nel nostro caso la stampa e il cinema hanno fornito gli elementi da reinterpretare. Nei videogiochi 3D il giocatore si sposta con una percezione cinematografica dello spazio-gioco; e le tecniche convenzionali dei media, selezionare, copiare, incollare, comporre, sono le modalità interattive di base con cui usiamo una library, un database o più semplicemente la mole di informazioni che caviamo dalla rete.
Siamo la società del "pronto all'uso", che non è più capace di creare? Se è così, lo siamo sempre stati, citazioni su citazioni di altri e altro. Soltanto, adesso lo possiamo fare molto più velocemente e questo ci dà un'ebbrezza sconosciuta. Il disavanzo sta nell'oggetto: l'oggetto mediale esiste per sua natura in tante forme e versioni diverse, l'ipermutabilità ne è la regola, anzi l'oggetto tende a sparire e a fondersi con il soggetto, il mezzo di indagine è stato inglobato, è un'appendice del nostro corpo. O viceversa.

Mediazione e immediatezza
Il diacono che si è fatto strumento dell'annuncio, sa bene cosa significhi mediazione. Lo sa quando spezza la Parola dura e incomprensibile, lo sa quando porta l'eucaristia ai malati, lo sa quando nella liturgia invita a dare la pace. Il desiderio di immediatezza che anima chi non solo usa internet ma ormai vive su internet - i cosiddetti "nativi digitali" - sembra irrimediabilmente distante da ogni mediazione, privilegia il frammento, l'indeterminato, l'eterogeneo, l'incompiuto. L'emozione viene bruciata in una comunicazione immediata, divenendo un flusso superficiale a emissione continua. L'informazione orizzontale e l'interazione diretta - ma separata fisicamente - sembra lo scopo di qualunque accesso digitale.
Parlare di computer è, da tempo, riduttivo, perché dovremmo drizzare il tiro su tutti quei mezzi di trasmissione che fondono la comunicazione: iPod, cellulari etc. Questa "convergenza multimediale" che si avvicina a una "fusione", non è una riduzione di mezzi ma una espansione dei canali per trasmettere un contenuto/relazione. Le mutazioni in atto sono molteplici e lo sono anche le mediazioni mentali, dalle più banali alle più complesse, cioè il lavoro che compiamo per assorbire ed elaborare il cambiamento.
Una volta rispondendo al telefono si chiedeva: "Ciao, come stai?", oggi invece abbiamo dovuto reinterpretare la categoria spazio-tempo e dunque relazionale: "Ciao, dove sei?". Non mi interessa dire che "ciao come stai?" avesse una maggiore valenza affettiva, piuttosto vorrei puntare l'attenzione sulla "rimediazione" cioè sulla rappresentazione di un canale comunicativo all'interno di un altro. Se non c'è tempo per l'ascolto, ma si privilegia la vista e l'azione, il primo canale comunicativo attraverso cui si impara il linguaggio parlato e si instaura una relazione subisce una mutazione radicale. E per i bambini è una cosa seria. Non mi riferisco a quanta parte della comunicazione quotidiana deleghiamo alla tv, ma vorrei sottolineare le modalità (visive e interattive) attraverso le quali nel mondo digitale la comunicazione - ancor più per i "nativi digitali" - è esplorazione di superficie e i rapporti sono "liquidi" (cf. Bauman). Il circuito comunicativo fa dello stesso fruitore il contenuto. Non solo si dissolve la famosa distinzione fra soggetto e oggetto, ma quella ancora più fondamentale tra significato e oggetto. La rarefazione del mondo reale è coinvolgente.
Ci sembra che sia colpa loro se vogliono stare al computer 24 ore su 24, e il risultato... incapaci di relazionarsi nel mondo reale, fragilissimi alle frustrazioni, massacrano il corpo con digiuni da asceta o lo riempiono con qualunque materia edibile si trovi in frigo, lo bucano con piercing di ogni dimensione e lo sfasciano sui campi di gioco. Sono i nostri ragazzi. Non li capiamo. Dov'è finita quella sana isteria che sbolliva in uno svenimento a effetto e i freudiani erano soddisfatti del loro lavoro?
Il corpo è trafelato, a stento tira il respiro, è incaricato di seduzione nella lotta per il potere, agito nella sua dimensione sessuale, ma paradossalmente non goduto, anzi strumento di aggressione "per legittima difesa" sia in campo maschile che femminile, che nulla ha a che fare con la ricerca dell'anima gemella. È il corpo dei nostri ragazzi, di quelli che non riescono più a parlare con il corpo, né attraverso il corpo, ma lo brandiscono come l'unica arma rimastagli. Mentalizzare tutto questo è davvero troppo, la vista e l'azione che abbiamo ipersviluppato chiedono un tributo altissimo.
Ma quando parliamo di corpo ci pensiamo a cosa abbiamo ridotto il cristianesimo? Siamo capaci di sconvolgerci come gli israeliti quando qualcuno diceva loro «se non mangiate il mio corpo e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita»? No, non siamo cannibali, ma parimenti non abbiamo idea della gravità, del peso delle parole e della intenzionalità con cui vengono dette. Difficilmente i nostri ragazzi hanno percezione delle implicazioni del banchetto eucaristico a cui partecipavano, annoiati a morte, da piccoli. Il livello di esoterismo delle nostre celebrazioni è bassissimo, praticamente nullo: facciamo entrare chiunque voglia assistervi, per non parlare di matrimoni e funerali. Purtroppo parlare di esoterismo fa subito pensare alle sétte, potremmo parlare con più tranquillità di mistagogia, ma il risultato non cambia: non è (quasi mai) presente nella pastorale delle parrocchie, e neanche nella formazione dei catechisti. Se proviamo a vedere quale coinvolgimento chiedono - giustamente - i ragazzi oggi quando si affacciano alla vita forse ci accorgeremmo, (stupiti!), della deriva in cui navighiamo.
Il contenuto simbolico, di rimando a una realtà altra, altissimo nei riti del battesimo, nel rito eucaristico, è muto per i dotti e i semplici. I bambini non riescono ad avere alcuna percezione del sacro, del simbolo, dell'ulteriore, tutt'ai più conoscono gli aspetti relativi alla moralità - non si dicono bugie, non si fanno i dispetti, etc. etc. - ma poco o nulla che rimanga come fondamenta per costruire dopo. Le icone che un tempo introducevano il popolo di Dio nei misteri della fede, sono state sostituite da statue che trascinano Dio nella storia dimenticandone la sua incarnazione.
I nostri diaconi, quando fanno le visite alle famiglie, sono chiamati a colmare una voragine di non-senso: quello teologico, dell'assenza di Dio e quello umano della comunicazione linguistica (in un mondo che cambia... scrivevano i nostri vescovi). Il mondo digitale è lontano anni luce da quello della fede, ma la necessità di mediazioni di senso permane, anzi si fa urgente. C'è bisogno di recuperare l'attività simbolica di questo processo: se rappresentare un canale comunicativo all'interno di un altro ha i suoi risultati positivi, per esempio in termini spazio-temporali, bisogna ricostruire ciò che manca. Se il corpo non è più simbolico nel senso originario del termine - non allude più ad altro l'unitarietà della persona umana è minata alla base. Il corpo urla, ma è muto. Il simbolo, diversamente dal segnale, ha un livello di convenzionalità maggiore e anche una capacità evocativa molto forte. Ha una funzione pratica, la metà di qualcosa che attende di essere ricomposto, e anche una funzione rappresentativa. Recuperare il simbolo significa dare significato al rimando ultimo, e implica uno sforzo non da poco, ma è necessario se vogliamo mantenere un legame tra quello che facciamo, quello che annunciamo, quello che diamo ai nostri fratelli e figli. Questa seconda "rimediazione" - rappresentazione di un canale comunicativo all'interno di un altro - a cui dobbiamo fare fronte è un lavoro di immane fatica. Lo immagino come la fatica di imparare a parlare per chi ha perso da bambino l'udito.

Diaconia digitale
In diversi luoghi delle Scritture le parole hanno prodotto visioni, spesso visioni archetipe, altre volte rivelative di aspetti del divino. L'antropomorfismo di Dio ci dice molto sulla sua libertà di agire: tutti i cinque sensi, dall'odorato al gusto, al tatto, sono al suo servizio. Espedienti per meglio raggiungere la nostra immaginazione? No, la parola di Dio non fa sconti a nessuno, anzi rincara la dose: le spalle di Dio, o addirittura il suo volto, nulla ha forma d'uomo se non la sua parola, solo quella è veramente antropomorfa. Un poeta ed esegeta dei nostri giorni ha intravisto: «Dal dito al terremoto: sono tutte concrete le apparizioni di fronte a un testimone, ma niente serve a fondare l'anatomia di Iod. Non è unendo tutti i punti dei suoi sensi apparsi, che si ottiene una immagine. Non se ne può ricavare un identikit. Iod esclude di poter essere fissato in una forma» (E. De Luca, Almeno 5, Ed. Feltrinelli, p. 11).
Di rimando potremmo dire che tutti i nostri sensi sono chiamati ad ascoltare la sua parola. La "rimediazione" sembra quasi una categoria biblica. La forza simbolica è altissima, come abbiamo fatto a spegnerla con tanta noncuranza? Abbiamo sostituito il simbolo con l'analogia: è alla nostra portata, ogni cosa va al suo posto e ciò che non si capisce è mistero. Proprio noi cristiani che siamo stati introdotti nel mistero, e abbiamo con noi i diaconi, icona di un Dio fatto uomo e servo.
E dunque a chi si rivolgono oggi i diaconi nel loro ministero? A chi avrebbe parlato il Signore Gesù se si fosse incarnato oggi? La domanda è poco ortodossa, è vero, ma concedetemi anche di immaginare una risposta... visto che ladri e prostitute ci sono già passati avanti, forse oggi avremmo da rivaleggiare con pedofili e mafiosi, con immigrati senza permesso di soggiorno nelle nuove terre dei Gentili, e storpi e zoppi, di fuori e dentro, che non mancano mai. Eccoci forse ci siamo anche noi, ciechi e sordi, sconvolti da un mondo che abbiamo plasmato a nostra immagine, esperti di "navigazione" travolti dalle tempeste, prigionieri di sistemi di controllo, dilaniati tra la sfera animale e quella razionale. Solo un uomo nel deserto riuscì a riportare un momentaneo equilibrio, come alle origini, e stette con le fiere e con gli angeli. Diciamoglielo ai nostri ragazzi che almeno uno ce l'ha fatta, diciamolo ai bambini che anche gli animali, carnivori ed erbivori, e persino le montagne, attendono la parusia, diciamolo agli internauti che Babele era un simbolo e non un'allegoria: se il mondo ci appare come una raccolta infinita e destrutturata di immagini e dati, può anche essere assimilabile a un database ma questo database non è il mondo, e il mondo stesso rimanda ad altro. Ecco i diaconi sapranno a chi indirizzare il loro ministero: ciechi e sordi.
Non si tratta dunque di portare la chiesa su internet, questo si può anche fare, un mezzo come un altro, ma piuttosto di dare significato a simboli i cui canali comunicativi sono saturi. Riconvertire un luogo è più difficile che raderlo al suolo e partire da zero, ma non possiamo permetterci di sgomberare il campo da tutte le gravi implicazioni della società in cui viviamo, possiamo invece prendere gli strumenti di fatica e lavorare, studiare di nuovo come bambini, e se c'è da imparare, impareremo, come i sordi che parlano.
Quando Dio, patria e famiglia hanno smesso di essere l'orizzonte di senso entro cui si iscriveva la vita di ogni uomo/cristiano, l'irreversibilità di questo mutamento avrebbe dovuto sollevarci e incoraggiarci verso una nuova riorganizzazione pastorale (e teologica). Avrebbe dovuto scioglierci da ogni legaccio che impediva di muoverci nel nuovo... creare una nuova interfaccia. Restituire al simbolo tutta la sua capacità evocativa. Possiamo farlo ora. E i sordi impareranno a parlare. A parlare con Dio, a capirei fra noi.


Nessun rapporto tra persona e persona, nessuna verità o esperienza può essere comunicata, nessun desiderio notificato o espresso, senza la mediazione di un segno: un movimento del volto o della mano; una parola; un gesto d'amore o di sdegno ... La comunicazione tra le persone può avvenire unicamente attraverso segni o simboli che rendano sensibile, e in qualche modo comunicabile la realtà interiore che si desidera far conoscere o trasmettere. Se tutta la vita umana è condizionata dai segni, la liturgia lo è doppiamente: segni per mettere i credenti in comunicazione tra loro; ma anche segni attraverso i quali Dio stesso, per mezzo di Cristo, entra in comunicazione con gli uomini, per far conoscere la sua volontà, esprimerci il suo amore, offrire i suoi doni.

Enzo Lodi




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