Una Parola in atto


Il diaconato in Italia n° 173
(marzo/aprile 2012)

PASTORALE


Una Parola in atto
di Enzo Petrolino


Se vogliamo delineare gli elementi per una diaconia della Parola, è la formula per l'ordinazione del diacono per la consegna del libro dei Vangeli che ci indica l'evidente legame tra il posto che occuperà il neo-diacono nella Chiesa ed il modo di esercitare il suo ministero. Annunciare il Vangelo, vivere ciò che esso insegna: è in questi termini dinamici che la Chiesa affida la diaconia della Parola al nuovo ordinato.
Solo una pratica prolungata e varia rivelerà il significato profondo di una parola proclamata da una persona ordinata sacramentalmente ma che non è, ciò nonostante, tolta alla sua famiglia, né al suo ambiente culturale, né al suo lavoro profano. La condizione di ordinato - per trovare il modello dovremmo risalire al IV secolo - rappresenta una realtà nuova per la Chiesa di oggi. Il ripristino del diaconato permanente può aiutare a ricostruire il tessuto all'interno della Chiesa affinché sia vissuta in tutta la sua ampiezza l'ottica del Vaticano II in base alla quale il Popolo di Dio è la realtà ecclesiale fondamentale. Il diacono preso in una comunità di uomini e ordinato per il servizio di quella comunità, si pone, umanamente parlando, come il ministro ordinato più vicino ai fedeli. È possibile che questa vicinanza possa essere ulteriormente accentuata, se esso è sposato e/o impegnato nel mondo del lavoro. È per questo che nella sua predicazione, si dovrebbe sentire come l'effetto di una comunità di vita lungamente vissuta con gli uomini, sul piano dell'esperienza e delle condizioni comuni.
È proprio qui che viene rivelata tutta l'importanza del fatto che il diacono è una parola in atto non solo sul piano morale, ma sul piano sacramentale: quanto più la vita del diacono è espressione fedele della Parola che annuncia, tanto più egli stesso diventa segno dell'efficacia di questa Parola, che è sempre viva nel cuore degli uomini. Pertanto, non è la semplice presenza del diacono nella vita quotidiana degli uomini che assicura l'efficacia della Parola, ma piuttosto il contrario. È proprio quando il diacono si corrobora nella e della Parola che la sua presenza diventa segno efficace, segno capace di evocare uno più grande di lui. È precisamente l'inserimento del diacono nel ministero apostolico che rende possibile questo significato. Esercitando un ministero che è proprio dell'episcopato, cioè la predicazione evangelica, il diacono rende presente una realtà ecclesiale di primaria importanza: il vescovo stesso, nella Parola che predica in forza del suo ruolo, è al servizio del Corpo di Cristo. E proprio perché la sua predicazione della Parola deve fare risalire al carattere diaconale della predicazione episcopale, il diacono eviterà tutto ciò che potrebbe allontanarlo dal popolo, al servizio del quale è ordinato.
Oggi il diacono fa un'opera di riavvicinamento: rende non soltanto più credibile la Parola che egli stesso annuncia, ma riavvicina al popolo di Dio i primi e principali responsabili della Parola che sono i Vescovi, chiarendo così che la predicazione episcopale è al servizio del Vangelo per gli uomini.
Le concrete modalità di esercizio di questo ministero della Parola da parte del diacono passano attraverso la via maestra della lectio divina, proprio per ribadire il primato della Parola stessa, presentato come luogo ordinario e occasione reale di ministerialità diaconale.
È significativo che in molti documenti, a più riprese, venga sottolineato che alla proclamazione del Vangelo deve corrispondere nei diaconi non solo un sincero e fedele amore alla Parola, ma anche una effettiva attività di evangelizzazione.
Questa si può esplicare nelle diverse forme di catechesi (dalla preparazione ai sacramenti, alla cosiddetta catechesi degli adulti, agli incontri con le coppie in difficoltà, ai colloqui con i non credenti o i non cristiani), ma non si può ridurre alla sola proclamazione liturgica del Vangelo. Il primato della Scrittura, quando è reale, tende a lievitare da ascolto docile e assiduo a partecipazione personale nel tempo liturgico della preghiera, per trovare finalmente nella diaconia della Parola il suo normale punto di approdo.
Un posto particolare in questa pedagogia di ascolto-annuncio della Parola, viene assegnato in molti interventi alla preparazione comunitaria della liturgia domenicale e allo studio-preghiera delle letture festive. Si mette così in evidenza che, oltre a essere un luogo naturale di diaconia Verbi, questa antica forma di santificazione del giorno del Signore, potrebbe anche essere l'occasione per discernere in concreto la stessa attitudine del candidato a svolgere un effettivo ministero della Parola e di evangelizzazione.
Proprio nell'ottobre prossimo, Benedetto XVI ha voluto si celebrasse anche un Sinodo dei vescovi sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana»; occasione per accompagnare, è il Papa stesso a sottolinearlo, «l'intera compagine ecclesiale a un tempo di particolare riflessione e riscoperta della fede».
Rivolgendosi agli ottomila partecipanti al raduno mondiale promosso dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione - salutati come «i protagonisti dell'evangelizzazione nuova che la Chiesa ha intrapreso e porta avanti, non senza difficoltà, ma con lo stesso entusiasmo dei primi cristiani» - papa Ratzinger ha spiegato: «Ritengo che, trascorso mezzo secolo dall'apertura del Concilio, sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede, l'esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, e farlo in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria, nella prospettiva, appunto, della missione ad gentes e della nuova evangelizzazione».
L'obiettivo che ha sollecitato il pontefice è quello di proporre agli uomini del nostro tempo «uno sguardo complessivo sul mondo e sul tempo, uno sguardo veramente libero, pacifico». Archiviata «la nefasta stagione degli imperi totalitari del XX secolo» e «trascorso mezzo secolo dall'apertura del Concilio», è infatti giunto il momento di «richiamare la bellezza e la centralità della fede in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria».
Benedetto XVI ha auspicato che «la forza del Vangelo penetri le famiglie, gli ambienti di lavoro, il mondo della cultura, la politica, la vita sociale». L'Anno della fede, ha concluso, «sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio» e «per annunciare Cristo a chi non lo conosce, oppure lo ha ridotto a semplice personaggio storico».
«Capita ormai non di rado - osserva Benedetto XVI - che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato [...]. Oggi una profonda crisi di fede ha toccato molte persone». Tuttavia, ancora oggi, l'uomo «può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cf. Gv 4,14)».
«Dobbiamo ritrovare - conclude il papa - il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli» (cf. Gv 6,51).




----------
torna su
torna all'indice
home