I diaconi secondo Ignazio di Antiochia



Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

FOCUS


I diaconi secondo Ignazio di Antiochia
di Ryszard Selejdak



Il Vescovo d'Antiochia presenta nelle sue Lettere le diverse qualità che i diaconi devono possedere. Tra le più importanti si sono le dieci seguenti.
1. I diaconi devono vivere «secondo Dio». Una prima qualità che il Vescovo antiocheno rimarca nei diaconi - facendo riferimento alla figura di Burro e ai diaconi di Magnesia - è una vita «secondo Dio»: «Desidererei Burro, mio conservo e vostro diacono secondo il cuore di Dio, ricco di ogni benedizione»1. Per Ignazio il ministero nella Chiesa è soprattutto una iniziativa divina da collocare nella disposizione salvifica di Dio. Il diacono dovrà quindi presentare, attraverso la sua vita, che egli si inserisce in un piano divino, per cui egli è tenuto a diventare «degno di Dio»2.
2. I diaconi rendono visibile la missione di Cristo. Secondo Ignazio ai diaconi è stata affidata la missione di Gesù Cristo. Perciò essi sono continuamente, per così dire, messi in causa e interpellati nella loro vita da Cristo, di cui visibilizzano la missione. Infatti il loro ministero corrisponde a quello di Cristo. Il Vescovo d'Antiochia presenta inoltre una prospettiva, che sarà caratteristica dell'area antiochena: quella della tipologia. Come il vescovo è immagine del Padre3 e ne tiene il posto e i presbiteri sono paragonati al collegio degli apostoli, così i diaconi, in forza del loro rapporto di dipendenza dal vescovo, sono rapportati a Cristo: «tutti dovete rispettare i diaconi come lo stesso Gesù Cristo». Perciò Ignazio può concludere che senza il vescovo, i presbiteri e i diaconi non si può parlare di Chiesa.
Per il Vescovo d'Antiochia il diacono, come Cristo in forza del suo rapporto di dipendenza dal Padre, è un «inviato» per una missione, che Dio stesso gli affida tramite il vescovo. Il diacono è uno «strumento» in una specifica comunità ecclesiale per mezzo del quale Dio realizza concretamente l'ideale di «servizio» agli uomini. I diaconi infatti - come il vescovo e i presbiteri - sono «scelti secondo il pensiero di Gesù Cristo». La missione e l'autorità ad essi conferita non proviene da sforzi o da pretese umane, ma deriva direttamente da una «investitura» divina.
3. I diaconi sono aperti all'azione dello Spirito Santo. I diaconi sono corroborati da un particolare dono dello Spirito. Ignazio scrive infatti: «i diaconi [...] da lui stesso (Cristo), di sua volontà, sono stati stabiliti, e confermati dal suo Spirito Santo». Il Vescovo d'Antiochia sottolinea in questo modo la divina potenza presente nei ministri, la manifestazione dell'attività divina in essi. L'azione dello Spirito Santo ha un carattere di stabilità. Il dono e la grazia conferiti al ministro - prima nel battesimo, poi nell'ordinazione - non sono ritirati, ma confermati in lui, perché possa realizzare il compito affidatogli. Quindi il diacono dovrà essere docile e aperto all'azione dello Spirito Santo che lo conforma sempre più al modello Cristo.
4. I diaconi devono essere saldi nel Vangelo. Dalle Lettere ignaziane risulta che i diaconi sono chiamati a divenire saldi nella dottrina e nei precetti del Vangelo. Essi devono testimoniare questo con la loro vita. Nella Lettera ai Magnesii Ignazio scrive: «Abbiate ogni cura di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli Apostoli, e così riuscirà bene tutto quello che voi fate, materialmente e spiritualmente, nella fede e nella carità, con il Figlio, con il Padre e con lo Spirito Santo, dal principio alla fine; uniti sempre al vostro degnissimo vescovo e alla corona spirituale del vostro collegio di presbiteri e ai vostri santi diaconi». La sorgente della stabilità e della fermezza dei diaconi proviene da Dio e non dagli uomini. Secondo Ignazio i vescovi, i presbiteri e i diaconi devono precedere, guidare e accompagnare i loro fedeli sia nell'insegnamento sia nell'osservanza dei precetti divini.
5. I diaconi devono comportarsi in modo irreprensibile. I diaconi devono essere uomini di buona reputazione. L'esempio può essere il diacono Filone. Inoltre devono essere uomini eletti, come il diacono Reo Agatopodo. Si trattava dunque da parte della comunità e del vescovo di riconoscere che essi erano adatti al ministero e che la grazia di Dio li aveva modellati e resi disponibili per tale servizio. Certamente si richiedeva da tutti coloro che assumevano delle responsabilità un periodo di prova. Ricevevano l'incarico soltanto quelli che erano trovati irreprensibili, degni del Signore e provati. La buona fama nella comunità è il primo requisito che si esige dal diacono e non solo all'interno della Chiesa, ma anche fra i non cristiani, affinché dal cattivo comportamento dei rappresentanti della nuova religione non si deducesse la scarsa qualità della fede stessa. Di solito era il vescovo, con la comunità, a dare il giudizio finale per l'ammissione. L'elezione e l'ordinazione erano considerati atti pubblici, nei quali la presenza della comunità era richiesta come garanzia contro l'assunzione di ministri indegni4.
6. I diaconi devono essere persone di unità e di comunione. I diaconi devono manifestarsi come persone di unità e di comunione. L'unità è il tema centrale e fondamentale nelle Lettere di Ignazio5. Per il Vescovo di Antiochia, che faceva tutto quello che poteva per cercare sempre l'unità, la concordia sinfonica della Chiesa, è al centro delle sue sollecitudini pastorali. È la pressante richiesta che rivolge ai Filadelfesi: «State uniti al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi». Ignazio riprende quanto si era già augurato nel saluto iniziale a questa Chiesa: i suoi membri «formeranno una cosa sola con il vescovo e con i suoi presbiteri e con i diaconi». I diaconi esprimono, in modo particolare e a livello gerarchico, il servizio ecclesiale per edificare l'unità e la comunione della Chiesa. Essi partecipano, subordinatamente al vescovo, alla guida della comunità. La Chiesa, quando è radunata attorno al vescovo che presiede l'Eucaristia, raggiunge il culmine dell'unità con Cristo, suo Capo, e con le membra, i fedeli. Con un accorato appello contro la disunione e la discordia, Ignazio esorta: «Studiatevi di partecipare a un'unica eucaristia: unica è infatti la carne del nostro Signore Gesù Cristo e unico il calice che ci unisce nel suo sangue; unico l'altare, come unico il vescovo con i suoi presbiteri e i diaconi, servi come me. Solo se agirete così, agirete secondo Dio». Inoltre, egli, scrivendo al vescovo Policarpo, insiste con i fedeli di Smirne: «Ascoltate il vescovo, se volete che Dio ascolti voi. Io mi offro in sacrificio per chi si sottomette al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Mi sia concesso di possedere Iddio insieme a loro. Faticate insieme, lottate insieme, correte, soffrite, dormite, svegliatevi tutti insieme, come amministratori di Dio, come suoi assistenti e servitori».
Qualche studioso interpreta metaforicamente nella triade: «amministratori», «assistenti» e «servitori» i tre gradi della gerarchia ecclesiastica, rispettivamente vescovi, presbiteri, diaconi. In tal caso occorre sottolineare che mentre i primi due termini sono usati specialmente per indicare dipendenti subordinati con alte responsabilità, il terzo, «servitori», ben si addice alla funzione propria dei diaconi come «inservienti» o «personale del servizio» del vescovo.
L'unità col vescovo comporta anche una dimensione giuridico-istituzionale, a cui partecipano anche i diaconi. In conseguenza, ad essi, in quanto rappresentanti di un'autorità, si deve obbedienza e deferenza, come ricorda Ignazio a tre diverse comunità cristiane: ai Tralliani, agli Smirnesi e ai Magnesii. Ai primi prescrive: «Tutti voi dovete rispettare i diaconi come lo stesso Gesù Cristo»; ai secondi ingiunge: «Venerate i diaconi come la stessa legge di Dio»; ai terzi, dopo aver loro raccomandato di «compiere tutto in quella concordia che Dio vuole, sotto la direzione del vescovo [...], e dei presbiteri [...], e dei diaconi [...], ai quali è affidato il servizio di Gesù Cristo», e dopo averi i esortati a conformarsi a Dio, a rispettarsi e ad amarsi vicendevolmente: «Tutti voi [...] seguendo l'esempio stesso di Dio, rispettatevi a vicenda; nessuno consideri il prossimo con occhio umano, ma amatevi in Gesù Cristo, in ogni istante» , conclude: «Non vi sia fra voi nulla che vi possa dividere, ma siate tanto uniti al vescovo e ai vostri capi da essere una dimostrazione e una rappresentazione vivente dell'eterna incorruttibilità». Secondo Ignazio, anche i diaconi dunque, inseriti nell'ordine giuridico-sacramentale, dovranno essere modelli di vita per guidare i fedeli all'«incorruttibilità», intesa sia come purezza di dottrina, sia come moralità di comportamento. In una prospettiva più elevata, l'incorruttibilità è sinonimo di immortalità e di vita eterna.
7. I diaconi devono essere obbedienti all'autorità. I diaconi sono chiamati ad essere docili e sottomessi al vescovo. Ignazio loda questa qualità facendo riferimento al diacono Zotione: «Possa godere sempre della sua presenza, poiché egli sa sottomettersi al vescovo come alla grazia di Dio, e al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo». La sottomissione al vescovo e ai presbiteri è un segno del riconoscimento della loro autorità, ma anche obbedienza alla divina rivelazione, specialmente al vangelo. La sottomissione al vescovo è in realtà sottomissione a Dio Padre, «vescovo di tutti» e «vescovo invisibile». È una sottomissione che si congiunge chiaramente all'esperienza di Cristo, obbediente al Padre. Per Ignazio i diaconi dando, come primi, l'esempio di obbedienza nei confronti del vescovo, si pongono nella linea di sottomissione ad una autorità che procede da Dio e da Cristo, quindi legittima. Nella comunità sottomissione e unione al vescovo si congiungono come due aspetti inseparabili della via alla santità.
8. I diaconi sono generosi e disinteressati. Secondo Ignazio i diaconi si qualificano per la loro generosità e il loro disinteresse a motivo dell'amore di Dio. Queste virtù praticano, ad esempio i due diaconi Filone e Reo Agatopodo. Essi vengono elogiati anche nella Lettera ai Filadelfesi: «Filone, diacono della Cilicia, uomo provato, mi aiuta ancora nella predicazione della parola di Dio insieme a Reo Agatopodo, uomo eletto, che ha sacrificato la sua vita per accompagnarmi dalla Siria». Dalle parole di Ignazio risulta che i diaconi Filone e Reo Agatopodo lo avevano seguito spontaneamente e mettevano a sua disposizione la loro attività e i loro beni. Nell'accompagnamento e nell'assistenza di Ignazio durante il viaggio essi si dedicavano con generosità e carità, a motivo dell'amore di Dio. In conseguenza Dio diventava la causa suprema della loro scelta. Dio diventava per loro uno stile di vita sobrio, povero e fiducioso nella Provvidenza.
9. I diaconi sono grati per i doni ricevuti. Per il Vescovo antiocheno i diaconi sanno ringraziare Dio per ogni bene ricevuto, per l'accoglienza loro riservata, per il conforto che hanno ricevuto. Ignazio facendo nuovamente riferimento ai diaconi Filone e Reo Agatopodo, scrive nella Lettera agli Smirnesi: «Anche essi ringraziano il Signore perché avete prestato loro ogni conforto. Nulla per voi andrà perduto». Questi due diaconi si uniscono a tutta la comunità nel riconoscere i benefici loro concessi da Dio.
10. I diaconi devono essere personificazioni viventi della carità. Ignazio esige dai diaconi di essere soprattutto gli uomini della carità. Egli, ne ricorda alcuni che hanno incarnato tale virtù. Riferendosi al diacono Burro, il Vescovo di Antiochia esclama: «Egli mi ha recato un grande conforto: potessero imitarlo tutti, perché egli è un modello nel servizio di Dio!», per cui egli si augura: «La grazia divina lo compenserà completamente». Ignazio presenta similmente il diacono Croco: «Anche Croco, uomo degno di Dio e di voi, immagine viva della vostra carità, mi ha alleviato ogni pena. Allo stesso modo il Padre di Gesù Cristo conforti lui». Infine, nella Lettera ai Tralliani, ricorda ai diaconi di aiutare tutti, per quanto è possibile.

Ministero dei diaconi
Le Lettere di Ignazio d'Antiochia testimoniano che il ministero dei diaconi agli inizi del secondo secolo era molto differente. I diaconi erano soprattutto i ministri dell'Eucaristia e della Parola, i promotori della carità, gli assistenti del vescovo e i messaggeri «ufficiali» della comunità cristiana. Ministri dell'Eucaristia: secondo Ignazio nell'Eucaristia si spezza il medesimo pane, che è carne del Salvatore e medicina d'immortalità. Inoltre in essa si realizza e si manifesta in modo concreto l'unità con Cristo e con la Chiesa. Il vescovo antiocheno nomina espressamente i diaconi in un contesto eucaristico, scrivendo ai cristiani di Filadelfia. Inoltre, menziona loro nella Lettera ai Tralliani, presentando la Chiesa come comunità cultuale: «Chi è vicino all'altare è puro, chi ne è lontano non è puro». Ciò significa: «chi fa qualche cosa senza il vescovo o i presbiteri o i diaconi, costui non è puro nella sua coscienza».
Ministri della Parola di Dio: probabilmente Ignazio fa riferimento al ministero della predicazione dei diaconi nella parte finale della Lettera ai Filadelfesi: «Filone, diacono della Cilicia (...) mi aiuta ancora nella predicazione della Parola di Dio insieme a Reo Agatopodo». Anche se tale ipotesi, secondo una parte degli studiosi, non sembra sufficientemente provata per Ignazio, tuttavia più tardi, presso altri autori cristiani dei primi secoli, i diaconi sono presentati come quelli che sono uniti al vescovo e ai presbiteri nel ministero della parola, specialmente per la spiegazione delle Scritture e per la catechesi.
Promotori della carità: l'attività caritativa è il compito specifico e più importante dei diaconi all'interno della comunità. Ignazio nella Lettera ai Tralliani esorta: «I diaconi, che sono al servizio dei misteri di Gesù Cristo, devono cercare di piacere a tutti, perché non sono dei semplici distributori di cibi e di bevande, ma sono servi della Chiesa e di Dio. Si guardino da ogni biasimo come dal fuoco». Il riferimento ai «cibi» e alle «bevande» richiama uno dei compiti precipui dei diaconi: l'assistenza ai poveri. Essendo responsabili per la cassa, essi dovevano essere disinteressati e imparziali, senza preferenza di persone, aiutare tutti i bisognosi, evitando accuse di avarizia o di faziosità.
Assistenti del vescovo: i diaconi, in quanto dipendenti dal vescovo, lo aiutano e lo seguono nelle varie circostanze, anche in quelle dolorose. Così Ignazio mette in rilievo spesso lo squisito gesto di carità e di cortesia da parte dei diaconi, che consiste nell'accompagnarlo durante il suo viaggio a Roma, ove subirà il supplizio. Il Vescovo antiocheno loda i diaconi per il loro aiuto e li ringrazia per la loro benevolenza. Essi vengono definiti da lui «conservi» , compagni di servizio, esprimendo con questo titolo la solidarietà che ad essi lo univa. Ignazio considera i diaconi «carissimi», appunto perché erano al suo fianco sia nel ministero sia poi nella prigionia. Così ricorda con grande affetto il diacono Zotione: «Ho avuto l'onore di vedere voi tutti nella persona di Dama, vostro vescovo degno di Dio, e dei vostri degni presbiteri Basso e Apollonio, e del diacono Zotione mio conservo. Possa godere sempre della sua presenza, poiché egli sa sottomettersi al vescovo come alla grazia di Dio, e al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo». Similmente è pieno di gratitudine per i diaconi Filone e Reo Agatopodo, che lo hanno accompagnato «per amore di Dio». Nella Lettera agli Efesini, il Vescovo di Antiochia esprime il desiderio di poter ancora usufruire del servizio di Burro. Sempre facendo riferimento a questo diacono, Ignazio dà una splendida ed eloquente definizione di ogni ministero della Chiesa e in modo particolare del diacono: «è un vero modello di servizio divino».
Messaggeri «ufficiali» della comunità cristiana: dalle Lettere di Ignazio risulta che i diaconi erano pure inviati come corrieri, ambasciatori o messaggeri per la corrispondenza ufficiale tra le varie Chiese locali. Nella Lettera ai Filadelfesi il Vescovo antiocheno scrive: «Mi è stato annunciato che, per le vostre preghiere e per la vostra tenera carità cristiana, la Chiesa di Antiochia in Siria ha riacquistato la pace. Perciò voi, Chiesa di Dio, dovete eleggere un diacono e affidargli la santa missione di portare a quella comunità, riunita, le vostre congratulazioni, e glorificare il nome di Dio. Beato in Gesù Cristo chi sarà stimato degno di questo incarico, e voi tutti ne avrete gloria. Se lo volete, non è difficile per voi farlo, a gloria di Dio, come lo hanno fatto le Chiese più vicine; esse hanno mandato i loro vescovi, e altre Chiese hanno mandato presbiteri e diaconi». Ignazio vede nei diaconi gli ambasciatori di Dio che portano i rallegramenti dei Filadelfesi alla Chiesa di Antiochia in Siria per la recuperata pace. Data la grande importanza dello scambio epistolare, i diaconi incaricati dovevano essere particolarmente fidati, eloquenti e diplomatici.
La stessa richiesta di inviare ad Antiochia un «ambasciatore di Dio» è fatta da Ignazio agli Smirnesi: «E perché la vostra opera buona sia perfetta tanto sulla terra quanto nel cielo, è bene che, a gloria di Dio, la vostra Chiesa elegga un ambasciatore, il quale vada in Siria e si feliciti con quei cristiani perché finalmente godono pace, hanno riacquistato l'antica grandezza, ed è stato ristabilito il piccolo corpo di quella comunità».

Concludendo
Le sette Lettere ignaziane trattano con frequenza e insistenza del ministero gerarchico tripartito, intorno al quale le comunità ecclesiali trovano la loro concreta unità, diventando un solo coro rivolto al Padre attraverso Gesù Cristo. Esse ci testimoniano l'esistenza agli inizi del secondo secolo di comunità ecclesiali organicamente e gerarchicamente strutturate, dove c'è un ordine ben definito che distingue i fedeli dalla gerarchia, costituita dal vescovo dal collegio dei presbiteri e dai diaconi. Al vescovo spetta la presidenza e ai diaconi l'ultimo grado del ministero gerarchico.
Per Ignazio la Chiesa è «ministeriale» nella sua interezza. Tutti i cristiani sono chiamati a servire, prolungando e rendendo visibile nel corso del tempo la «kenosi» del Cristo, fattosi servo di tutti. Tuttavia il compito di esprimere questa diaconia ecclesiale in un modo particolare e al livello gerarchico è affidato ai diaconi. Essi servono e allo stesso tempo partecipano alla guida della comunità, insieme e subordinatamente all'unico vescovo che presiede e al collegio dei presbiteri. Secondo il Vescovo antiocheno la figura dei diaconi viene definita da molte e diverse qualità che loro devono presentare. Esse sono necessarie per i diaconi perché costituiscono la migliore garanzia del fruttuoso svolgimento del loro importante servizio a Cristo, ai suoi misteri, alla chiesa di Dio, alla Parola di Dio, all'Eucaristia, alla carità, al vescovo. I contenuti concreti del loro ministero sono svariati, ma tutti caratterizzati dal binomio: autorità-servizio: dal «servire» e allo stesso tempo dall'esigere «obbedienza», come si deve a Gesù Cristo e alla legge di Dio. Il senso dell'autorità-servizio, proprio del diaconato, va collocato nel discorso di Ignazio sul senso dell'autorità ecclesiale. L'autorità, alla quale partecipano i diaconi, non è fine a se stessa, strumento di dominio, ma servizio per edificare la comunione e unità concreta, visibile, «carnale» che è l'espressione della comunione profonda, interiore, «spirituale».
Per Ignazio il ministero e la missione dei diaconi sono di carattere spirituale. In loro, nell'attività dei diaconi, Cristo prolunga la sua missione salvifica in favore dell'umanità. Il credente onora nei diaconi perciò non le persone e le loro qualità; piuttosto vede nei diaconi Gesù Cristo stesso che si serve di questi uomini per il suo incontro con gli uomini.
Le Lettere di Ignazio presentando ampiamente la figura e il ministero dei diaconi, nella prospettiva teologica e spirituale, confermano chiaramente che il diaconato costituiva per lui un problema di grande importanza per la vita della chiesa di allora.


(R. Selejdak è Capo dell'Ufficio per la formazione del Clero della Congregazione
per l'Educazione Cattolica)

Note
1. Eph. II, 1, PA I, 214; cfr. anche Magn. XIII, 1, PA I, 240.
2. Cf. Eph. VI, 1, PA I, 218: ove vi è un cenno al fondamento storico-apostolico del ministero gerarchico: «chiunque il padre di famiglia abbia mandato ad amministrare la sua casa, deve essere accolto come colui stesso che lo invia»; cf. anche Magn. VII, 1, PA I, 234-236; ib.. XIII, 2, PA I, 240; Trall. III, 1, PA I, 244.
3. Cfr. Trall. III, 1, PA I, 244: «il vescovo come l'immagine del Padre»; cf. anche Smyrn. VIII, 1, PA I, 282: «Come Gesù Cristo segue il Padre, così tutti voi seguite il vescovo». Cf. A. Marranzini, Lineamenti della figura del vescovo secondo S. Ignazio di Antiochia, in Asprenas 23 (1976) 303-318.
4. Cf. E. Cattaneo (a cura), I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Milano 1997, p.112.
5. Cf. F. Bergamelli, L'unione a Cristo in Ignazio di Antiochia, in: S. Felici (a cura), Cristologia e Catechesi patristica, Biblioteca di scienze religiose 31, vol. 1, Roma 1980, p. 94; H. Paulsen, Studien zur Teologie des Ignatius von Antiochien, Gottingen 1978, pp. 132-144; J. P. Martin, El Espíritu Santo en los orígenes del cristianismo. Estúdio sobre I Clemente, Ignacio, II Clemente y Justino Martir, Zürich 1971, p. 133; G. Bosio, La dottrina spirituale di Sant'lgnazio di Antiochia,in Salesianum 28 (1966) 528-549; P. Th. Camelot, Ignace d'Antioche, Polycarpe de Smyrne. Lettres. Martyre de Polycarpe, Sources Chrétiennes 10 bis, Paris 1984, pp. 20-55.



Le sette lettere

Ignazio proveniva dall'ambiente pagano. Si convertì al cristianesimo e fu vescovo di Antiochia in Siria dall'anno 70. Durante il viaggio come prigioniero a Roma scrisse sette Lettere che, in tre diverse lunghe recensioni, sono giunte fino ai nostri tempi con l'aggiunta di altre, pseudoignaziane. Questo destino relativo alla loro tradizione, ha dato adito, fino a tempi molto recenti, a svariate discussioni sul reale numero delle Lettere; ma a tutt'oggi nessun tentativo di delimitazione ha potuto definitivamente affermarsi. In genere sono ritenute autentiche tutte e sette nella loro seconda recensione. Il viaggio, in conformità alla navigazione di quel tempo che era di solito di piccolo cabotaggio, si svolse lungo le coste dell'Asia Minore in direzione nord, fino alla Cilicia o alla Panfilia. Di qui il viaggio proseguì via terra, con una sosta a Filadelfia. Le deviazioni e i soggiorni dipendevano dagli altri obblighi della scorta. In Smirne essi si imbarcarono di nuovo toccando come successive stazioni la Troade e la greca Neapolis presso Filippi. Durante un lungo soggiorno a Smirne, i vescovi di Efeso, Magnesia e Trallo con delegazioni delle rispettive comunità cercarono Ignazio. Ad esse egli, di volta in volta, consegnò uno scritto diretto alle comunità. Egli, inoltre, si fece precedere a Roma da una Lettera alla comunità romana, alla quale aveva inviato un'ambasceria da Antiochia, contenente la preghiera di non intraprendere alcunché potesse impedire il suo martirio. Nella Troade, prima di riprendere il viaggio verso la Grecia, Ignazio scrisse tre altre Lettere a Filadelfia, alla comunità di Smirne e al suo vescovo Policarpo. In queste Lettere egli ringraziava per l'amichevole ospitalità e pregava di visitare la sua comunità di Antiochia, nel frattempo liberata dalla persecuzione, o di scriverle. Subì il martirio in Roma probabilmente nell'anno 107. Non ci sono altre informazioni sulla persona e la vita di Ignazio. Le Lettere del Vescovo di Antiochia, come è comprensibile per il loro contesto storico, sono semplici scritti d'occasione. Esse sono composte secondo antiche regole epistolografiche e retoriche, ma senza l'abituale articolazione e la sovrabbondante struttura. Ignazio nelle sue Lettere preannuncia alcuni tratti specifici della tradizione antiochena, in particolare modo sottolineando il realismo dell'umanità di Cristo e descrivendo concretamente la Chiesa, che ha Dio come vero pastore, è fondata sulla carità, e si unisce attorno al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi.



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