Riprendere a studiare per annunciare Cristo


Il diaconato in Italia n° 174
(maggio/giugno 2012)

SPECIALE


Riprendere a studiare per annunciare Cristo
di Lorenzo Bortolin


«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Le parole introduttive della Gaudium et Spes, promulgata da Paolo VI il 7 dicembre 1965, in chiusura del Concilio Vaticano II, aiutano ad identificare il diaconato permanente come chiamata e come servizio. Non si spiega diversamente che il numero dei diaconi aumenti in tutto il mondo (più 2,5% nel biennio 2008-09, secondo l' ''Annuario Pontificio 2011") e in particolare nella Diocesi di Torino.
Qui, in quarant'anni, nonostante i cambiamenti sociali, economici ed ecclesiali, nonostante la richiesta di una maggiore cultura di base (oggi almeno il diploma di scuola superiore), nonostante il progressivo aumento degli anni di formazione (da tre a sei), dei ritiri e delle convivenze, il numero degli aspiranti resta costante e quello degli ordinati aumenta: rispettivamente 26 e 179 al 10 gennaio 2012. Certo, 30 diaconi sono già tornati alla Casa del Padre, ma il dato è rilevante, specie se confrontato con quello di altre vocazioni ecclesiali. Il fatto è tanto più significativo perché sui 133 diaconi in attività, 120 sono sposati (oltre a cinque vedovi e otto celibi) e con figli, e tutti svolgono un'attività lavorativa (48) o la svolgevano (85). In altre parole, ai diaconi è chiesta una vita di comunione in famiglia prima che altrove, lo stare nel mondo (ma non essere del mondo), il riprendere gli studi talora dopo anni e l'essere economicamente autosufficienti.
Una conferma di quest'ultimo aspetto e del fatto che la "chiamata" avviene senza distinzioni sociali è data dall'ampio ventaglio professionale dei diaconi. Tra quanti oggi lavorano, ci sono un avvocato, un musicista, uno sportivo, due operai, due informatici, due imprenditori, cinque dirigenti, otto insegnanti, nove attivi in àmbito sanitario e 17 impiegati. Comunque, la presenza pastorale dei diaconi è capillare e proprio perché lavorano o sono in pensione, il loro servizio si svolge in quasi totale gratuità. Non basta: spesso i diaconi hanno più incarichi pastorali. Così, 127 sono collaboratori parrocchiali, 34 sono addetti in uffici della Curia e in altri servizi diocesani, 17 sono assistenti religiosi in ospedali, case di riposo e di cura, nove si occupano di carità a vari livelli (dalla Caritas diocesana alle Conferenze di San Vincenzo o alle mense dei poveri), sette svolgono servizio nei cimiteri di Torino, due sono formatori degli aspiranti diaconi e altro ancora. Inoltre, poiché per essere ordinati occorre avere 35 anni e se sposati, bisogna esserlo da almeno cinque, tutti i diaconi torinesi hanno superato gli "anta" d'età. Il più giovane, infatti, ha 41 anni, ma il meno giovane ne ha 91, e l'età media è di 66,5. Poi, a Torino, si è verificato un fatto più unico che raro: nel novembre del 1997 sono stati ordinati insieme un padre e un figlio, e quest'ultimo l'anno dopo è diventato sacerdote.
Ricevendo il sacramento dell'Ordine, il diacono permanente diventa "clericus" e quindi si impegna, tra l'altro, alla recita quotidiana della Liturgia delle Ore o, in caso di vedovanza, a non risposarsi. In compenso, come ha osservato una persona, il diacono sposato è l' ''uomo dei sette sacramenti". Essere diacono, comunque, significa imitare Gesù «venuto per servire e non per essere servito». Perché, come diceva il beato Charles de Foucauld: «l'importante non è ciò che uno dice o ciò che uno fa, ma ciò che uno è».

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