Testimoni di santità diaconale


Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)

CONTRIBUTO


Testimoni di santità diaconale
di Enzo Petrolino

Il dinamismo per accedere all'esperienza di Cristo e del suo mistero pasquale non è altro che il cammino di santità, vocazione universale di quanti sono stati immersi in Cristo (Rm 6,4), che hanno ricevuto l'impronta trinitaria e appartengono ormai a Colui che è per antonomasia il Santo, il «tre volte Santo» (Is 6,3). Il dono oggettivo della santità è offerto fin dal principio ad ogni battezzato, ma si traduce in un compito, in un ideale che deve orientare l'intera esistenza cristiana: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Tess 4,3).
La storia della Chiesa conferma da sempre questa verità con l'immensa schiera dei suoi testimoni, ma nell'ultimo cinquantennio è stato ribadito con profonda convinzione, a partire dal Concilio Vaticano II (LG 40: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità») e i nostri vescovi: «La Chiesa ha bisogno soprattutto di santi, di uomini che diffondono il buon profumo di Cristo con la loro mitezza, mostrando la consapevolezza di essere servi della misericordia di Dio, manifestatasi in Gesù Cristo» (Comunicare il Vangelo, 63).
Testimonianze di santità diaconale è il titolo monografico di questo numero della Rivista. Ma cos'è la santità? Chi è il santo? Beh, la Chiesa è «per fede creduta indefettibilmente santa» (LG 39). Perché Gesù - il solo Santo - «la congiunse a sé come suo corpo» (ib.). Tutti, dunque, sono chiamati alla santità. Lo Spirito Santo la comunica unendo a Cristo e, in lui, rendendo partecipi della vita divina. Nel concreto della vita, essa permea l'esistenza di una persona con tutta la ricchezza del suo essere non appena, con spontaneità e in libertà, si unisce a Dio accogliendone i doni vitali. C'è un'umanità santificata dal Mistero dell'Incarnazione. A questa "qualità" dell'umanità, ciascuno può (deve!) tendere. Senza indulgere a minimalismi o mediocrità.
Naturalmente, rimanendo nella particolare condizione esistenziale e storica in cui la Provvidenza s'è compiaciuta di incontrarlo. Se la santità è una, le forme sono svariate. Essa, d'altronde, è strettamente personale. «Le vie della santità sono molteplici e adatte alla vocazione di ciascuno» (cf. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte= NMI, 30-31). Siamo profondamente convinti che la Chiesa è guidata e sorretta dallo Spirito Santo, e anche consapevoli che, talora, i fedeli, a qualunque tipologia appartengano, ne sfigurano il volto con una esistenza scialba. Cristiani a parole, di fatto rendono irriconoscibile l'adorabile volto di Cristo. Chi, per ventura, dovesse o volesse farsi un'idea del cristianesimo a partire dal vissuto dei singoli e/o delle comunità, se ne ritrarrebbe confuso e dubbioso. «Nei momenti difficili della storia della Chiesa - ha detto Giovanni Paolo II- il dovere della santità diviene più urgente». E, quasi a togliere ogni possibile equivoco affermava che «la santità è vivere nello Spirito santo». Da parte sua papa Benedetto XVI afferma che «la Chiesa è santa, anche se i suoi membri hanno bisogno di essere purificati, per far sì che la santità, dono di Dio, possa in loro risplendere fino al suo pieno fulgore. Il Concilio Vaticano II mette in luce l'universale chiamata alla santità, affermando che «i seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi» (LG 40).
Oggi un serio impegno per nuova evangelizzazione richiede una comunità santa: diceva ai Romani Paolo «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno. Comportiamoci come in pieno giorno!». «Siate santi perché io sono santo». Bisogna, dunque, ripensare le radici biblico-teologiche della santità per camminare sui sentieri dell'uomo di oggi: santi per cambiare il mondo. Lumen gentium al cap. V afferma che santo è soltanto Dio. Egli comunica la propria santità agli uomini che la accolgono come dono vitale e che, perciò, partecipano della vita divina. È una santità di risposta. Sancisce il primato dell'essere sul fare. Ultimamente, il Verbo ha assunto la natura umana propter nos homines et propter nostram salutem. Egli è venuto perché gli uomini avessero la vita e in abbondanza (cf. Gv 10,10).
Allora c'è una sola tristezza: quella di non essere santi. Seguendo le Scritture, emerge l'ineffabile santità di Dio che, lungo la storia, s'è rivelata agli uomini chiamandoli, coinvolgendoli in un progetto di divinizzazione. Così, dall'esperienza di Israele che registra nel Levitico l'invito divino, «siate santi perché io sono santo», si passa all'esperienza di Mosé che ha la percezione, chiara e netta, della "separatezza" di Dio rispetto alle cose create. Ai profeti, voce di Dio fra gli uomini, che, via via, affinano l'educazione del popolo alla santità. Particolarmente la predicazione di Isaia e di Osea. Voci forti in Israele, sempre ondeggiante tra l'allontanamento idolatrico e il pentito ritorno a Yawhé. Per approdare alla rivelazione dopo l'evento pasquale di Gesù.
Se la santità è una, le forme per concretizzarla sono molteplici. Secondo i doni e gli uffici propri di ciascuno. Colui che, nell'ambito delle sue irripetibili caratteristiche, qualità e circostanze personali, si apre e corrisponde alla Grazia comunicata, vive conformandosi a Cristo; coloro che condividono, in modo profondo e personale, la vita e l'amore di Cristo, irradiano d'intorno il calore del suo amore e lo splendore della sua vita. A motivo della fragilità umana, questa santità di risposta è defettibile, come in germe. In attesa di possedere quella di Cristo nella Hierusalem coelestis. Il continuo anelare e penare del vissuto quotidiano deriva proprio dalla compresenza del divino e dell'umano nell'esperienza storica. Ogni impulso vitale comunicato da Cristo rafforza e conferma la beata speranza, il pignus hereditatis nostrae. La santità non è però una qualità individuale. Ognuno è chiamato come membro di un corpo. Da qui l'esigenza della dimensione ecclesiale: tutti siamo nella chiesa per aiutarci reciprocamente ad essere santi. E la chiesa non si limita ai viventi nel presente. Essa abbraccia tutti coloro che hanno già varcato la soglia del visibile e del caduco. Comprende anche coloro che non sono ancora ma sono già pensati ed amati dal cuore della Trinità.
Infine, la santità di risposta esige la dilatazione del cuore e della mente nell'esplicitazione concreta e fattiva verso tutta l'umanità ferita e dolorante. l'amore non è un sentimento romantico che induce dolci languori. È assimilazione del progetto di Cristo e corresponsabilità nella sua attuazione storica. Questo atteggiamento è fondamentale per essere cristiani. È fondamentale vivere il presente in tutti gli aspetti della vita. Attraverso la consapevolezza possiamo essere trasformati.
Ma come diaconi ci siamo santificati? Non fuggendo di fronte alle difficoltà. Strumenti utili: preghiera profonda, meditazione. Siamo santi quando riusciamo ad amare come Gesù. Lo specifico della santità diaconale? Stabilità dell'impegno ministeriale, serietà, cura verso i poveri. Infine, l'attenzione prioritaria verso la Parola, sia per la maturazione interiore che per quella sociale. Continuità nella vita liturgica e di preghiera. Il diacono non è se stesso se non è servo. Non risponde in pienezza alla sua vocazione di santità se non mette in opera la grazia di servire che ha ricevuto. Il dono diventa impegno, la santità sforzo di santificazione.
Il diacono si santifica servendo «i misteri di Cristo e della Chiesa» (LG 41). Questo significa che è portatore di un mistero che lo sorpassa, che è strumento di una Persona, di una comunità, di una causa, quella del Regno, del quale egli cerca di penetrare se stesso, di impregnarsi per esserne testimone fedele. Il diacono è chiamato a «servire il popolo di Dio» (LG 29), a sviluppare un ardente amore per la chiesa, per tutti i figli di Dio che sono, come lui, membri della grande famiglia del Padre di Gesù Cristo. La sua vita spirituale sarà forte di un desiderio di rispetto profondo di tutto e di tutti, di una volontà di comunione sincera che viene a capo di tutte le divisioni e di tutte le incomprensioni. Egli deve essere la presenza viva del Dio della pace, il servo della fraternità. Le caratteristiche per il diacono della "santità professionale"? La possiamo desumere dai consigli che Ietro dà a Mosé (cf. Es 18, 13-26). Il diacono deve servire prontamente, rettamente, equamente. I diaconi devono essere capaci, seri, rispettosi di Dio, amare la verità e non lasciarsi corrompere. La santità del diacono, attraverso la sua professionalità, la vita familiare e il compito ecclesiale assunto nell'obbedienza, percorrerà non cammini esoterici, ma le concrete, polverose, spesso buie e contorte strade dell'oggi per farsi carico, come buoni samaritani, dei loro fratelli. Finché il diacono cercherà con tutte le sue forze di stare con Cristo, non potrà mai separare la sua vita né dalla comunione con Lui, né dall'impegno per il mondo. La rottura tra Vangelo e cultura era per Paolo VI (EN 20) il dramma per eccellenza della nostra epoca. La spiritualità del diacono, alimentata da quello stare con Cristo, illuminerà la sua azione e lo renderà particolarmente capace di cogliere le sfide della storia, di essere partecipe della vita della "città", portando in essa il soffio vitale del Vangelo.
Ma quale santità? Non quella generica, ma il frutto di pazienza, condivisione, accettazione reciproca. Frutto di una eticità personale e sociale adamantina. Di un costante impegno nella preghiera e nello studio dei testi sacri. Quella che si caratterizza per la vita nello Spirito e, per suo tramite, nell'unione a Cristo. La santità specifica del diacono è quella propria della sua vocazione, ma anch'essa, come quella di ogni chiamata, segue la "misura alta" della proposta ordinaria di vita cristiana (NMI 31). Se essa è «un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre... (Ciò) significa porre sulla propria strada il radicalismo del discorso della montagna: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48)» (ib.).
La comunità parrocchiale, anche con tutti i suoi limiti, resta espressione della struttura fondamentale di quella chiesa che si concretizza e si manifesta nel tempo e nello spazio e che si richiama a Gesù e agli apostoli, la cui missione e continuità è resa visibile nel vescovo. La parrocchia è, quindi, un luogo ineludibile di esercizio e verifica della santità diaconale. Non l'unico ma, realisticamente, quello più concreto, alla portata di tutti i diaconi. Ancorché movimenti, associazioni, gruppi, cammini e quant'altro costituiscano, dal dopo-Concilio, una realtà importante e significativa, rimane vero che la parrocchia è una fucina insostituibile.
La parrocchia non è un museo per la custodia delle belle tradizioni, non è un ufficio anagrafico per segnare i nati e i morti, non è un supermercato del sacro. Essa è e resta il luogo privilegiato dove la Parola di Dio risuona con autorevolezza e con accenti sempre nuovi. È il luogo dove ci si converte, dove ci si aggrega alla comunità dei credenti come nel giorno della Pentecoste. Allora, perché è in crisi? Il cahier de doléance annovera: ufficio di anagrafe religioso, luogo di cerimonie tradizionali a scadenze fisse. Per i battesimi e per i matrimoni, la preoccupazione maggiore sembra essere la data per fissare il ristorante. Problemi grossi sono il fotografo, i fiori, i documenti. Per le esequie, il passaggio della bara in chiesa, prima della tumulazione, sembra far parte semplicemente del programma cerimoniale previsto dalle pompe funebri. Ancora: fuga dei ragazzi dopo la cresima, spesso anticipata a dopo la prima comunione. Nonostante la testimonianza di tanti buoni cristiani, la parrocchia continua ad essere un ente per l'erogazione di servizi religiosi. Di fronte a questa sbiadita realtà la tentazione è di sopravvalutare altre forme di aggregazione che suscitano una forte identità cristiana, che danno un forte senso di appartenenza.
Oggi il mondo è cambiato. Si tratta di ritrovare la vera identità del cristiano che non è un semplice cliente di manifestazioni religiose ma un attivo testimone di Cristo. La parrocchia è chiamata a concretizzare, nel tempo e nello spazio, la presenza amorosa di Dio che cerca l'uomo. Occorre partire dalla santità o si batte l'aria. Il termine "santità" non è privo di ambiguità. La tradizione che sta alle nostre spalle, talora, ha deturpato il vero volto dei santi. È necessario riscoprire un più corretto ed aggiornato volto della santità. Le "qualità" che la CEI propone per tutti: autenticità, prossimità, amore per la verità, rispetto delle verità scientifiche, anelito alla trascendenza e così via. Si possono leggere nei numeri dal 32 al 39 del documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
Esortano i vescovi a porsi in ascolto della cultura del nostro tempo per coglierne i semina verbi (ib., n 34). Quindi è santo chi si pone in ascolto di questo mondo. Per salvare il mondo, prima, bisogna amarlo come lo ama il Padre, non indottrinarlo. Il mondo non è opera del demonio. Abbiamo ancora la mentalità della supplenza non quella del lievito. La vita del diacono non è spezzettata e tirata tra gli impegni religiosi e gli impegni profani, come se soltanto i primi potessero essere strumenti di santificazione. È nel cuore del suo lavoro quotidiano, della sua presenza nel mondo d'oggi che si esplica la santità del servo. Non deve trascurare gli impegni umani né liberarsi delle attività terrene agendo come se fossero estranee alla sua vita di fede (cf. GS 43). Egli cerca di purificarsi dal male, di staccarsi dal peccato e dagli errori del mondo, «non avendo pensieri se non per ciò che è vero, giusto e onorevole» (LG 41). Ma non disprezza il mondo nel quale vive, facendo tutto, dentro questo mondo, «per la gloria e l'onore di Dio» (LG 41). Rende una la sua vita nell'attaccamento a Cristo Servitore, in tutte le situazioni e in tutti i luoghi, armonizzando la sua preghiera e il suo impegno nel mondo e nella chiesa.
La santità, dunque, è passione per la vita, per il bene. Come Dio, per manifestare la sua santità, si è fatto uomo - Mistero dell'Incarnazione - così il santo (diacono) deve farsi "uomo", "donna" in mezzo ai fratelli. La triplice diaconia della Parola, della liturgia e della carità determina il contorno preciso della santificazione del diacono. È all'interno della missione diaconale che egli vivrà la comunione concreta con il Cristo Servo, sorgente della vita che anima la sua stessa animazione. Trasparenza di Cristo Profeta, il diacono nutre la sua vita della Parola che predica. Servo della Parola (cf. Lc 1,2), in essa trova la presenza del Verbo che è «insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione» (DV 2).
Partecipando al sacerdozio di Cristo, il diacono offre come lui al Padre il sacrificio della sua vita. Impregna la sua vita di una preghiera assidua (cf. LG 41), preghiera tesa a fare la volontà del Signore. «Parla, Signore, il tuo servo ascolta» (1Sam 3,9). La sua partecipazione al sacrificio eucaristico e agli altri sacramenti fanno di lui il servo della Tavola di Dio. Pertanto deve guardarsi da tutti i vizi (cf. LG 41). Distribuendo il pane di vita, diviene portatore della carità di Dio in stretto legame con il sacrificio offerto. La sua spiritualità trova nell'eucaristia una fonte inesauribile. «Infatti, nella santissima eucaristia è racchiuso tutto il tesoro spirituale della chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata nello Spirito Santo, dà la vita agli uomini...» (PO 5). Poiché è portatore del Pane di vita, il diacono è nello stesso tempo portatore del pane ai poveri. Sull'esempio di Cristo Pastore che dà la sua vita per le pecore, egli vive un impegno caritativo deciso, una carità senza calcolo e senza discriminazioni. È il servo della carità e trova in essa la piena fioritura della sua propria carità, del suo amore per Gesù Cristo presente nei più piccoli dei suoi fratelli (cf. Mt 25,40).
Però la santità diaconale si manifesta, fontalmente, nella celebrazione della Divina Liturgia. La Celebrazione non è cerimonia, devozione o tassa da pa gare al Padreterno. Le devozioni sono utili ma la celebrazione della Divina Liturgia è il luogo dove Dio comunica la sua santità e ci conforma a lui. «La comunicazione del Vangelo - dicono i vescovi - si attua in primo luogo facendo il possibile perché, attraverso la preghiera liturgica, la parola del Signore, contenuta nelle Scritture, si faccia Evento». La celebrazione della Divina Liturgia è la palestra per diventare diaconi santi.
La parrocchia è la dinamis della santità. La carità e la testimonianza ne restano il linguaggio fondamentale in ogni tempo e luogo. In questo percorso, la vocazione speciale alla diaconia pone il chiamato accanto ai suoi fratelli a testimoniare, sostenere, incoraggiare, ricercare insieme in maniera critica, lasciando riplasmare se stesso creativamente dal mistero di Cristo, in un indispensabile sforzo di "appropriazione" della fede. È un po' come cercare e riconoscere l'essere stati amati per primi (1Gv 4,10.19), con quella consapevolezza che faceva sussultare Paolo: «Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me» (Gal 2,20). Infine un diacono sposato vivrà una santificazione scaturente dalla grazia del suo diaconato e dalla grazia propria del sacramento del matrimonio. Il diacono sposato vive la sua santificazione in comunione con sua moglie che gli è compagna nel suo progetto di santità. I due esprimono insieme attraverso una vita coniugale esemplare l'unione mistica di Cristo e della chiesa. Essi sanno di essere «corroborati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, nello Spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la loro perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio» (GS 48).
Il diacono sposato vive dunque una spiritualità che coniuga il matrimonio con l'ordinazione, spiritualità sponsale e insieme diaconale. Non può realizzare la pienezza della sua vocazione se trascura di sviluppare tutte le ricchezze della grazia matrimoniale se non cerca di vivere intensamente i valori della famiglia cristiana che si stringe a Dio. La sua spiritualità diaconale s'incarna in una vocazione coniugale e familiare che comanda che il diacono sia in primo luogo, in quella "chiesa domestica" che è la famiglia, il testimone vivente della diaconia di Cristo.
«La santità della Chiesa - dice ancora il papa - dipende essenzialmente dall'unione con Cristo e dall'apertura al mistero della grazia che opera nel cuore dei credenti. Per questo vorrei invitare tutti i fedeli a coltivare un'intima relazione con Cristo, Maestro e Pastore del suo popolo, imitando Maria, che custodiva nell'animo i divini misteri e li meditava assiduamente» (cf. Lc 2,19).
Il diacono riconosce in Maria, la madre del Servo, l'umile serva scelta da Dio, piena di grazia, che accoglie la parola dell'angelo, che medita nel suo cuore la Parola, che fa la volontà del Padre. Ella «è figura della chiesa nell'ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (LG 63). È modello della chiesa serva del mondo, in travaglio nella generazione di nuovi figli di Dio nella fede. «la Vergine fu modello nella sua vita di quell'amore materno del quale devono essere amati tutti quelli che nella missione apostolica della chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini» (LG 65). Il diacono trova in Maria l'ispirazione di una vita interamente consacrata al servizio di Dio e del mondo.
La spiritualità del diacono riposa sul suo essere servo a immagine di Cristo Servo. È un cammino «secondo la verità del Signore che si è fatto Servo di tutti» (LG 29). Contempliamo allora Maria, che occupa un posto centrale nel mistero della Chiesa, come modello unico di santità diaconale.


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