"Quale diacono per quale chiesa?"


Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)

FORMAZIONE


"Quale diacono per quale chiesa?"
di Gianfranco Girola

Accingendomi a scrivere questo contributo, ho ripensato a quel sabato pomeriggio dell'autunno 1986, quando, spaesato e perplesso, ho fatto il mio ingresso nella famiglia diaconale, che mi accoglieva per la prima volta come aspirante dell'anno propedeutico. Nello stesso tempo ho ripensato alla mia ultima esperienza della prima accoglienza dei nuovi aspiranti, vissuta come formatore nell'autunno 2009, e ho cercato di analizzare in un unico colpo d'occhio i due momenti. Il primo commento è stato: quanta strada! Un'analisi più attenta, però, ha messo in evidenza, relativamente alla formazione al diaconato, un cammino percorso nella sua crescita, nella sua maturazione, conservandone però i tratti fondamentali e introducendo le novità sempre in continuità con il passato, senza creare alcun strappo in avanti e senza attardarsi in nostalgie e rimpianti, come può succedere quando si ha a che fare con una realtà in continuo divenire.
Il primo dato che può essere messo in evidenza, come costante in tutti questi anni, è la serietà della formazione: sia da parte dei formatori, che hanno sempre cercato di adeguarla alle nuove situazioni della Chiesa torinese che si venivano determinando, sia da parte degli aspiranti, che hanno accettato, qualche volta con sacrificio, ma sempre con fiducia e disponibilità, le novità di volta in volta introdotte. Con il termine "formazione" si vuole indicare tutto il complesso delle attività che hanno segnato e segnano il cammino vocazionale degli aspiranti verso l'ordinazione diaconale: si tratta, quindi, di formazione umana, spirituale, teologica, pastorale. Le implementazioni via via introdotte nelle attività formative hanno sempre tenuto conto di tutti gli aspetti della formazione: l'ampliamento della formazione teologica, con il conseguente aumento delle ore di lezione, è sempre stato accompagnato da un maggior numero di occasioni di spiritualità, quali ritiri, periodi residenziali, ecc. Riassumendo, si può concludere che la formazione ha sempre cercato di rispondere alla domanda "quale diacono per quale Chiesa?", in modo da soddisfare sempre, nel modo più adeguato possibile, le mutate esigenze e situazioni della Chiesa. Inoltre i vari aspetti della formazione sono sempre stati concepiti e attuati in modo da integrarsi a vicenda e dare unitarietà a un cammino formativo costituito in modo omogeneo e integrato.
In questi anni si sono anche verificati importanti mutamenti sia sociali, sia ecclesiali e questi hanno avuto ripercussioni sulla formazione, determinando una maggior attenzione nei confronti dei singoli aspiranti e un maggior confronto con i loro parroci e le loro comunità. Per quanto riguarda il contesto sociale, si cita per esempio l'alienazione che possono produrre i ritmi di vita enormemente accelerati rispetto al passato e la precarietà del lavoro. La stessa vita di coppia è più difficile, in quanto le persone dispongono di minori risorse fisiche, mentali e di tempo, con conseguente maggiori difficoltà di dialogo e comunione. Per quanto riguarda il contesto ecclesiale, rispetto al passato la vita delle parrocchie e delle comunità ecclesiali in genere è molto più articolata e richiede maggiori energie: gli aspiranti sono sempre più coinvolti nella vita della comunità di riferimento, tenendo conto che molte volte persone e situazioni devono essere seguite in modo capillare.
La formazione è stata anche adeguata alle indicazioni suggerite o richieste dagli arcivescovi che sono succeduti al cardinal Pellegrino, con l'aiuto anche della maggior esperienza che si andava accumulando: con il cardinal Ballestrero è cominciato un percorso atto a determinare l'evoluzione del diaconato passando da una fase carismatica iniziale, per altro indispensabile, a una fase di maggior istituzionalizzazione, determinando meglio i criteri di discernimento e arricchendo con alcuni insegnamenti nuovi la formazione dottrinale; con il cardinal Saldarini è stato portato a compimento questo cammino di istituzionalizzazione e sono stati definiti in modo sistematico:
• il piano di studi per la formazione teologica, con ulteriore ampliamento sia del numero di insegnamenti, sia dei programmi, rendendo così necessario l'aumento a cinque anni, dai quattro precedenti, del cammino vocazionale formativo;
• la struttura della formazione spirituale costituita da un programma quinquennale di argomenti e tematiche su cui focalizzare il cammino anno per anno;
• le figure dei diaconi coordinatori (tutor), uno per il biennio propedeutico e uno per il triennio teologico, la cui presenza ha reso possibile il seguire passo passo, in modo capillare e personale, con continuità, i singoli aspiranti;
• momenti specifici di formazione per le spose;
Con il cardinal Poletto sono state consolidate le nuove situazioni, implementando e perfezionando i cammini formativi, sia dal punto di vista spirituale, sia teologico. A fronte di questa progressione realizzata nel progettare i cammini formativi, la costante per eccellenza è sempre stato lo spirito di comunione che, per grazia di Dio, ha caratterizzato il cammino e la vita degli aspiranti: una vera famiglia in cui condividere le gioie, le speranze, le ansie, le sofferenze, in cui confrontarsi nei momenti di difficoltà e di scelta, in cui trovare gli stimoli e gli esempi per diventare "diaconi di comunione" nella comunità ecclesiale. Si è sempre cercato di conservare e trasmettere questa importante eredità, consegnata da chi ha cominciato la realtà del diaconato permanente a Torino, pur adeguandola alle esigenze nuove sorte nel corso di questi anni.


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