Tra l'imposizione delle mani e la preghiera consacratoria


Il diaconato in Italia n° 175
(luglio/agosto 2012)

IL PUNTO


Tra l'imposizione delle mani e la preghiera consacratoria
di Vincenzo Testa

Per sant'lgnazio di Antiochia una Chiesa particolare senza vescovo, presbitero e diacono sembra impensabile. Egli sottolinea come il ministero del diacono non è altro che «il ministero di Gesù Cristo, il quale prima dei secoli era presso il Padre ed è apparso alla fine dei tempi». Così si legge al n. 2 delle "Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti".
Chiedersi oggi se tutto questo sia ancora creduto, voluto e sperato è un dubbio che non è più possibile eludere se vogliamo restare fedeli all'impegno e alle promesse che hanno preceduto l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione con la quale ciascun diacono ha ricevuto il ministero dal proprio vescovo. Viviamo tutti, per davvero, tempi complicati, momenti difficili, situazioni complesse in un contesto assolutamente nuovo. Interrogarsi oggi sui diaconi nella Chiesa mi è sembrato e mi sembra un'urgenza ineludibile per cercare di dare un senso alla nostra vocazione diaconale. Trascinarsi stancamente dentro i giorni, i mesi e gli anni vagando senza una meta credo sia qualcosa che è umanamente atroce.

Impegni e promesse
Partire o ripartire dalla preghiera di ordinazione può essere un modo per riflettere insieme sul senso di una chiamata che ci ha interpellato e alla quale, credo, consapevolmente abbiamo risposto con la coscienza libera. Cosa ci è stato chiesto? Come lo stiamo realizzando nella nostra vita personale? Sono due semplici domande che attraversano il nostro cuore e la nostra mente. Due domande martellanti che esigono una risposta sì personale ma anche della Chiesa. Questa nostra bella e amata Chiesa cosa ci ha chiesto e come vede, spera e vuole che noi lo realizziamo?
Le risposte personali ognuno di noi è chiamato a darle in coscienza ma quella della Chiesa sono importanti e necessarie per ridare forza e vigore al nostro ministero. Proviamo a ripensare al giorno della nostra ordinazione. La prima cosa che il vescovo ci ha chiesto è quella di manifestare davanti a tutto il popolo di Dio la volontà di assumerne gli impegni. Ogni vocazione, infatti, porta con sé il dovere di assumersi degli impegni che sono connaturati con la risposta positiva che si sceglie dì rendere pubblica. Le risposte che abbiamo dato hanno un alto valore sia per noi sia per la Chiesa ma lo hanno, soprattutto, verso il Signore. È a lui, Padre di ogni Grazie che abbiamo dato il nostro consenso. A Lui abbiamo promesso, in definitiva, di essere fedeli. Gli impegni sono appunto una manifestazione di volontà con la quale, liberamente e in piena coscienza abbiamo assicurato che li avremmo adempiuti e onorati. Spesso, troppo spesso, invece, ci dimentichiamo di questo momento così denso di significato. È un momento a partire dal quale chi ha detto il proprio "Sì, lo voglio" si è assunto una serie di impegni che hanno cambiato la sua vita e l'hanno orientata in maniera ancora più forte a servizio del Signore.
La prima cosa che ci è stata chiesta è se volevamo essere consacrati. Si tratta di riconoscersi lievito al servizio e essere consacrati al ministero nella Chiesa è un essere lievito al servizio nella Chiesa. Stupendo, straordinario. Se ogni diacono volesse dare senso e valore a questa consacrazione con l'impegno nella Chiesa ci sarebbe, certamente, qualcuno in più che diventa strumento capace di far crescere il servizio nella Chiesa. Il servizio diventerebbe la dimensione principe attraverso la quale testimoniare la nostra fede. D'altra parte Gesù stesso si è definito "servo", ossia diacono. Ma Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, sì uomo ma anche Dio.
A noi diaconi, uomini fragili, deboli, spesso insicuri, paurosi e incapaci di costanza chi potrà dare questa forza? Tutto avviene per l'imposizione delle mani del vescovo «con il dono dello Spirito Santo». Il solo pensiero che lo Spirito Santo, attraverso le mani del vescovo sia penetrano nel nostro animo dovrebbe scuoterei fino alle midolla, dovrebbe farci venire i brividi. Lo Spirito Santo che viene ad abitare nel nostro cuore e che trasmette forza e coraggio alla nostra anima per essere a servizio nella Chiesa.
Essere "servi" e non altro. Essere persone consacrate che liberamente, volontariamente hanno risposto "Sì, lo voglio" è il primo impegno che ci siamo assunti. Quante volte lo abbiamo disatteso? Quante volte lo abbiamo dimenticato? Quante volte abbiamo messo al primo posto altro? Subito dopo ci è stato chiesto se eravamo disponibili ad esercitare il nostro ministero con umiltà e carità a servizio dell'ordine sacerdotale e del popolo di Dio. Umiltà e carità sono le due coordinate che devono guidare l'esercizio del ministero. Quanto più aumenta l'umiltà tanto più deve crescere la carità. Ciò permette al diacono di svolgere il proprio servizio in aiuto all'ordine sacerdotale e a servizio del popolo cristiano. Ma cosa significa essere umile per un diacono? Credo che la prima caratteristica sia non essere superbi e cercare di entrare in relazione con gli altri senza credersi più bravi, senza pensare di essere migliore. Anzi riconoscersi umili aiuta a comprendersi meglio a conoscere di più se stessi e a indirizzare meglio la propria vita quotidiana e di relazione con gli altri. L'umiltà e la carità, cioè l'amore per il prossimo, esprime così attraverso comportamenti coerenti e sentiti nel profondo se il tutto è governato da una spiritualità che si muove seguendo la "voce" del Signore che ci chiama e chiama sempre… IL primo ambito verso il quale il diacono è chiamato a vivere il suo ministero con queste caratteristiche è l'aiuto all'ordine sacerdotale. È un compito complesso e che spesso ha generato difficoltà soprattutto perché si manca di umiltà e di carità nel senso appena accennato sopra. Essere di aiuto significa, quindi, accettare di vivere il proprio ministero con quella cura e quel modo di essere capace di far trasparire l'amore di Dio e kenosi di Cristo del quale, il diacono, deve saper imitare tutto.
Verso il popolo di Dio, poi, l'esercizio del ministero esige ancora più attenzione e più cura. Le relazioni vanno costruite collocandosi in posizione da favorire l'incontro, la conoscenza e lo scambio reciproco perché possa nascere un rapporto vitale vero e profondo capace di mostrare, con la vita, la vita di Cristo che umile e pieno d'amore ha dato la sua per la salvezza del mondo. Ma non basta. Il vescovo ci ha chiesto se volevamo custodire in una coscienza pura il mistero della fede, per annunziarla con le parole e le opere secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa.
Custodire è un verbo che evoca alla memoria non il possesso ma il tenere qualcosa non per sé ma per un obiettivo alto e anche a favore degli altri. Una custodia che è cura amorevole, che è come accarezzare una cosa preziosa e assolutamente indispensabile. Se custodire la "fede" è proprio questo curare con amore, questo accarezzare con dolcezza, questo tenere tra le mani un bene così prezioso che è più importante della nostra stessa vita, il diacono deve avvertire tutta l'urgenza e tutta l'importanza solenne di questa custodia e, quindi, tenerla in un luogo sicuro, protetto e non attaccabile dalle impurità. Ecco allora che il luogo più intimo a noi stessi, la nostra coscienza, deve custodire il grande mistero della nostra fede per poter compiere la missione alla quale il diacono è chiamato.
Il vescovo ha poi chiesto se volevamo custodire e alimentare lo spirito di orazione adempiendo all'impegno della Liturgia delle Ore. La preghiera è l'espressione più autentica del dialogo con il Padre della vita e della storia, con il creatore del cielo e della terra, con Colui il quale dà senso alla nostra vita. Pregare è, quindi, l'espressione più autentica dell'essere uomo e donna, dell'essere figlio e sentirsi fratello, della vita che ci è stata donata per compiere il disegno di Dio. L'impegno del diacono nell'orazione anche attraverso la Liturgia delle Ore, che è la preghiera della Chiesa è tutto questo e molto di più ancora; è un sentire di essere parte di un tutto, dell'unico grande piano di salvezza pensato dal Padre. Pregare, perciò, è una dimensione costitutiva dell'esistenza con la quale rendiamo grazie a Dio e invochiamo la sua costante vicinanza perché ogni nostra azione, ogni nostra decisione (anche piccola) trovi il senso in Lui. La preghiera, quindi, è la vita che si dispiega nel mondo e che impregna il mondo di una presenza Altra capace di trasformare l'invisibile in visibile; capace di farci toccare concretamente ogni cosa sapendo che è dono del Padre per noi che siamo figli; capaci di ascoltare parole di vita eterna così come il Figlio ce le ha trasmesse. Senza la preghiera la stessa vita apparirà vuota, sempre bisognevole di altro, inappagante e inutile. La preghiera, fatta di ascolto silenzioso, di dialogo filiale, di parole appena sussurrate è centro di una esistenza piena e intensa dove tutto assume, finalmente, un senso. Bello!!! Intensamente bello!!! La preghiera, perciò, è alimento quotidiano di ogni istante della vita, dimensione vera di una esistenza che vuole realizzarsi come un inno al Creatore e con il Creatore.
Lo spirito di orazione, quindi, dona pace, serenità, gioia e speranza e trasforma ogni cosa rendendola stupenda e meravigliosa collocando i nostri passi nel giardino più bello che abbiamo mai visto. Il diacono è, allora, un uomo di preghiera con il popolo insieme al quale si fa voce e al quale contribuisce a dare voce sostenendolo, spronandolo e guidandolo perché lo spirito di figliolanza possa crescere fino a diventare, per ciascuno, una dimensione costitutiva dell'essere. Il diacono prega per la Chiesa, per le sue necessità, per tutti i suoi membri, per la sua santità e perché viva la missione per la quale è stata voluta. Il diacono prega per il mondo intero, per ogni uomo e per ogni donna, per tutte le necessità materiali e spirituali e perché tutto intero orienti il suo cammino secondo la volontà di Dio. Pregare, quindi, nello Spirito Santo, è un bisogno iscritto nel cuore di ogni persona e il diacono è chiamato a testimoniare nei modi, nei tempi, nei luoghi e con uno stile di semplicità questa dimensione di verità profonda, questa necessità autentica che lo caratterizza e ne segna un tratto indelebile della sua missione.
A questo punto, il vescovo ci ha chiesto se volevamo conformare la nostra vita a Cristo stesso. Abbiamo costantemente bisogno dell'aiuto di Dio. Il suo costante sostegno è assolutamente necessario; la debolezza e la fragilità dell'uomo e della donna, sono realtà che possiamo cercare di superare solo con il suo aiuto e, conformare tutta la nostra vita a Lui, diventa un obiettivo altissimo da raggiungere. Il suo aiuto, perciò, va chiesto, invocato e raccolto con tutte le nostre forze perché la nostra vita di fede possa crescere e svilupparsi determinando nella vita quotidiana quella trasformazione che ci unisce sempre di più al suo essere e alla sua volontà suprema. Il diacono in questa fase del rito di ordinazione esprime proprio questa volontà che sa bene non essere sufficiente e, quindi, invoca l'aiuto di Dio senza del quale conseguire la meta diventa, per davvero, una cosa impossibile.
Il vescovo, però, ricorda anche una realtà straordinaria. Il diacono sull'altare sarà messo a "contatto" con il corpo e il sangue di Cristo. Si tratta di una realtà concreta, visibile nei segni e capace di toccare ragione ed emozione fino a far vibrare le corde del cuore. Il corpo e il sangue di Cristo è un "fatto" che lascia senza parole e fa viaggiare il pensiero verso mete indescrivibili e così desiderabili che la vita assume un significato tutto nuovo. Essere in contatto con il mistero più straordinario che Gesù ci ha consegnato è un "privilegio" unico e una responsabilità enorme che possiamo cogliere solo nell'umiltà di gesti ordinati, semplici, profondi. Toccare l'altare e la tovaglia sui quali viene deposto il corpo e il sangue di Cristo deve far tremare non certamente di paura ma di timore per l'incredibile verità che si manifesta e alla quale il diacono è chiamato a partecipare.

Una promessa
Giunge a questo punto il momento nel quale il vescovo ci chiede di promettere a lui e ai suoi successori filiale rispetto e obbedienza. Rispetto e obbedienza, non appaiono in questo tempo, atteggiamenti molto condivisi eppure, al diacono, è chiesto di rendere pubblica questa promessa. Sembra una rinuncia ad una prerogativa di libertà; sembra una deminutio alla quale si vuole sottoporre l'uomo; sembra la sottomissione ad un padrone. Eppure, è molto, ma molto di più. È il riconoscimento di una figliolanza spirituale al vescovo della propria ordinazione e a tutti i successori come segno visibile, concreto, vero e profondo di una fede che vive della volontà di Dio. Una volontà che si fa strada attraverso persone, situazioni e fatti che guidano i nostri passi nella direzione del Padre che mai potrà chiamarci a vivere cose che non sono per il nostro bene. Il diacono è, quindi, chiamato ad evitare critiche sterili, osservazioni, giudizi vani che non sono dettati da una logica evangelica, scrutando, invece, i segni dei tempi da vivere nel rispetto e nell'obbedienza autentica al proprio vescovo. Questo è un principio assoluto in quanto, tra l'altro è anche il cuore, l'orecchio e la bocca del vescovo e, quindi, a maggior ragione ha una responsabilità e un dovere ancora più forte da vivere nella concretezza di gesti, parole e azioni purificate dall'azione dello Spirito.
Siamo arrivati al momento nel quale il vescovo pronuncia queste parole: «Dio, che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento». A questo punto, il vescovo, concede il via libera alla consacrazione diaconale che attraverso l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione si realizza. Ed ecco il momento centrale, nel quale tutto avviene e tutto si compie. Si procede, quindi, alla imposizione delle mani e alla preghiera di ordinazione. Il vescovo chiede la presenza e l'assistenza di Dio. Da Lui che è onnipotente discende ogni grazia ed è Lui che dispensa ordini e ministeri.
È il Padre che vive in eterno che dispone e rinnova ogni cosa; è Lui che, con il suo amore, provvede al bene dei suoi figli in ogni loro necessità. È il Padre che, attraverso la Parola del Figlio, realizza nella storia il suo disegno di salvezza per l'uomo; è Lui che guida la storia verso la meta finale nella quale saremo tutti in tutto. È il Padre che, nello Spirito Santo, ha formato la Chiesa che Paolo ha descritto come il Corpo di Cristo, dotata di carismi che si esprimono attraverso varie membra. Ora il nuovo tempio si realizza anche nei tre gradi del ministero del quale il diaconato è sì il più basso ma anche quello che Gesù stesso ha detto di essere venuto a fare. È il Padre che, sempre attraverso lo Spirito Santo, ha ispirato gli Apostoli a scegliere alcuni uomini, «stimati dal popolo come collaboratori nel ministero». Non sono i migliori; non sono i più bravi; non sono i più intelligenti; non sono i più colti. No, sono semplicemente, «uomini stimati» senza altra caratteristica se non quella - puntualizzerà San Paolo nella prima Lettera a Timoteo - di essere «dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti a molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò - prosegue San Paolo - siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi alloro servizio».
Sempre gli Apostoli, ricorda la preghiera di ordinazione, affidarono a questi «uomini stimati», il servizio della carità. Un servizio che ha lo scopo di aiutare e promuovere la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Il servizio dei diaconi, quindi, è un servizio che deve aiutare il popolo di Dio perché ciascuno possa esercitare, in spirito di comunione, il suo carisma. Dopo tutte queste premesse e chiarificazioni ecco che il vescovo chiede al Padre di ascoltare la preghiera che Egli sta elevando e a guardare con «bontà» questi figli che la Chiesa, attraverso di Lui, sta consacrando come diaconi «perché servano al tuo altare nella santa Chiesa». A questo punto supplica il Signore: «effondi in loro lo Spirito Santo, che li fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compiano fedelmente l'opera del ministero».
Ma qual è il compito che viene loro affidato? Ai diaconi viene richiesto di essere «pieni di ogni virtù», sinceramente caritatevoli verso i poveri, gli ultimi, verso quanti vivono il bisogno, verso i deboli, verso quelli che alcuni, oggi, chiamano "i niente". Ai diaconi è richiesta l'umiltà nel servizio, la rettitudine nelle azioni e la purezza di cuore e, poi, di essere vigilanti e fedeli nello spirito. In questa circostanza costitutiva e fondativa per quanti sono chiamati al ministero diaconale, il vescovo, ricorda a noi ma anche al popolo di Dio riunito che i diaconi debbono essere un esempio vivo e autentico di vita, «generosa e casta» e che questo esempio «sia un richiamo costante al Vangelo» capace di suscitare in tutto il popolo di Dio degli imitatori e, cioè, altri consacrati al diaconato. Infine, il vescovo, auspica che i diaconi restino forti nella fede perseverando in essa, tanto da essere «immagine» di Gesù «che non venne per essere servito ma per servire» fino a conquistare con il Cristo la «gloria» del regno.


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