Anno C - 4a domenica di Pasqua


Enzo Bianchi
OGGI SI COMPIE PER VOI LA SCRITTURA
Il vangelo festivo (Anno C)

Edizioni San Paolo, 2009


Anno C - 4a domenica di Pasqua

• Atti 13,14.43-52 • Apocalisse 7,9.14b-17 • Giovanni 10,27-30

A IMMAGINE DEL PASTORE

Stiamo vivendo il tempo pasquale con una speciale contemplazione di Gesù risorto da morte: egli è l'Agnello che sulla croce è stato sgozzato (cfr. Ap 5,6.9.12; 13,8), ma con la resurrezione è diventato il Pastore, e come tale guida ancora la sua comunità, nutre le sue pecore attraverso nuovi pastori da lui voluti e donati al suo gregge. Sì, Gesù è il Signore vivente che, come «Pastore dei pastori» (1Pt 5,4) sta tra il Padre, di cui è Figlio, e i credenti in lui, il suo «piccolo gregge» (Lc 12,32).

Gesù rivela questo nel tempio di Gerusalemme, nei giorni in cui si celebra la festa di Hanukkah o della Dedicazione, quella in cui gli ebrei ricordano la ri-santificazione del tempio che era stato profanato da Antioco IV Epifane. Nel tempio Gesù aveva già fatto un gesto significativo: l'aveva purificato, scacciando da esso i venditori e gli animali destinati al sacrificio (cfr. Gv 2,13-22). Allora era sorta la domanda: «Con quale autorità fai queste cose?». Ora, analogamente, i capi dei giudei gli chiedono: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Ma Gesù risponde loro mettendo in evidenza la difficoltà a svelare la sua identità a quanti non credono in lui, a quanti non vogliono vedere le sue azioni come azioni di Dio: insomma, a quelli che non sono sue pecore (cfr. Gv 10,25-26)...

E così emergono la figura di Gesù come Pastore e quella dei credenti in lui come pecore. Qual è il rapporto, il legame tra Gesù e i credenti in lui? Egli stesso lo dice con chiarezza: le pecore ascoltano la sua parola fino a riconoscere la sua voce, quindi si affidano a lui e lo seguono con fiducia e sicurezza, dovunque lui le conduca. Ascolto e sequela sono ciò che è essenziale per diventare credenti in Gesù, per essere coinvolti nella sua vita, per far parte della sua comunità: solo attraverso un ascolto obbediente e una sequela perseverante si può avere con Gesù una comunione di vita profonda e duratura. Ma questo legame delle pecore con il Pastore si interseca con la conoscenza che Gesù ha delle pecore: egli le conosce una a una, le chiama per nome (cfr. Gv 10,3) e, precedendole, apre loro il cammino verso pascoli abbondanti (cfr. Gv 10,9). Non solo, ma questo Pastore che è Gesù dà la sua vita per le pecore (cfr. Gv 10,11.15.17), in modo che esse abbiano la vita eterna, non siano strappate dalla sua mano e non vadano mai perdute.

Questo esercizio pastorale - si noti bene - avviene nella relazione del Pastore con l'intero gregge e con ciascuna delle pecore. Dovrebbero ricordarlo i pastori della chiesa: se infatti il loro ministero non è vissuto come la relazione quotidiana di chi sta «in mezzo» (Lc 22,27) alla comunità, essi finiscono per diventare dei funzionari... Purtroppo ciò accade sempre di più nella chiesa, e così i credenti, le pecore, si sentono sempre di più organizzati in gregge, impegnati in svariati servizi, trattati come «militanti», ma soffrono in realtà di mancanza di rapporto e di comunicazione con il pastore. Ogni relazione autentica, invece, si nutre innanzitutto di presenza, poi di ascolto, comunicazione, amore, cura e dedizione, fino al dono della vita. Sono questi gli atteggiamenti con cui va vissuta la pastorale, se non si vuole che essa scada a mera burocrazia, a un impegno da funzionari.

Se il pastore ha con le pecore la relazione vissuta e insegnata dal «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), allora egli sarà anche capace di aprire loro il rapporto con Dio, colui che lo ha voluto come pastore a immagine di Gesù. Gesù ha ricevuto le pecore nella sua mano, e queste possono gridare: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?» (Rm 8,35), certe di essere da lui poste nelle mani del Padre. Ecco in fondo a cosa servono i pastori nella chiesa, i vescovi, i presbiteri: ad aiutarci a essere consapevoli che noi siamo custoditi nella mano di Gesù Cristo, il quale ci vuole collocare nella mano di Dio, da cui niente e nessuno ci può strappare.

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