II Domenica di Avvento (C)

ANNO C - 9 dicembre 2012
II Domenica di Avvento

Bar 5,1-9
Fil 1,4-6.8-11
Lc 3,1-6
LA PRETESA DI UNA
CHIAMATA ESCLUSIVA

Sarebbe un errore sganciare la liturgia della seconda domenica di Avvento dall'incipit che ha dato il giusto orientamento teologico all'intero tempo liturgico: la storia di Gesù, nato nella Palestina dell'epoca romana, può essere capita come storia di Dio-con-noi se resta chiaro che lo sfondo su cui si muove e si compie è quello escatologico. La prima venuta di Gesù di Nazaret tra la sua gente va collocata dentro la seconda venuta, quella del Figlio dell'uomo alla fine dei tempi. Altrimenti il suo significato trova valore unicamente nella sua umanità intramondana e non diviene compimento di un'alleanza che Dio ha stipulato con l'intera creazione.

La profezia di Baruc è chiara indicazione in tal senso. Chiunque è stato a Gerusalemme può confermare che quella città è esempio vivo della tensione tra promessa e compimento, tra realtà e visione, tra oggi e domani. Come la storia del mondo alla luce della fede, Gerusalemme indossa la veste del lutto e dell'afflizione e, nello stesso tempo, porta sul capo il diadema della gloria dell'Eterno. Come Gerusalemme, così il Messia.
Luca però insiste sul fatto che Gesù nasce e muore all'interno di una storia che è la stessa per tutti coloro che nascono e muoiono e la precisione storiografica con cui egli traccia, come sfondo della nascita di Gesù, un quadro geopolitico ben definito non risponde solo a una preoccupazione storiografica. Luca non vuole che il mondo pagano consideri la storia del Messia uno dei tanti miti presenti nella letteratura dell'epoca perché, per chi crede in lui, Gesù non è una divinità che fa la sua comparsa grazie alla congiunzione sessuale tra una vergine e un dio. Gesù di Nazaret è Cristo di Dio in quanto galileo, profeta, nato e messo a morte in precisi momenti della storia degli uomini.

Alla seconda generazione cristiana, che si confrontava con le prime accuse di fondare la fede in Cristo su una costruzione teorico-religiosa senza radicamento nella realtà dei fatti, Luca vuole fornire una testimonianza credibile e plausibile della storicità della vicenda di Gesù. La sua attenzione al dettaglio storiografico ha, quindi, chiara funzione apologetica. Non soltanto, però. L'evangelista persegue infatti anche una precisa intenzione teologico-didattica, dato che si rivolge a cristiani che non hanno preso parte in modo diretto a nessuno degli avvenimenti della storia di Gesù e che hanno, per di più, una visione del mondo e una comprensione della storia profondamente diversa da quella biblico-giudaica. Luca si situa su uno dei tornanti decisivi del processo di inculturazione che va da Gesù ai vangeli. La storia letta in termini teologici non è un'altra storia, e la fede non abilita a fuggire dalla storia o a svincolare la rivelazione di Dio dal quadro geopolitico che, di volta in volta, alla storia conferisce precisi connotati. Piuttosto, la fede legge la rivelazione di Dio all'interno di questa storia, attribuisce ad alcuni avvenimenti il carattere di segni, riconosce che alcune persone parlano in nome di Dio.
In un preciso tempo, allora, in un preciso luogo, il deserto, e a una precisa persona la libera volontà divina decide di affidare il ministero profetico. Un ministero attraverso il quale Dio rivendica la propria assoluta libertà anche rispetto alla sua precedente rivelazione. Perfino rispetto alla Legge, perché ogni vocazione profetica segnala un nuovo inizio. Non ristretto all'individualità, né limitato all'attualità congiunturale: il deserto rimanda all'epopea da cui è nato un intero popolo e, nel momento in cui viene scelto da Dio per una missione profetica, Giovanni non è più solo il figlio di Zaccaria.

L'oracolo di Isaia al cuore della predicazione profetica di Giovanni poggia su due pilastri: da una parte, la venuta del Messia chiede una disponibilità profonda, impone un ravvedimento, prevede una conversione; d'altra parte, la salvezza del Messia atteso avrà un'apertura inattesa perché ad essa sarà chiamata "ogni carne". Attraverso le prime battute con cui presenta il ministero di Giovanni il battezzatore, Luca chiarisce con decisione che il Messia che deve venire è in stretto collegamento con la grande tradizione profetica di Israele che ha chiesto al popolo dell'elezione di rinunciare alla pretesa di una chiamata esclusiva e di aprirsi all'idea di una salvezza universale.
Ripartire dal deserto significa allora ripartire da un'intimità tutt'altro che devozionale, tutt'altro che romantica o sentimentale, perché nel deserto irrompe la parola profetica che chiede il coraggio di andare oltre la propria stessa tradizione religiosa. I profeti aprono al futuro, preparando al futuro. Questo il senso della loro chiamata e della loro missione. Prepararsi alla venuta del Messia chiede perciò una conversione decisiva. Non da una vita dissoluta a una vita virtuosa, non da una tradizione religiosa a un'altra. La conversione è dalla propria visione di Dio e del suo progetto a una visione inedita di Dio e del suo progetto. Convertirsi significa innanzi tutto accettare che la libertà di Dio sposti sempre più in avanti i suoi confini. Il progetto di Dio può essere solo sconfinato: la nascita terrena del suo Messia all'interno di confini di spazio e di tempo ben precisi va capita subito, fin dalle prime battute, come l'irruenza nella storia dello sconfinamento del regno di Dio.

VITA PASTORALE N. 10/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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