III Domenica di Avvento (C)

ANNO C - 16 dicembre 2012
III Domenica di Avvento

Sof 3,14-17
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18
L'ATTESA DELL'AVVENTO
ESIGE CONVERSIONE

L'Avvento è tempo di preparazione e di rettifica, tempo di decisione e disponibilità. Non è possibile negare ai tempi ecclesiali forti (Avvento e Quaresima) una grande carica d'impegno morale: l'attesa del compimento delle promesse di Dio significa anche un'interpellazione alla volontà individuale, una chiamata a precise scelte da cui dipende la rettitudine della vita individuale e collettiva. Merita forse ricordarlo in un tempo e, soprattutto, in un Paese come il nostro in cui si guarda all'appello morale con sufficienza o con disillusione e in cui la "grande corruzione" di coloro che detengono la rappresentanza politica rischia di stornare l'attenzione dalla "piccola corruzione" di tutti e di ciascuno. Un Paese come il nostro, in cui la corruzione è ormai stimata al 60%, deve forse domandarsi impietosamente cosa significa voler ostentare a tutti i costi di essere un Paese cattolico.
Giovanni Battista allora, con il suo appello alla conversione della vita, non è semplicemente un precursore, non appartiene ai tempi della profezia antica, ma è figura pienamente evangelica e, senza di lui, il Vangelo di Gesù sarebbe impensabile. Non è un caso che, mentre i racconti della nascita di Gesù ricorrono soltanto in due dei vangeli canonici, Matteo e Luca, la testimonianza su Giovanni e sulla sua predicazione appare come irrinunciabile punto di partenza del Vangelo in quanto tale, dato che viene riportata da tutti e quattro gli evangelisti. Senza Giovanni sembra possibile il rischio di fraintendimento del Vangelo di Gesù e la liturgia del tempo di Avvento ci chiede di partire da lì per motivi teologici prima ancora che cronologici. Giovanni non viene soltanto prima di Gesù, ma "precorre", come tutta la grande tradizione profetica anticotestamentaria, cioè anticipa e, nello stesso tempo, orienta. Essa è infatti condizione previa per capire Gesù e il suo Vangelo.

L'evangelista Luca appoggia la testimonianza riguardo al Battista su due elementi. Nella prima parte, Giovanni Battista indica con estrema precisione cosa significa aderire al suo messaggio e alla sua pressante richiesta di conversione. Nella seconda parte, invece, è l'evangelista stesso che cerca di rispondere alla questione cruciale riguardo all'identità di Giovanni il battezzatore. Luca, che evangelizza cristiani cronologicamente e ideologicamente lontani dagli accadimenti della vita di Gesù, è particolarmente sensibile al fatto che la fede in Gesù di Nazaret non può essere né un'ideologia religiosa, né una devozione ma va trasformata in storia vissuta, in etica personale e collettiva, in decisioni concrete a favore degli altri. Soprattutto nella decisione imprescindibile della solidarietà concreta, della rinuncia ai beni in favore dei poveri. La sua continua attenzione al problema dello squilibrio economico all'interno della comunità credente ce lo conferma ad ogni pagina del suo vangelo. Egli sente che, per dei cristiani della seconda e terza generazione, il rischio della paralisi interiore è divenuto ormai una realtà possibile e la figura del profeta del Giordano gli consente allora di mettere a fuoco con chiarezza che il dono della salvezza da parte di Dio non può esonerare dall'impegno morale, dalle scelte concrete. Ugualmente, la possibile delusione per un ritardo della venuta definitiva di Gesù nella gloria non può ingenerare sfiducia e scetticismo.
Per questo, diversamente dagli altri evangelisti, Luca inserisce nella predicazione di Giovanni Battista una sorta di dialogo "applicativo". Per lui, la predicazione del Battista non ha solo un carattere profetico-escatologico, ma si sviluppa anche intorno a precise indicazioni morali, appelli a specifiche decisioni da prendere, proprio per dare concretezza all'attesa escatologica nel tempo della storia.

Cosa dobbiamo fare? Gesù stesso sarà interpellato in questo senso da uno scriba che voleva essere fedele alla legge. Luca dunque non fa che anticipare già all'interno della presentazione del ministero di Giovanni il battezzatore questa problematica che, per la tradizione religiosa monoteista giudaico-cristiana come, più tardi, per quella islamica, è assolutamente fondamentale. Non si tratta di attivismo funzionale alla produttività, ma di un "fare" esigente e incisivo nella quotidianità della vita: ognuno sa se ha due tuniche o se deve vendere i suoi beni e dare il ricavato ai poveri. La comunità a cui Luca rivolge il suo vangelo non ha affatto risolto neppure al suo interno il problema della povertà di alcuni e della ricchezza di altri e l'evangelista sa quindi per esperienza diretta che la comunità cristiana, a meno che non sia una lobby di ricchi che si sostengono tra loro, ha al suo interno chi mangia e chi ha fame.
Se il richiamo da parte di Giovanni alla distribuzione dei beni riguarda tutti, gli altri due riguardano invece due precise categorie di persone: i pubblicani, cioè gli esattori delle tasse, e i soldati. Due categorie di persone emblematiche, perché hanno a che fare con i soldi e con la prepotenza, e a cui troppo spesso si riconosce il diritto a una sorta di statuto proprio, al riparo del giudizio morale. Per l'evangelista, invece, l'etica che accompagna e vivifica il tempo dell'attesa della definitiva venuta messianica è tempo di grande rigore. Non imposto da "tecnici" al governo, ma scelto come unico modo per rispettare la vita di tutti.

VITA PASTORALE N. 10/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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