Battesimo del Signore (C)

ANNO C - 13 gennaio 2013
Battesimo del Signore

Is 40,1-5.9-11
Tt 2,11-14;3,4-7
Lc 3,15-16.21-22
PAROLE E GESTI
DI CONSOLAZIONE

Il ciclo liturgico del Natale si conclude con la festività del battesimo del Signore. Non si tratta di un'altra festa, ma della memoria liturgica di un evento che di quella nascita rivela il pieno significato. Per esprimere la fede nell'incarnazione non basta affermare che Dio ha preso la carne e il sangue di un uomo. Solo due evangelisti su quattro, in fondo, raccontano la nascita del Messia mentre nessuno dei quattro può lasciare di raccontare il suo battesimo. Del resto, la celebrazione del battesimo di Gesù ci aiuta a rettificare le distorsioni cui il ricordo della sua nascita difficilmente riesce a sottrarsi. Il battesimo non rimanda a nessuna intimità familiare, è manifestazione, epifania di Dio a quella parte del popolo d'Israele che viveva come popolo dell'attesa. Il battesimo di Gesù non presta in nessun modo il fianco alla facile commercializzazione delle immagini e dei simboli né è trasferibile su un piano intimistico e sentimentale.

Per l'evangelista Luca, infatti, il senso teologico del racconto del battesimo di Gesù sta nelle poche parole con cui apre il racconto: il popolo era in attesa. La venuta del Messia trova il suo significato solo se, come premessa, ci sono la fiducia e la speranza in una profezia, solo se l'atteggiamento di fondo è quello dell'attesa. Soprattutto, però, se si tratta di un'attesa condivisa. Il battesimo colloca Gesù nella tradizione del suo popolo. Uomo di Nazaret, profeta galileo, discepolo di Giovanni il Battista: solo sulla base di queste premesse è possibile accogliere Gesù come Messia, capire il significato della sua predicazione, essere capaci di fare, insieme con lui e dietro a lui, il passaggio, indicato dal profeta del Giordano, dall'economia dell'acqua a quella dello spirito.

Eppure, che Gesù si sia fatto battezzare deve aver ingenerato qualche difficoltà nei discepoli che, dopo la sua morte, lo professavano come il Signore risorto. Per Giovanni il Battista, infatti, l'immersione nelle acque del Giordano comportava la consapevolezza di appartenere a un popolo peccatore, l'accettazione della conversione e l'attesa del giudizio che Dio avrebbe operato attraverso il suo Messia. Aveva forse bisogno di purificazione e di conversione il Cristo di Dio, colui che la risurrezione ha confermato come Figlio prediletto? Come presentarlo peccatore tra i peccatori, partecipe di un rito di purificazione e sottomesso a Giovanni? Il racconto suppone queste difficoltà e ciascun evangelista cerca di dare ad esse una risposta teologica.

Proprio nel momento del battesimo Giovanni presenta Gesù come "il più forte", cioè con un chiaro titolo cristologico-messianico. Se Gesù si è fatto battezzare da Giovanni è perché ha creduto fino in fondo che la sua appartenenza al popolo della promessa fosse condizione indispensabile per il suo ministero. Quando diciamo che Gesù ha condiviso fino in fondo la "carne" degli uomini, non possiamo pensare unicamente a un'appartenenza biologica alla stirpe umana. Gesù ha condiviso l'appartenenza a un popolo. E, per di più, in senso molto preciso. Ha scelto infatti di vivere la sua fede ebraica non in termini legalistici o in ambienti sacerdotali. Ha preferito stare insieme a coloro che riconoscevano nel Battista l'ultimo dei profeti. Di lui si è fatto discepolo, non di un rabbi. È questo senso di solidarietà con il popolo dell'attesa che spinge dunque Gesù a farsi battezzare. Non basta, però.

Giovanni il Battista annuncia anche che il tempo delle promesse è finito, è compiuto il tempo dell'attesa. Comincia il giudizio di Dio, il tempo del fuoco, il tempo del passaggio dal battesimo nell'acqua al battesimo nello spirito e il suo battesimo segna la soglia tra attesa e compimento. Per questo il battesimo di Gesù trova il suo senso in un'epifania. Un'epifania senza spettatori, dato che Luca non ci dice se qualcuno, in quell'occasione, ha visto qualcosa. Giustamente. Quell'epifania, quella manifestazione non è per "i presenti". È per tutti coloro che crederanno che Gesù è davvero colui nel quale Dio ha posto il suo compiacimento.

Il tempo del Natale insegna a guardare con stupore a un Dio che si compiace. Si compiace del mondo fino al punto da volere che suo Figlio ne faccia pienamente parte; si compiace degli uomini, oggetto del suo beneplacito; si compiace di suo Figlio perché renderà manifesto che il suo progetto è per la vita e non per la morte. Per questo farà da guida al ministero di Gesù che, per la tradizione cristiana, ha inizio proprio con l'epifania che suggella il suo battesimo, l'invito con cui si apre il "libro della consolazione" del profeta Isaia. Giovanni preconizzava il momento dell'ira e del giudizio divini. Gesù si è presentato al popolo dell'attesa con parole di consolazione e gesti di misericordia.
Quando Giovanni XXIII, all'apertura del Concilio, ha chiesto alla Chiesa, in quanto sposa di Cristo, di «usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore» non si rivolgeva soltanto ai pastori, ma a tutti quelli che sono stati battezzati in acqua e fuoco e sono diventati figli del compiacimento di Dio. A loro è chiesto di alzare la voce con forza, come ha fatto Isaia. Per consolare.

VITA PASTORALE N. 11/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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