Maria SS. Madre di Dio (C)

ANNO C - 1° gennaio 2013
Maria SS. Madre di Dio

Nm 6,22-27
Gal 4,4-7
Lc 2,16-21
UN GIOIOSO INNO
ALLA VITA E ALLA PACE

Anche se ha una radice molto antica, perché risale ai primi secoli della vita della Chiesa e trova nel concilio di Efeso del 431 la sua definitiva espressione dogmatica, non c'è dubbio che la qualifica di "madre di Dio" (Theotokos) non può che apparire azzardata. Non meno, d'altra parte, della complessa questione della cristologia delle due nature e della loro compresenza in Gesù Cristo. Del resto, dal punto di vista dottrinario, la grande tradizione cristiana è tutt'altro che facile, e non sempre la devozione popolare, soprattutto quella mariana, riesce a star dietro alla complessità delle dichiarazioni dogmatiche.
La grande tradizione artistica, soprattutto quella medievale, ama molto raffigurare Maria come madre di Dio. Anche quando indulge su aspetti più intimistici, la rappresentazione della maternità di Maria non rinuncia mai a una forte dimensione di solennità. Maria è seduta in trono e il figlio che porta sulle ginocchia regge nella sua mano il mondo. Anche la straordinaria icona della Eleousa di Vladimir, la Madonna della tenerezza, è un inno potente alla sovranità di Cristo. È molto probabile che a Efeso il cristianesimo suggelli la sua vittoria sul paganesimo traducendo il culto della dea Afrodite nella venerazione per la madre di Dio, ma non si tratta di una banale trasposizione.

Nel culto della Theotokos la cristianità trasmette un'immagine potente del femminile, lontana mille miglia da stereotipi contemporanei tutti a uso e consumo di un immaginario maschile preoccupato della propria impotenza e una visione della maternità che nulla ha di edulcorato o di lezioso. Né la Grande Madre mediterranea, fonte della vita, può essere confusa con quel mammismo che trasforma il frutto del proprio grembo in un dio. Che tutti coloro che vengono al mondo siano "nati da donna" non c'è dubbio.
Anche Gesù, quindi. La sua origine è perfettamente rintracciabile dentro la storia del popolo della Legge, lì dove le donne non mettevano (e non mettono) al mondo i loro figli e le loro figlie soltanto in vista della sussistenza di un gruppo etnico particolare. Dedicando a Dio i figli maschi perché nel loro corpo si perpetui, con il rito della circoncisione, l'appartenenza al popolo dell'alleanza, le donne di Israele fanno della maternità un compito teologico e non solo biologico. L'antica formula cristologica citata da Paolo attesta con forza che un uomo, un giudeo come tanti altri è stato in realtà colui che ha fatto dono a ogni creatura, con la sua risurrezione, del suo stesso spirito. Ormai, a far parte di quello che la Bibbia chiama il "popolo della sua eredità" possono entrare tutti, perché tutti hanno ricevuto lo spirito di figli, dal momento che Cristo per tutti è morto e per tutti è risuscitato.

Dividere le eredità, però, è sempre stato molto difficile. È la prova del fuoco di molti legami familiari che, ritenuti saldi e trasparenti, s'intorbidano e s'indeboliscono quando si tratta di dividere un'eredità. Anche tra figli. Figuriamoci se a pretendere di partecipare all'eredità è un estraneo. Se poi l'eredità prevede il rapporto privilegiato con il Dio unico, che ha fatto i cieli, la faccenda si complica ancora di più. Paolo difende il diritto di altri che, nati da donna, ma non nati sotto la Legge, pretendono di avere accesso all'eredità dei figli: sembra un problema astruso, lontano dal nostro modo di pensare. Ma non è vero del tutto. Anche in un tempo e in un mondo così distratti nei confronti di Dio, l'appartenenza religiosa oscilla pericolosamente tra esclusione e inclusione. Che significa, il più delle volte, tra intolleranza e insignificanza.

È il motivo per cui tanti ormai vorrebbero un mondo senza religioni, nella speranza, forse molto ingenua, che il mondo trovi la sua pace. La benedizione contenuta nel libro dei Numeri ha un risvolto inquietante: com'è possibile che il Dio che, quando rivolge sugli uomini il suo volto, concede pace sia stato troppo spesso associato a trame di guerra? E com'è possibile che in nome di quel Gesù che Maria e Giuseppe offrono all'adorazione di sapienti e pastori sia stato diffuso tanto odio e versato tanto sangue? Nessuno, d'altra parte, è senza peccato: le religioni hanno contribuito a tenere alta la retorica delle guerre.

Può sembrare un paradosso, ma la madre di Dio impone di guardare anche a Dio stesso con occhi diversi. Non tanto perché lo rende più buono perché "più umano": in fondo anche gli umani sanno essere molto feroci. Nel momento in cui ci ricordasse che il corpo di donna, attraverso il quale tutti siamo passati, ci ha generati alla vita e non alla morte forse il mondo sarebbe diverso. Nascendo da una donna, il Figlio di Dio attesta nel modo più pieno che Dio è amante della vita.
La festa della Madre di Dio riscatta finalmente l'immagine delle donne da secoli di predicazione che hanno fatto di loro il principio di ogni perversione. E non è un caso che la Chiesa renda onore alla Theotokos, sia pure timidamente ormai, con una giornata dedicata alla pace. Anche questo ci aiuta a ricordare che un corpo di figlio sulle ginocchia di una madre può essere un solenne inno alla vita che una guerra può trasformare in una tragica "pietà".

VITA PASTORALE N. 11/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

torna su
torna all'indice
home