Santa Famiglia (C)



ANNO C - 30 dicembre 2012
Santa Famiglia

1Sam 1,20-22.24-28
1Gv 3,1-2.21-24
Lc 2,41-52
FARSI CUSTODI
DELLA MEMORIA

Una famiglia modello, in cui tutti coltivano il valore dell'obbedienza e della sottomissione: troppo spesso la predicazione cattolica ha ceduto alla tentazione di prendere a prestito la famiglia di Nazaret per "raccontare" una famiglia ideale. La pagina che chiude il "vangelo dell'infanzia", con cui Luca comincia la sua narrazione della vicenda di Gesù di Nazaret, non lascia invece trasparire nulla di virtuoso né di esemplare. Richiama alla memoria il rapporto tra Anna e suo figlio Samuele e lo presenta come paradigmatico.
Esso descrive, infatti, la condizione dell'uomo di Dio, e serve all'evangelista per chiarire fin dall'inizio che l'intera vicenda di Gesù, che si snoderà lungo il suo vangelo, va compresa tra la Galilea e la Giudea, tra il villaggio di Nazaret e la città santa di Gerusalemme, tra la casa e il Tempio. Va cioè collocata dentro la vicinanza o la distanza che Gesù stabilisce con questi diversi luoghi.

"Davanti a Dio e agli uomini": Gesù appartiene alla sua famiglia e nello stesso tempo prende le distanze da essa; è galileo e nella sua terra di origine dà inizio alla sua predicazione, ma sfugge alle logiche dell'appartenenza al gruppo sociale; visita il Tempio ma non accetta di lasciarsi inghiottire dal sistema religioso di cui esso è l'emblema. È questo il mistero da cui sarà segnato il suo ministero, la sua predicazione, la sua vocazione messianica. Da una parte egli è il Nazareno, il figlio di Maria e di Giuseppe, perché altrimenti la sua umanità verrebbe negata; non è però solo questo, perché deve occuparsi della volontà del Padre che è nei cieli. Appartiene alla storia, ma non può essere catturato dentro la storia.

Gesù nasce e cresce nell'osservanza. Per un giovane israelita la pubertà costituiva il momento della scelta consapevole della propria appartenenza di fede. Queste due coordinate ci dicono molto sulla storia del Nazareno, sulle sue radici e, al contempo, sulla sua vocazione: da Nazaret Gesù è partito, ma egli ha maturato la sua identità religiosa discutendo con i dottori del Tempio. Il racconto evangelico sulla sua vita a Nazaret non insiste sul fatto che Gesù pretende fin da giovanissimo l'indipendenza dalla sua famiglia d'origine, neppure per motivi alti e nobili. L'episodio dell'allontanamento dalla sua famiglia spiega piuttosto quale sarà l'esercizio, potremmo dire la "ginnastica", che viene chiesta a coloro che crederanno in lui e che riceveranno il suo Vangelo: essere, come Gesù, pienamente dentro la storia, dentro le regole dell'appartenenza, ma essere anche dentro la storia di Dio, la storia di una missione di cui si è investiti dall'alto. Prima che del suo Messia e dei suoi discepoli, è stata, d'altro canto, l'identità d'Israele.

Tra Nazaret e Gerusalemme: qualsiasi israelita poteva capire molto bene che non si tratta di una traiettoria geografica. A Nazaret Gesù apprende, dall'obbedienza, la sapienza di Dio; a Gerusalemme matura la distanza critica. Il Tempio con la sua corona di maestri è il luogo del confronto e lo sarà per tutto il tempo della sua missione. È il luogo in cui il suo ministero dovrà fare i conti con il rifiuto. La scena idilliaca del giovane Gesù che dialoga con i maestri della Legge e riceve il loro riconoscimento e il loro plauso descrive come la vicenda missionaria del Nazareno avrebbe dovuto risolversi. Gesù è venuto per la sua gente, per il suo popolo, doveva chiamare all'ascolto non soltanto la gente nelle piazze, ma anche i dottori della Legge. Tutto Israele, finalmente ricostituito sotto la signoria definitiva di Dio. Egli, però, non ha convinto i capi del suo popolo e i dottori della Legge.
Non perché fosse uno sprovveduto galileo, ma a causa della loro indisponibilità. Nonostante venisse da uno sperduto luogo della Galilea, poteva competere con loro e stupirli con la sua intelligenza. Perché, allora, l'Israele del Tempio alla fine gli si rivolterà contro? Al centro della pagina evangelica non c'è dunque soltanto la famiglia di Nazaret, c'è il mistero di un rifiuto. Tutti coloro a cui Luca rivolge il suo vangelo sanno che il Tempio non è stato il luogo del riconoscimento del messianismo di Gesù, ma sanno anche che di esso non è rimasta più pietra su pietra.

Anche la casa di suo padre e di sua madre, però, è per Gesù luogo di estraneità perché nemmeno Maria e Giuseppe possono capire. Sua madre può accogliere la realtà di suo figlio, ma non può comprendere. Solo l'incontro con colui che è stato risvegliato dai morti, infatti, creerà le condizioni per comprendere. Il compito di coloro che hanno conosciuto il Messia nella carne, però, resta decisivo ed è riassunto nella capacità di Maria di custodire la memoria.
Se il Vangelo è stato narrato, se è diventato buona notizia di salvezza di generazione in generazione è perché coloro che hanno visto Gesù crescere "davanti a Dio e davanti agli uomini" hanno accettato di farsi custodi della memoria, hanno saputo custodire il racconto di una vicenda senza la quale nessuno può avere accesso alla fede. Maria all'inizio del Vangelo e le discepole galilee nel momento dell'annuncio della risurrezione hanno per Luca lo stesso compito: custodire la memoria. È solo un caso che si tratti di donne?
VITA PASTORALE N. 10/2012
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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