III Domenica di Pasqua (C)

ANNO C - 14 aprile 2013
III Domenica di Pasqua

At 5,27b-32.40b-41
Ap 5,11-14
Gv 21,1-19
IL RISORTO È PRESENTE
NELLA CONDIVISIONE

Con il racconto dell'ultima apparizione del Risorto nel vangelo di Giovanni continua a risuonare l'annuncio della risurrezione. Che si tratti di un racconto ad alto valore simbolico è evidente: nei vangeli, la pesca è immagine e metafora, prima ancora che attività, e gli uomini e le donne che hanno seguito Gesù sapevano coglierne molto bene la ricchezza di significati e di sfumature.

II valore di questa seconda conclusione del quarto vangelo è marcatamente ecclesiale e rivela il passaggio a una situazione comunitaria in cui diviene ormai decisivo fare memoria della prima tradizione apostolica. Fin dall'inizio, infatti, la missione cristiana ha dovuto superare forti difficoltà e ha attraversato momenti di profonda incertezza. Se la prima generazione cristiana, come ci racconta il libro degli Atti, ha dovuto accettare il rifiuto da parte dei giudei e fare l'esperienza della persecuzione, sulla seconda generazione pesa invece la stanchezza e l'affievolimento dell'entusiasmo. Il ricordo dei "primi" discepoli di Gesù e dei primi testimoni del Risorto diventava essenziale per rafforzare gli animi e infondere coraggio.

Ancora una volta i protagonisti in gioco per Giovanni sono due, il discepolo che Gesù amava e Pietro. E, ancora una volta, il primo ha una perspicacia che gli consente di riconoscere il Risorto prima degli altri, anche prima di Pietro stesso. Anzi, è proprio grazie a lui che anche Pietro riesce a riconoscere il Risorto. L'immagine è trasparente: fin dall'inizio dell'esperienza ecclesiale è stato necessario accettare una pluralità di doni e di carismi, è stato cioè necessario riconoscere la molteplicità dei cammini discepolari.

II discepolo che Gesù amava aveva avuto la possibilità di accedere in modo privilegiato alla conoscenza della sua persona e del suo mistero. A lui era stato fatto il dono di un'immediatezza e di una profondità precluse ad altri. D'altra parte, però, fin dai primi tempi della vita delle Chiese la figura di Pietro si era sempre più imposta come imprescindibile legame con la storia di Gesù e con la sua missione. Per Giovanni, l'uno è diverso dall'altro, ma anche l'uno ha bisogno dell'altro. Il discepolo che Gesù amava, che non fa parte del gruppo dei Dodici, ci dice che Pietro non racchiude in sé tutta la forza e tutte le possibilità della vita dello spirito e nello spirito; Pietro ci dice che, senza sentirsi in continuità con il gruppo dei Dodici che Gesù si è scelto, non è possibile fare della risurrezione un'esperienza ecclesiale. Lo spirito del Risorto si manifesta dove vuole e nelle forme che vuole e il discepolo che Gesù amava conserva una sorta di privilegio anche su Pietro stesso. Dal canto suo Pietro, come attesta la prima metà del libro degli Atti, è ormai riconosciuto dalla tradizione apostolica come il primo responsabile di una Chiesa che si sente portatrice di buona notizia di salvezza per tutti gli uomini. Ancorato nella volontà del Risorto, il primato missionario di Pietro, anche se non riassume in sé tutta l'esperienza di fede dei discepoli, è indiscutibile.

Nella scena del lago anche Giovanni, che non racconta l'episodio della consegna a Pietro delle chiavi, arriva dunque a riconoscere a Pietro un primato. Né si tratta semplicemente di un primato missionario. Non a caso l'immagine è quella del pastore e non quella del pescatore. Si tratta allora di un primato pastorale, ma non per questo riducibile soltanto a un ufficio: anche a Pietro, come al discepolo che Gesù amava, viene richiesto un intenso legame con Gesù stesso, dato che per tre volte gli viene richiesto di confessare, non la sua fede, ma il suo amore per Gesù. Il dialogo di Gesù con Pietro dopo la risurrezione evoca e supera un altro dialogo ben più triste, quello della triplice negazione di Pietro nei giorni della passione: tre volte aveva assicurato di non conoscere il suo Maestro, ora per altrettante volte deve attestare di amare Gesù.
C'è però un punto oltre il quale Pietro non può sporgersi. Può professare la sua capacità di amore, certo, ma sempre nella consapevolezza che essa resta del tutto limitata: quando Gesù gli chiede se è in grado di amarlo più di tutti gli altri, Pietro sa di non poterlo affermare, e rimette la risposta al giudizio del Maestro. Per Giovanni, dunque, Gesù affida la missione di curare il gregge a colui che ha chiara certezza di non essere né l'unico né il primo. Deve sempre ricordarsi, infatti, che il gregge non sarà mai suo perché l'unico vero pastore resta soltanto lui, Cristo, il Maestro, il Signore. Pietro deve solo seguirlo, comportarsi cioè come Gesù stesso si è comportato.

Alla sua Chiesa, fatta di discepoli amati e di discepoli investiti di responsabilità missionaria, Gesù chiede un amore capace di accogliere la diversità dei doni. A Pietro non è permesso né sindacare né recriminare. Ci sono altri nella comunità dei discepoli che hanno avuto altre chiamate e altri destini. Il discepolo prediletto resta nella tradizione come colui al quale lo stesso Pietro è debitore di aver riconosciuto il Risorto e di aver fatto uscire la missione cristiana dalle secche dello scoraggiamento. Lui dovrà, invece, prendersi cura del gregge. Il discepolo che Gesù amava uscirà di scena e a nessuno, neppure a Pietro, sarà dato di sapere qualcosa di lui. Deve bastare a unirli l'eucaristia, raffigurata da quel pesce condiviso con il Risorto nel pasto sulla spiaggia.

VITA PASTORALE N. 3/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

--------------------
torna su
torna all'indice
home